Il terremoto di Ischia ci riconsegna l'immagine di un'Italia pronta a emozionarsi e a unirsi di fronte al salvataggio di un bambino ma incapace di dire basta agli scempi del territorio. Mentre la politica mostra ancora una volta tutta la sua ipocrisia

Siamo sempre stati e sempre saremo l’Italia di Vermicino. Quella che per foga di narrare, sviscerare dettagli, documentare fotogramma per fotogramma il dramma di Alfredino nel pozzo inventando la diretta, quel real time che fece il successo del teleracconto negli anni che seguirono, si dimenticò di salvare quel bimbo. La ragione per cui tutto quel circo politico, tecnico e giornalistico si era spostato lì. Eravamo questa Italia e lo siamo rimasti. Anche se Ciro e il fratellino si sono salvati. Si sono salvati nonostante noi, nonostante il loro Paese, nonostante tutto. Si sono salvati da soli, fratelli eroi per caso di un dramma tutto italiano, che non si chiama nemmeno terremoto, ma si chiama abusivismo, ipocrisia, criminalità, condono, slogan elettorali, pietismo.

L’abusivismo che per motivi politici si condanna durante la legislatura, senza nulla fare per fermarlo, e poi quando comincia la campagna elettorale si difende. È un comportamento che misura la temperatura etica del nostro incivile Paese. Dove nell’anniversario del sisma di Amatrice un altro terremoto colpisce Ischia, ma ha una stranezza in più. Un terremoto che, stando ai sismografi, non doveva causare morti né crolli. Ma stando alla vita reale, alle balle raccontate per anni, alla speculazione, alle case di cartapesta che per quattro voti oggi qualcuno ha pure il coraggio di difendere, sono cadute e hanno ucciso. Mentre tutte le telecamere, come a Vermicino appunto, erano puntate su Ciro e sul fratello. Che ce l’hanno fatta, e tutti tiriamo un sospiro di sollievo, ma che non hanno nessuno da ringraziare, una volta usciti fuori da quel cratere di calcinacci e buio, silenzio e morte, proprio nessuno. Noi giornalisti per primi, sempre al solito posto. Oltre la linea rossa. Consapevoli eppure ignari che quella narrazione finirà per coprire ancora una volta la vera ragione di quella corsa contro il tempo e contro la morte. Il respiro di Ciro sotto le macerie conta gli anni, i decenni di criminale sfruttamento del territorio. Mentre le lacrime di commozione per quelle sue parole di bambino «mi vuoi bene?» pronunciate con un filo di voce dalle viscere di quella che fino a pochi istanti prima era il suo rifugio, la sua tana, il luogo più sicuro dell’isola, non devono distoglierci dall’urlo che abbiamo il dovere di levare: basta! La natura non si domina, ma le concessioni edilizie sì. La furia della terra non si placa né con gli oroscopi né con i sismografi, ma le perizie sì.

E, come una nemesi, mentre tutto questo succede e il premier Paolo Gentiloni, la toppa per tutti i buchi di questo strampalato paese, con quel tono pacato e sottinteso, mostra che lo Stato c’è, anche qui la realtà è un’altra. Vasco Errani, che scelse di tornare a un ruolo politico accettando dal governo Renzi l’incarico di commissario alla ricostruzione dopo Amatrice, sceglie ancora una volta la politica dimettendosi per ragioni personali, pardon per scaduto incarico (come dicono dall’ufficio stampa), quando tutti sanno che in gioco c’è la candidatura in Parlamento con ciò che resta del terremotato, stavolta per cause del tutto spiegabili e prevedibili, partito democratico. Sfortuna vuole, ma in politica la fortuna conta, che le dimissioni arrivino proprio quando la terra trema ancora. E quando per un istante Ciro, da sottoterra, ci fa capire quanto ipocrita e effimero sia il mondo di sopra. Quello dove la politica ha messo in strada i poveri a difendere le loro catapecchie che la legge non avrebbe mai consentito e che in un paese normale sarebbero state demolite anni e anni fa. Per farci pena. Per dirci che in fondo è un’ingiustizia. Tanto poi mica è vero che vengono i terremoti. Mica è vero che cascano le case. Mica è vero che servono i bambini, come angeli sepolti, a ricordarci che per caso la vita può essere più forte della morte. Anche quando si è fatto di tutto per dimostrare il contrario.

Twitter @Tommasocerno