Poi c’è lei. L’imprevisto. La «piccola» Ruth Davidson, come la chiamano in Patria a dispetto di avere solo un anno in meno dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron. «L’eroina delle recenti elezioni», come ha sottolineato l’ex parlamentare George Osborne.
Non solo per la prima volta dai tempi di Margaret Thatcher con Davidson i Tories conquistano seggi in Scozia. Non solo ha sconfitto Nicola Sturgeon, la leader socialista che avrebbe voluto indire un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia, ormai definitivamente seppellito. Ma quei 13 parlamentari nuovi di zecca, tutti suoi fedelissimi, si sono addirittura rivelati cruciali per la sopravvivenza dei Tories a Downing street. E lei l’unica vincitrice in mezzo a una banda di sconfitti.
Ormai è impossibile non fare i conti con questa entusiasta sostenitrice dell’Unione, sia essa europea o britannica, che adesso chiede, in assenza di alternative, almeno una Brexit misurata per difendere «l’apertura della Scozia e della Gran Bretagna al mondo». E che esige garanzie sui diritti prima di accettare l’alleanza tra i Tories e il retrogrado partito Udp dell’Irlanda del Nord, unica regione britannica a non riconoscere il matrimonio gay, ad avere rigide politiche antiabortiste e a negare i cambiamenti climatici.
Impossibile è anche ignorare la sua enorme e crescente popolarità nella base del partito conservatore, a cui hanno aderito anche tanti cittadini delle classi meno abbienti, delusi dalla sinistra. Al punto che in molti, nonostante la sua ritrosia, visto che più volte in passato ha detto di non avere ambizioni da primo ministro ma di voler fare un figlio, si stanno chiedendo se non sia invece il caso di usarla al più presto per cambiare pagina e rifarsi il look. Abbandonando tacchi leopardati e cacce alla volpe a favore di scarpini da calcio e tornei di kickboxing, il suo sport preferito.
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Di certo Davidson è ben lontana dallo stereotipo del politico conservatore. È figlia di un mugnaio che in gioventù era stato centrocampista per il Partick Thistle e il Selkirk FC. Adora lo sport e l’avventura. Ed è apertamente lesbica: da un paio di anni è ufficialmente fidanzata con una sua coetanea irlandese, Jen Wilson, operatrice sociale, che avrebbe già sposato se il loro cane, Wilson anche lui, non fosse stato vittima di un incidente stradale e le sue cure mediche non avessero esaurito il budget destinato alle celebrazioni.
Incidente è la parola che più di ogni altra ha caratterizzato la vita di questa donna bassa, tarchiata e determinata. All’età di cinque anni è stata investita da un camion fuori dalla casa dei genitori: un’esperienza che le ha scolpito il corpo e la vita. Gamba destra, arteria femorale e bacino furono disintegrati dall’impatto. Mesi a letto in ospedale completamente ingessata. Mesi per riprendere a camminare. Mesi per imparare a difendersi dalle prese in giro dei compagni di fronte all’andatura claudicante e alle infinite cicatrici.
Ma l’Incidente, così racconta lei, la fortificò, rendendola capace di assorbire e reagire a un attacco, sia esso fisico o verbale. «Quando la gente fa un commento omofobo sono la prima a metterlo in evidenza o a farne un tweet», aveva detto in un’intervista alla Bbc: «Sono tanti i giovani che mi seguono su Twitter e voglio che sappiano che è okay reagire. Che non bisogna accettare insulti simili».
Per anni la politica non fece però parte della sua vita. Davidson scelse invece le file dell’esercito inglese come volontaria riservista, «dove imparai la leadership», e dove imparò anche a non risparmiarsi fisicamente: all’incidente seguirono altre cadute, altre fratture. «Sono un vecchio uccello dalla pelle dura», si prende in giro da sola.
Lasciò l’esercito per iscriversi all’università (pubblica) di Glasgow e studiare letteratura inglese. E sempre a Glasgow intraprese la carriera di giornalista (sono famosi i suoi dibattiti accesi con Boris Johnson, l’altro ex giornalista celebre dei Tories) per la Bbc. Brava ma non bravissima, lascerà l’emittente nel 2009, anno in cui si iscrive a un master di Sviluppo internazionale e si arruola tra le file dei militanti conservatori.
Da allora la sua ascesa in politica è stata fulminea. Entrata nel parlamento scozzese nel 2011 per il rotto della cuffia, si è immediatamente ritrovata nella rosa dei quattro candidati alla successione della leader Annabel Goldie, costretta alle dimissioni dopo avere perso due seggi a favore dei socialisti. Aveva 35 anni. Il suo avversario principale, Murdo Fraser, di fronte al disastro elettorale, proponeva la secessioni dei Tories della Scozia e la fondazione di un nuovo partito alleato con i Tories nazionali. Lei era contrarissima. E vinse, seppur di poco. Era il novembre del 2011. Poco più di due anni dalla sua entrata in politica.

Ma per diventare conosciuta anche nel resto della Gran Bretagna c’è voluto il referendum del 2016, contro cui è andata a sbattere la vecchia leadership Tory, aprendo involontariamente le porte a nuove figure, entusiaste, travolgenti e fuori dai canoni tradizionali. Con gli occhi rivolti al futuro e privi della nostalgia per le vecchie glorie inglesi, che - l’adesione alla Brexit lo ha reso evidente - ancora attanaglia, fuori e dentro il partito, gli over 50 dai doppiopetti blu e i soprammobili indiani, persi in un mondo con troppi pochi confini, impoveriti dall’assenza dell’Impero. «Il meglio della nostra storia nazionale è davanti a noi» è la frase che l’ha resa cara a tanti giovani scozzesi, così indotti a preferirla a Sturgeon nelle recenti elezioni, affascinati anche da una donna che non dà alcuna importanza alla moda e ai modi, che si fa fotografare a cavalcioni del cannone di un carro armato (che in molti sostengono abbia imparato a guidare in gioventù) avvolto nella bandiera unionista o mentre tira in porta un rigore perfetto, o serve coni gelati come non avesse fatto altro nella vita, o gareggia a suon di pinte di birra.
Per Davidson, come per i nuovi politici d’Europa, il divario politico non è più tra sinistra e destra ma tra aperto e chiuso. E lei tifa per un mondo aperto, in sintonia con la stragrande maggioranza dei giovani britannici. Nelle parole di una sua confidente: «Perfino nei luoghi in cui ci sono coloro che sono stati lasciati indietro dalla globalizzazione Ruth dice che la risposta non sono le barriere». È a favore dell’aiuto estero, del libero commercio, dei visti agli studenti e dell’interventismo umanitario. «Filosoficamente è la versione Tory di Tony Blair». All’indomani delle elezioni lampo volute da May, confidò ai suoi che se i Tories si fossero di nuovo presentati come un facsimile dell’Ukip per catturare gli anziani amareggiati avrebbero fatto morire il partito».
Oltre a un’energia dirompente (e al particolarissimo momento storico che sta vivendo la Gran Bretagna) a sostenerla sono anche una parlantina spigliata e un senso dell’umorismo insieme divertente e feroce. Disorientante. Poco prima delle elezioni di giugno, in risposta a un giornalista che le chiedeva come avrebbe potuto vincere la sfida contro i socialisti di Sturgeon rispose: «Nel combattimento non conta quanto è grande un cane ma quanto è grande la voglia di combattere nel cane».
Subito dopo il referendum sulla Brexit, Davidson non si è tirata indietro sui commenti taglienti verso i colleghi di partito. Alludendo sarcasticamente a Andrea Leadsom, l’ex rivale di May, penalizzata nella corsa al premierato da alcune sue battute sulla mancata maternità della premier e dalla falsificazione di una parte del suo curriculum, ha ironizzato durante una conferenza stampa: «Prima di entrare in politica non ero solo una giornalista della Bbc, ma ho anche salvato da sola il sistema bancario britannico dal collasso della (banca) Barings. E un fatto poco conosciuto è che ero l’orso Misha durante le Olimpiadi del 1980 e che in quello stesso anno ho vinto l’Eurovisione, cosa che, parlando da madre (ndr: frase che aveva usato Leadsom), non è una conquista da poco».
Su Boris Johnson e il partito laburista invece non ha esitato a ricorrere a una metafora sessuale, senza peli sulla lingua: «La differenza tra i nostri due partiti è che mentre il Labour non riesce ancora a togliersi i pantaloni, i Tories si stanno godendo la loro sigaretta postcoitale dopo avere rimesso nei pantaloni un gigantesco “Johnson” (termine gergale per l’organo maschile e cognome del ministro degli Esteri)». Così, in un’unica battuta, è riuscita a fare un complimento e a dare della testa di “c...” all’estravagante populista.
Che con lo stesso stile riuscirà ad imporsi anche nella capitale non è scontato. Ma oggi sono in molti a sperarlo.