I Fazio e ?i Marzullo cedono le armi e facce nuove non se ne vedono. E all'estero non va meglio. Se non per le serie tv ispirate ai romanzi, che fanno esplodere le vendite. Di cosa avremmo bisogno? Di un Alberto Angela della letteratura

A bocce ferme - Saloni del Libro archiviati, libri di peso alle spalle, scuole chiuse - i forzati dell’editoria tirano il fiato. Forse è il momento buono per ripartire da un paio di domande ingenue. Tema: promozione della lettura. Stiamo andando nella direzione giusta? Svolgimento: no. Quattro milioni di non-lettori in più rispetto al 2010, sostiene implacabile l’Istat.

Certo, si può obiettare che il non-lettore perfetto – maschio adulto, connesso a internet – non legge libri e però, magari, ha dimestichezza con altre tipologie di testi scritti. Anche fosse così, resta il fatto che il popolo dei lettori di libri non si allarga: sta fermo, anzi decresce. Eppure, abbiamo messo in piedi – senza alcuna logica – un secondo salone milanese, piazzato a Rho Fiera un mese prima di quello storico e trionfale a Torino Lingotto.
Cultura
Per far vendere i libri non ci resta che il serial
13/6/2017

Eppure, facciamo proselitismo accanito nelle scuole: mesi del libro, settimane del libro, anni del libro. Sull’esito delle campagne pubblicitarie, ha pronunciato parole definitive Annamaria Testa, pubblicitaria di lungo corso, in un’intervista sul nostro giornale. Non ce n’è una – almeno in Italia – che funzioni: retoriche, seriose, inutilmente solenni, sempre a metà fra kitsch e sopore. Gli ultimi spot, appena lanciati dal ministero, puntano sul romanticismo, ma non convincono. Per carità, nessuno intende liquidare come inutile la macchina sempre in moto del “leggere è bello”. Ma quali risultati sta dando? E soprattutto: li sta dando davvero?

Qualcosa non torna. Gli editori tengono i prezzi di copertina alti, e fanno (quasi) finta di niente. Il mercato però è fermo: per andare in classifica basta muovere qualche centinaio di copie a settimana. Gli scrittori si trasformano, più ancora che in performer, in commessi viaggiatori: vendicchiano porta a porta, da globetrotter della provincia italiana. Tutto bene? Mica tanto. Nemmeno dieci anni fa, grandi premi e passaparola dettavano best seller da un milione di copie. Bastava andare da Fabio Fazio per guadagnarsi un posto al sole. Che tempo che faceva! Il longevo talk di Rai 3 (giunto al capolinea nei giorni scorsi con il probabile addio di Fazio alla Rai), era il sogno segreto – oltre che di tutti noi scriventi – di editori convinti di svoltare mezzo fatturato annuo con un passaggio in quel salotto. Frequentato – va detto – da intellettuali di prim’ordine.
illustrazione di Claudio Sale

Si vedevano su quelle poltroncine figure che altrove sarebbe stato impensabile incrociare: dai nostri Eco e Magris a scrittori come Orhan Pamuk, Paul Auster, David Grossman. Se non sbaglio, perfino Nadine Gordimer, ma magari l’ho sognato. Capitava di vedere da quelle parti addirittura un antitelevisivo come Roberto Calasso, scrittore iper raffinato e patron Adelphi. Di recente, Fazio ha preso altre strade. Il tempio della cultura “di sinistra” si è auto-interpretato a lungo come baluardo contro la deriva degli anni berlusconiani. Alla merce libro, in fondo, tutto questo giovava. E poi? Il renzismo deve aver lasciato cadere pose, maschere, antiche preoccupazioni, e anche un po’ di senso del dovere. Fazio ha recuperato con disinvoltura le sue origini pop, promosso a ospiti fissi Fabio Volo e Orietta Berti, e per via di cazzeggio brillante ha rovesciato la vecchia aura snob nel suo esatto contrario. I libri? Sempre meno. Quasi mai. Chi se ne frega.

Comunque, in assoluto, nemmeno il passaggio in tv riesce più a cambiare radicalmente le sorti di un volume. A presidiare con garbo il territorio è rimasto Corrado Augias (“Quante storie”, Rai 3), forse più perplesso del solito. Lo spazio di Michela Murgia - una recensione al giorno - desta più attenzione quando la scrittrice si dà alla stroncatura che quando elogia o caldeggia.

I social digeriscono, di tanto in tanto rilanciano. Ma l’aggettivo “virale”, se si tratta di libri, è sempre un’iperbole. Per fortuna? Gli editori oggi sono innamorati dei blogger, li subissano di proposte come vent’anni fa facevano con azzimati, sapienti e magari insopportabili critici letterari. Ma serve a qualcosa? La “coolness” letteraria vive ormai di nicchie, di contagi modaioli, così imprevedibili che attivarli dall’alto è diventato pressoché impossibile. Fatto è che non ha funzionato nemmeno l’incursione, nel programma di Augias, della blogger ventenne Sofia Viscardi: a lei spettava, nelle intenzioni, il dialogo con i coetanei. Calcolate le folle che la attendono (o la attendevano) a ogni apparizione pubblica, pareva fosse la scelta più opportuna per “svecchiare”. Macché. Nessuno ha tenuto in conto che, a quell’ora - mezzogiorno e tre quarti - i coetanei di Sofia sono inchiodati al banco di scuola. E comunque, pure andasse in prima serata, difficilmente li si raggiunge per quella strada.

La differenza può farla l’evento: un passaggio di Roberto Saviano ad “Amici”, per esempio. Si è visto con i versi di Wislawa Szymborska, con “Le notti bianche” raccontate alla platea di Maria De Filippi; e si era visto, sempre in quell’arena, con l’inarrivabile Aldo Busi, che alla bisogna si travestiva da Alice nel paese delle meraviglie. Però diciamolo chiaramente: da quando Alessandro Baricco ha chiuso l’avventura televisiva di “Pickwick” e “Totem” - ben vent’anni fa! - sui libri in televisione non c’è più un’idea forte, un progetto davvero nuovo. Certo, la capacità di Baricco di raccontare la letteratura faceva la differenza, e tuttavia sembra impossibile che non si sia trovato ancora un emulo, un surrogato, un erede.

La divulgazione scientifica ha nella famiglia Angela straordinari numi tutelari. D’altra parte, Alberto - spostatosi nel campo della storia e dell’archeologia - pur non avendo rivali diretti, ha comunque fatto strada a storici accademici che, senza confessarlo, un po’ si ispirano a lui. Ecco: avremmo bisogno di un Alberto Angela della letteratura, di un narratore credibile ed empatico. Avremmo bisogno di uscire dalle strettoie del talk show promozionale, di liberarci definitivamente di scenografie ripetitive - le scrivanie, le pareti di libri, le brocche dell’acqua, i leggii, le scartoffie sul tavolo - e di azzardare strade davvero nuove. È un problema di linguaggio.

Qualcosa c’è, ovviamente. Accanto agli storici “vampiri” Marzullo e Gallucci (Rai1 e Canale 5 a notte fondissima), a “Terza Pagina” su Tv 2000, i tentativi “on the road” di Edoardo Camurri sono interessanti, per esempio. “L’attimo fuggente” su Rai 5, prodotto da minimum fax, si confronta con intelligenza con la poesia, ma forse offre immagini (acqua che scorre, tramonti...) sempre troppo “ispirate”. Sky manda in onda documentari strepitosi, che però di rado toccano la letteratura. Laeffe ora ci prova con un reality dedicato ai lettori (“Un libro per due”, dal 19 giugno). Ma perché i direttori delle reti cosiddette generaliste - quelle che ancora raggiungono più pubblico - sembrano così fermi, distratti, apatici? Dov’è l’effetto di quel patto fra editoria e televisione annunciato dal ministro Franceschini? Perché nessuno ha più voglia di inventarsi niente?

C’è di sicuro chi obietterà: ma la televisione è preistoria, che investimento sarebbe? Giusto, però fino a un certo punto. I contenuti più efficaci, più spiazzanti o anche solo trash, escono dal piccolo schermo e circolano altrove, moltiplicando il pubblico e raggiungendo i più pigri complici dell’Auditel. Se fosse quella la direzione più sensata verso cui mettersi al lavoro? Spazi brevi, pillole, lampi - la durata di un flash mob, di un post sulla app Candid. Alle armi andrebbero chiamati gli alfieri della comicità web - dai The Pills al Terzo Segreto di Satira, a Casa Surace (il video dei The Pills sulla lettura di Fabio Volo è geniale), per poi lasciarli lavorare su un piano anti-romantico, ruvido, del tutto smitizzante. In mancanza del narratore ipnotico, occorre spiazzare. Fiorello, Alessandro Cattelan, Diego Bianchi avete voglia di prestarvi? Franca Leosini, figura di culto del giornalismo “nero”, non sarebbe una ideale interlocutrice di scrittori finalmente trattati come criminali? Serena Dandini non sarebbe un perfetto e ironico “cicerone” nel circo dell’editoria, dalla stanza dello scrittore al buffet del Premio Strega, giù fino all’istante in cui le copie invendute vanno silenziosamente al macero? Sto esagerando, o forse no.

La tradizione non funziona più. Libri sfogliati dal vento, spiagge, voci impostate, retorica nobilitante: basta! Ripetere fino alla nausea espressioni come “io leggo. E tu?”, “io leggo perché”, “leggere cambia la vita” non porta da nessuna parte. Non sposta di un millimetro il discorso. Leggere non fa bene - bisognerebbe provocare così: leggere fa male! Non si è mai visto, d’altronde, uno speciale televisivo con una squadra di macellai sul bello del mangiare carne, o una campagna di sensibilizzazione alla racchetta intitolata “io gioco a tennis perché”. Come mai lo si fa con i libri, trattandoli come medicinali? Dissacrata e trasgressiva il giusto, la compagnia del libro finirebbe per raccogliere qualche seguace in più.

Perché non infiliamo i libri nella “Prova del cuoco” o durante i quiz serali? Perché non usciamo dall’angusta e controproducente logica del parlare della lettura come di un presunto “piacere”, rivolgendosi così solo a chi lo ha già sperimentato? Prima regola: mai parlare astrattamente del leggere; parlare sempre e solo di un’esperienza specifica. Raccontare una storia, un libro amato oppure odiato, la vita di uno scrittore come un supereroe o uno sfigato, purché sia una vita e non materia da imbalsamatori. Materia, anzi, da serie tv: a proposito, c’è qualcuno pronto a metter su un “Mozart in the jungle” sulle vitacce torride degli scrittori di ieri e di oggi?

Il punto è questo: smetterla di fidarsi degli schemi. Piantarla di tenere inserito il pilota automatico. Vale per l’invecchiatissima televisione, vale per l’affollato spazio delle kermesse - i riti laici, i festival, tutto il resto. Corriamo il rischio di auto-alimentarci senza alimentare davvero più nessuno, senza sapere più - tipica situazione da condominio metropolitano - chi siano i nostri vicini di casa. Senza avere voglia di suonare a qualche campanello sconosciuto - e, fingendo di aver finito il sale, offrire in cambio qualche storia scritta. Niente occhialetti calati sul naso, meglio l’aria di chi contrabbanda, spaccia, regala. E poi sparisce senza lasciare il numero.