Nella “Recherche” desiderio e sospetto coincidono. E costituiscono la nevrosi dei personaggi dietro cui si nasconde lo scrittore
Ho riletto varie volte nel corso della vita “Recherche” costruita come un labirinto di specchi e di personaggi. Il personaggio che vi appare di continuo è proprio lui, Marcel Proust, dietro le più diverse maschere. Debbo dire che rileggere tre o quattro volte, come a me è capitato, in età diverse della vita propria, quel libro fa un’impressione variante perché viene da ciascuno dei suoi lettori impersonato in modi alquanto diversi dalla lettura precedente e questo è capitato anche a me. Ne parlo oggi perché è l’ultima lettura che ho fatto di quello splendido libro nel quale Marcel assume i più diversi atteggiamenti e comportamenti.
A volte Marcel è usato come un nome di fantasia, un personaggio tra personaggi; a volte è soltanto la voce parlante che porta avanti il racconto, a volte è Swann, a volte è l’Autore, a volte è Charlus. Queste maschere a loro volta sono colte dagli specchi in vario modo: i loro vizi risultano in modo impietoso, oppure viene mostrata e descritta la loro mitezza, la loro generosità, talvolta il loro coraggio e talaltra la loro abiezione come gli specchi d’un labirinto che ti ritraggono fedelmente oppure deforme, nano o gigante, concavo o convesso nelle pieghe del volto e del corpo. Sappiamo tutti che la “Recherche” è un viaggio nell’inconscio, nelle nevrosi dell’autore. Un’autoanalisi attentissima e minuziosa in un’epoca in cui la psicoanalisi freudiana si era da tempo imposta come terapia psichica ma anche come racconto della psiche e delle sue deformazioni, incidendo profondamente sulla cultura novecentesca. Ma Marcel dà sempre fattezze femminili a un personaggio reale maschile e ai suoi amici omosessuali. Dico questo per segnalare l’ambiguità del testo e il fascino che quell’ambiguità emana.
“Amore vuol dire gelosia” sono le parole di un vecchio tango di moda negli anni Trenta del Novecento e sono il nucleo centrale della nevrosi proustiana e del romanzo di cui stiamo parlando.
Come è dolorosa la vita di quell’uomo in pena, chiuso in un corpo ammalato cui manca il respiro soffocato da un’asma che si confonde con l’ansia dell’anima, si macera nella gelosia, nel sospetto, nei desideri che è la stessa gelosia a suscitare; desideri impuri, come Marcel li definisce impietosamente.
Naturalmente subì molti tradimenti dai suoi compagni tra i quali di volta in volta ne sceglieva uno ed era corrisposto per un periodo quasi sempre breve e quindi nella sua opera cambiava loro nomi e volti. Ad un certo punto del libro Proust ammette che l’amore è indissolubilmente legato all’apparato mentale che la sua gelosia gli ha costruito attorno e che svanirebbe d’un colpo nel momento stesso in cui il sospetto diventasse certezza e facesse scomparire la gelosia e il desiderio.
Questo modo di pensare non è una malattia soltanto perché ci capita anche se siamo sani nella salute fisica e mentale ma guardiamo da vicino la nostra vita e il nostro Io che la conosce, la determina e la autocritica.
Mentre rileggevo per la quarta volta nel corso della mia lunga vita la “Recherche” ho dato anche un’occhiata agli aforismi di Elias Canetti e ne ho trovati alcuni che integrano la lettura di Proust in una maniera letteraria totalmente diversa, ironica, paradossale, ma direi animata da uno stato d’animo e da una condizione mentale che somiglia molto a quella proustiana. Ne riferisco qualche parola.
«Il rispetto per la propria donna, fidanzata o moglie che sia, è in gran parte rispetto per la propria controfigura. Ci si rispetta reciprocamente perché si è sempre insieme. Ciò che la donna guadagna così in autorità, lo perde in quanto donna. La sua condotta è parallela a quella dell’uomo e non le è consentito tralignare dal modo d’essere di quest’ultimo. Donna potrà ancora esserlo, tutt’al più, quando lui e lei non sono insieme; in tal caso ella guarda verso di lui, invece che procedere al suo fianco».
«Chi adora il successo è comunque perduto: se lo ottiene, finisce per assomigliargli; se non lo ottiene, si strugge nel più falso degli aneliti».
«In un’epoca meno commerciale il successo si chiamava ancora gloria; forse allora era più bello».
«Io temo stelle che non conosco».
Non vi pare che queste considerazioni di un autore così diverso da Marcel descrivono una mente e un personaggio che integra in modo completamente diverso il precedente? Naturalmente questo autoesame condotto in modi così diversi non è il solo. La letteratura moderna ne è gremita. Pensate a Novalis, a Schopenhauer, a Pascal, a La Rochefoucauld e soprattutto a Montaigne. In tempi come quelli che stiamo vivendo dovrei raccomandare la lettura di questi libri ai nostri uomini politici dei vari partiti che sono tra loro in fiera battaglia. La politica senza cultura vale molto poco, predominano gli intrighi e la passione del potere: senza una cultura che li assista somigliano più all’animale che all’uomo responsabile.