Si cercano da Londra a New York e in Argentina le migliaia di opere saccheggiate alla Biblioteca dei Girolamini da una banda. Guidata da un protetto di Dell’Utri

Tutto è cominciato con una mail che i carabinieri hanno ricevuto da Londra. All’inizio di maggio dello scorso anno, una specialista di manoscritti e libri antichi della casa d’aste Christie’s stava sfogliando il catalogo di una maxi vendita che si sarebbe tenuta di lì a poco in una libreria di Monaco, la Zisska & Schauer. Un evento atteso, che aveva portato in Baviera i maggiori collezionisti e mercanti del mondo.

Tuttavia agli occhi di Stefania Pandakovic, un’esperta di Christie’s nata e cresciuta a Milano, sono bastate le foto riprodotte nel catalogo per dar vita a qualche sospetto. Alcuni esemplari presentavano infatti i segni distintivi della Biblioteca dei Girolamini di Napoli, che in quei giorni era su tutti i giornali per il saccheggio di migliaia di preziosissime opere organizzato dal suo direttore, Marino Massimo De Caro, un uomo al centro di un’inquietante rete di contatti e protezioni eccellenti, da Marcello Dell’Utri agli ambienti vaticani.

La segnalazione partita dalla casa d’aste londinese è arrivata appena in tempo allo speciale reparto dei carabinieri che si occupa di tutelare il patrimonio artistico nazionale. Le autorità, infatti, sono riuscite a bloccare la vendita di Monaco con un’ingiunzione recapitata poche ore prima del via, previsto per il 9 maggio. Quel sequestro last minute, che porterà a scovare negli uffici della Zisska & Schauer ben 543 tomi sottratti ai Girolamini e in altre biblioteche italiane, rappresenta il primo atto di una caccia che, da allora, gli investigatori hanno scatenato a livello internazionale, toccando un numero via via crescente di persone. Qualcuna ignara, altre perfettamente a conoscenza dell’origine dei libri.
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Oggi gli investigatori stanno seguendo i mille rivoli in cui il flusso di volumi si è disperso, in Italia, negli Stati Uniti, in Argentina e in Germania, dove il titolare della libreria di Monaco, Herbert Schauer, è stato arrestato due mesi fa. Hanno trovato le tracce lasciate da esemplari di grande valore, che però restano ancora da riportare a casa. Come, ad esempio, un “Kalendarium” in pergamena dell’astronomo Regiomontano, stampato a Venezia nel 1476 e finito assieme ad altre sei opere di analogo valore nella parigina Librairie Thomas-Scheler, a due passi dal Jardin du Luxembourg. O come il manoscritto del XIII secolo “De re medica” del chirurgo Guglielmo da Saliceto, acquistato per 110 mila euro da un collezionista svizzero.

Pedinamenti, intercettazioni, segnalazioni alle associazioni di librai, rogatorie all’estero, analisi dei bonifici verso i paradisi fiscali, ricerche con il georadar per scandagliare i nascondigli: non c’è strada che non sia stata battuta per rintracciare la refurtiva, il cui valore economico è stimato in milioni e milioni di euro. A dispetto dei risultati, però, nessuno può esultare. Se finora sono stati recuperati 2.700 volumi, il conto di quelli davvero rubati è ignoto. Alcune stime dicono 4.000 ma nessuno lo sa con certezza. Perché, come hanno ricordato i pm di Napoli, quello compiuto da De Caro ai danni della biblioteca è uno «spettacolare assassinio», che ha provocato «una ferita insanabile» al patrimonio culturale italiano.

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«È come se avessero messo una volpe a far la guardia al pollaio». È questa l’immagine con cui un testimone commenta la nomina di De Caro, consigliere del ministro dei Beni Culturali dell’epoca, il berlusconiano Giancarlo Galan, a direttore della Biblioteca dei Girolamini, avvenuta nel 2011. Perché lui, personaggio multiforme, con un passato dichiarato di mercante di libri in Argentina in buoni rapporti con la Biblioteca Vaticana e di uomo di collegamento fra la politica italiana e alcuni oligarchi russi, dalle carte dell’indagine appare soprattutto un falsario e un ladro di testi antichi. Ha poco o nulla del Lucas Corso di Arturo Pérez-Reverte, il cacciatore di libri del “Club Dumas”, appassionato divoratore di carta stampata fin da bambino. Perché De Caro e i suoi complici quelle antiche pagine, pur di renderle irrintracciabili, sono pronti a smembrarle, tagliarle, rovinarle per sempre. Lo ha ammesso lui stesso negli interrogatori, in un racconto con molte ombre che ha portato, il 15 marzo scorso, alla prima condanna con rito abbreviato a sette anni di carcere per peculato, assieme ad altri cinque componenti della sua banda.

Due episodi, giusto per capire il soggetto. Nell’autunno del 2011 De Caro si reca in un’altra storica istituzione napoletana, la Biblioteca Nazionale. Nota la prima edizione del “Sidereus Nuncius” di Galileo Galilei, l’opera del 1610 in cui il filosofo pisano, grazie all’invenzione del cannocchiale, rivela al mondo l’esistenza dei pianeti medicei, come decide di battezzare i satelliti di Giove. Un pezzo che sul mercato non vale meno di 200 mila euro. De Caro ne fa preparare cinque falsi di finissima fattura, torna alla Nazionale e ne piazza uno al posto di quello vero. Il quale, in un vortice di copie autentiche e fasulle, sembra finire all’asta a Monaco. E ancora: si reca a Montecassino, dove si presenta come emissario di Galan. Distrae il frate che lo accompagna chiedendogli di accompagnare la sua giovane assistente ucraina, Viktoriya Pavlovskiy, a visitare la biblioteca. E preleva dagli scaffali diversi capisaldi del pensiero. Il Kalendarium venduto a Parigi; un incunabolo - i volumi stampati con caratteri mobili - con le opere di Aristotele uscito dal torchio del tipografo Aldo Manuzio a fine Quattrocento; una “Divina Commedia” di un secolo più tardi e uno dei primi scritti di Galileo, “Le operazioni del compasso geometrico”, stampato nel 1601 per illustrare il funzionamento di uno strumento di calcolo che il geniale pisano aveva realizzato.

Per capire come la volpe De Caro abbia potuto entrare nel pollaio dei Girolamini, la seconda biblioteca italiana ad essere aperta al pubblico, nel 1586, ricca di un tesoro di 171 mila volumi, i magistrati di Napoli hanno chiamato a testimoniare l’ex ministro Galan, che non è indagato e si è detto all’oscuro dei traffici del suo consigliere. Per chiunque abbia a cuore il prestigio artistico nazionale, il racconto è da brividi. Ha detto che De Caro gli aveva fatto già da consigliere quando era ministro dell’Agricoltura; che gli era stato segnalato da Marcello Dell’Utri, storico amico di Silvio Berlusconi, e dalla di lui moglie Miranda; e, infine, che aveva creduto alle sue vanterie di insegnare all’Università di Verona, la città dove abita. Quando non era neppure laureato. Già all’Agricoltura De Caro svaligia la biblioteca del ministero di venti antichi erbari. E quando segue l’ex governatore veneto alla Cultura, si ritrova in una posizione da sogno. Con i galloni ministeriali comincia a girare per biblioteche pubbliche, fino a quando mette gli occhi sui Girolamini.

Incastonata tra i chiostri maiolicati di una delle più grandi basiliche di Napoli, la biblioteca dove nei primi anni del Settecento il grande filosofo della storia Gian Battista Vico trascorreva le giornate cercando di non dar peso alle proprie ristrettezze economiche, è stata chiusa ai visitatori per molto tempo. Danneggiata durante l’ultima guerra, dopo il terremoto del 1980 è stata utilizzata addirittura come ricovero per gli sfollati, riuscendo a preservare più o meno intatto il proprio inestimabile patrimonio.

Poi arriva De Caro. Il primo giugno 2011, con una procedura irregolare, il falsario si fa nominare direttore dal conservatore della biblioteca, padre Sandro Marsano, che oggi è indagato con lui nel secondo filone dell’inchiesta condotta dalla Procura. Non ci mette molto a iniziare la spoliazione: dopo due giorni Marsano fa pressioni sui dipendenti per disattivare l’impianto di sicurezza e il 16 giugno scendono a Napoli i complici, incaricati del trasporto. Una perfetta macchina da guerra: c’è chi seleziona i volumi, chi li preleva e li sistema in scatoloni, chi li fa uscire notte tempo dall’ingresso di via Duomo e chi li manomette per cancellare il luogo di provenienza.

Se possibile, c’è un lato ancora peggiore: vengono distrutti i preziosi archivi utilizzati per la catalogazione dei libri, così da rendere impossibile ricostruire con certezza quanti e quali sono stati rubati. «La Biblioteca offre il drammatico spettacolo della devastazione di un bene dell’umanità, distrutto nel suo complesso», scrivono i tecnici del ministero. Che dicono di aver provato, entrando nei Girolamini, la stessa angoscia vissuta di fronte alle immagini della Biblioteca di Sarajevo cannoneggiata da Ratko Mladic, o di quella di Lovanio, in Belgio, distrutta dai nazisti nel 1941.

Dopo la prima condanna per peculato, le indagini coordinate dal procuratore aggiunto di Napoli, Giovanni Melillo, si stanno concentrando sulle responsabilità dei vari soggetti dell’organizzazione di De Caro. Nel frattempo, compiuti i primi grandi sequestri e bloccati i beni dell’ex direttore e dei suoi uomini, inseguono le partite di libri più piccole, ricche di esemplari pregiati, finite nella disponibilità di un giro di intermediari e collezionisti, a volte di rilevanza internazionale, in altre occasioni del tutto insospettabili.

Tra i contatti di De Caro, il nome più noto è quello, ancora una volta, di Dell’Utri. Il custode infedele dei Girolamini, che invitava il suo illustre sponsor politico a visitare la biblioteca di notte, gli ha consegnato «in regalo e senza rivelargli la provenienza», assicura lui, almeno 14 volumi. Tommaso d’Aquino, Leon Battista Alberti, Giordano Bruno, per non parlare di una copia della “Scienza nuova” di Vico annotata a mano dall’autore. Dell’Utri ha dato indicazioni perché i magistrati potessero sequestrarglieli nei suoi uffici in via Senato, a Milano. È stato così recuperato, ad esempio, uno dei pezzi più importanti mancanti: una delle legature Canevari, come viene chiamata una serie di incunaboli decorati con cammei che raffigurano Apollo su una biga tirata da due cavalli, talmente pregiati da aver generato un fiorente mercato di falsi. A Napoli ce n’erano 28 su 144 conosciuti, il nucleo più consistente al mondo. De Caro, oltre a quello che avrebbe donato a Dell’Utri, è accusato di averne sottratto un altro, ancora disperso. Mentre lo stesso ex senatore di Forza Italia non ha restituito una ricercatissima “Utopia”, il testo del 1516 dove il filosofo inglese Thomas More descrive una comunità ideale fondata sul diritto naturale. La copia non era negli uffici di via Senato: «Si trova nella personale disponibilità del senatore, verrà restituita appena sarà reperita», ha risposto la curatrice della biblioteca di Dell’Utri, Annette Maria Pozzo. Da allora sono passati mesi.

Il numero degli acquirenti dei libri, peraltro, è enorme. I magistrati ne hanno individuati numerosi in due note librerie antiquarie italiane, la milanese Mediolanum e la torinese Pregliasco. Ma i “runner” di De Caro, come si chiamano in gergo le staffette che portano i volumi a destinazione, con lo scopo di nasconderne l’origine, sono arrivati ovunque. Anche perché, indagando sul direttore della Girolamini, sono emersi tanti altri furti, dove non è sempre lui in prima persona ad essere implicato.

Sono spariti volumi antichi all’Istituto Provolo e alla Biblioteca capitolare di Verona, alla Biblioteca dei Cappuccini di Fermo, alla Angelo Mai di Orvieto e a quella dei Padri Scolopi, a Firenze. Il ventaglio dei compratori è molto ampio; se ne trovano a Firenze, Verona, Perugia, Arezzo e Mantova. Per non parlare di quello dei destinatari finali, che includono nobili e imprenditori, dentisti e proprietari di noti ristoranti. Piste investigative che non sempre daranno risultati ma che, ogni volta, aprono nuovi interrogativi. Come nel caso dell’agricoltore veneto ottuagenario che ha battuto all’asta proprio da Christie’s 28 volumi che arrivano dai Girolamini, e che De Caro era corso a Londra a ricomprare, nell’intento di mostrare ai critici che bravo direttore fosse. Piccolo particolare: quei volumi erano tutti compresi in una partita di 79 opere regolarmente dotate di un attestato - autentico - di libera circolazione firmato dalla Soprintendenza dei beni librari della Lombardia.

Il lato più complesso della caccia porta però al cuore di quel circolo ristretto di prenditutto del mercato internazionale. Un circolo al quale appartengono, fra gli altri, gli italiani Umberto Pregliasco e Filippo Rotundo, il francese Stéphane Clavreuil, uno dei proprietari della libreria Thomas-Scheler, nonché l’americano Richard Lan, titolare di un prestigioso atelier di libri rari e mappe antiche, il Martayan Lan di Manhattan. Interrogato come persona informata dei fatti, Rotundo ha mostrato agli inquirenti la sua «dolorosa sorpresa» per aver comprato da un contatto di De Caro un dialogo stampato da Galileo sotto il nome di Cecco da Ronchitti, rubato a Verona anni fa. Mentre Lan ha acquistato una prima edizione della “Astronomia nova”, il trattato del 1609 in cui l’astronomo tedesco Keplero scopre le leggi che regolano il movimento dei pianeti.

Riportare a Napoli tutti quei tesori, dunque, non sarà facile. Alcuni sono perduti per sempre, per altri ci vorranno anni. I “Monuments men”, gli ufficiali alleati che contribuirono a salvare l’arte italiana dalle distruzioni e dalle razzie della guerra, portati sullo schermo da George Clooney e Matt Damon in un film in uscita a Natale, terminarono la loro missione il primo dicembre 1945, sei mesi dopo la fine del conflitto. Per riparare i danni del tifone De Caro, invece, ci vorrà molto di più. Perché i libri rubati sono fiumi carsici. Si inabissano in un mondo di collezionisti disposti a tutto pur di averli. Per poi ricomparire, dopo decenni di clandestinità, dove meno te li aspetti.