I colossi dei device pagano mezzo miliardo all’anno a medici e strutture. Per vendere congegni a rischio. Spesso non necessarie. Nuovo allarme mondiale per i seni artificiali cancerogeni. In Italia nessun controllo su molte donne in pericolo
Decine di pazienti in attesa. Hanno portato le loro cartelle sanitarie, ma non vanno in ospedale. Stanno entrando in una caserma della Guardia di Finanza. Per essere sentiti come testimoni e possibili denuncianti. I convocati sono più di cento, divisi in turni giornalieri. Tutti hanno nel corpo una protesi ortopedica prodotta dalla
multinazionale francese Ceraver. E tutti sono stati operati nel più grande ospedale privato di Monza. Dove due affermati chirurghi sono stati arrestati per tangenti: mazzette di contanti per impiantare quei congegni artificiali nei pazienti. Uno scandalo di corruzione nella sanità, l’ennesimo. Con un sospetto inquietante: quegli interventi chirurgici non erano necessari, le protesi sarebbero state installate in persone sane solo per fare soldi. Più profitti per la multinazionale. E più soldi in nero per un plotone di medici corrotti.
L’inchiesta giornalistica internazionale
Implant Files, coordinata dal consorzio Icij e pubblicata domenica 25 novembre da L’Espresso, ha rivelato dati mondiali impressionanti: più di un milione e mezzo di persone hanno subito gravi lesioni collegate a dispositivi (medical device) difettosi, guasti, usurati o malfunzionanti, dagli apparecchi per il cuore alle protesi ortopediche. Tra molti congegni efficaci e sicuri, realizzati con moderne tecnologie che salvano la vita a milioni di persone, ci sono anche dispositivi-killer. Dal 2008 al 2017 solo le autorità statunitensi hanno registrato oltre 82 mila casi di morte e più di un milione e 700 mila lesioni personali. Sono i costi sociali della mancanza di regole e controlli. Che favoriscono una massiccia corruzione, aggravando i disastri sanitari. Storie di soldi e malaffare sulla pelle dei malati.
Gli oltre cento pazienti interrogati in Brianza sono stati operati da due chirurghi arrestati l’anno scorso per corruzione e associazione per delinquere. Erano i boss dell’ortopedia del Policlinico di Monza, un ospedale privato accreditato, e quindi rimborsato dalle casse pubbliche, con una decina di cliniche tra Lombardia, Piemonte e Liguria. La struttura monzese, nel quinquennio incriminato, era diventata una fabbrica di degenti, con 2.368 persone ricoverate per quattro volte o più (con punte di 19) e una media di 6 protesi impiantate in ogni seduta operatoria (con un record di 16) da moltiplicare per 1.243 giornate di interventi. Le intercettazioni spiegano il perché di questi ritmi: c’è una squadra di medici che incassa tangenti per ogni protesi impiantata. E ci sono anche dottori onesti, che rifiutano il sistema, ma vengono emarginati. Nel settembre 2017, dopo due anni di indagini, scatta la retata dei camici bianchi: 5 in carcere, 9 ai domiciliari, 7 sospesi dalla professione, 1 al soggiorno obbligato.
Dopo l’arresto, i direttori commerciali della Ceraver Italia confessano di pagare mazzette da più di dieci anni in molte regioni. Una corruzione sistematica, a tutti i livelli. I manager, confermando le intercettazioni, fanno i nomi di decine di medici di base, dalla Lombardia alla Calabria, dall’Emilia alla Toscana, che incassano soldi per reclutare pazienti. Quei dottori di famiglia li chiamano nei loro ambulatori, li fanno visitare dagli specialisti venuti da Monza e intascano 20-25 euro, in nero, per ogni presunto malato che accetta di farsi applicare una protesi. Ai chirurghi ortopedici va il triplo, 75 euro per ogni impianto all’anca o al ginocchio (in media, tremila euro al mese) oltre a vacanze gratis all’estero, ristoranti di lusso con amici e amanti, bonus aziendali per l’alto numero di interventi.
L’inchiesta si allarga ad altri ospedali e cliniche private: agli Istituti Zucchi di Monza finisce agli arresti il primario di ortopedia, a Lucca vengono indagati altri specialisti, tra cui un colonnello medico militare di Roma. I magistrati trasmettono fascicoli a molte procure per indagare su dottori di altre città, come Milano, Varese, Lecco, Como, Bergamo, Piacenza, Reggio Emilia, Torino, Massa, Pescara. I manager arrestati giurano che «il mercato delle protesi funziona così» e spiegano di aver cominciato a pagare dottori oltre dieci anni fa, quando lavoravano per industrie tedesche o americane: «Quando siamo passati alla Ceraver, abbiamo portato con noi anche i medici corrotti, coi loro pazienti». Le intercettazioni più gravi fanno temere un disastro sanitario. I due chirurghi poi arrestati arrivano a dirsi, con divertita volgarità, che «queste protesi francesi fanno veramente cagare» e i colleghi onesti «si rifiutano di impiantarle». Mentre loro continuano, anzi ne approfittano per chiedere tangenti più alte alla Ceraver «per il disturbo, che aumenta».
La multinazionale francese difende la qualità delle sue protesi, «comprovata da oltre vent’anni di studi clinici: la salute dei pazienti non è mai stata messa a rischio». Gli sfoghi dei chirurghi intercettati, insomma, potrebbero dipendere dalla loro incapacità di utilizzarle. Invece di azzardare un difficile processo sui dispositivi, approvati da illustri scienziati finanziati dalla stessa azienda produttrice, la Procura di Monza ha posto ai medici legali un quesito diverso:
quelle protesi erano davvero necessarie? In più di cento casi, la risposta è stata negativa: i pazienti non erano invalidi, si potevano curare con mezzi molto meno invasivi. Per questo, nelle settimane scorse, la Guardia di Finanza ha raccolto le testimonianze delle vittime della corruzione sanitaria. Una patologia che infetta l’intero mercato dei device (oltre 350 miliardi di euro all’anno) dominato da mille conflitti d’interessi e rapporti incestuosi tra medici e aziende.
Le multinazionali dei dispositivi hanno dovuto pagare, dal 2008 ad oggi, più di un miliardo e 600 milioni di dollari alle autorità americane per chiudere procedimenti per tangenti, frodi e altre violazioni. Nei device c’è una nuova tecnologia della corruzione, più moderna delle tradizionali buste piene di denaro che negli anni di Tangentopoli portarono in carcere l’intero vertice della sanità italiana, compreso il ministro De Lorenzo.
Prima e dopo gli arresti di Monza, le protesi ortopediche fanno scandalo anche a Milano. Dove due squadre di chirurghi di fama internazionale vengono arrestati per tangenti. Organizzate con nuovi sistemi corruttivi: medici che diventano soci occulti delle aziende fornitrici dei device.
SOLDI E SEGRETI IN OSPEDALE«Tutto molto bene»: è il messaggio inviato alle 14.49 del 16 febbraio 2017 da un imprenditore lombardo al responsabile dei laboratori dell’istituto ortopedico Galeazzi di Milano. Il manager è a Francoforte ed è raggiante: si è appena aggiudicato una lucrosa fornitura alla multinazionale Heraeus Medical. E suggella il messaggio (intercettato) con tre emoticon, tre faccine che sorridono: quel colosso tedesco. con un giro d’affari da 21 miliardi, venderà nel mondo migliaia di dispositivi brevettati proprio dall’imprenditore, dal dirigente medico e dallo specialista che guida il reparto interessato dell’ospedale privato. Tre minuti dopo, i due camici bianchi commentano il successo dell’imprenditore, che chiamano «il ciccione», pianificando con entusiasmo le spese che potranno permettersi: una Maserati Ghibli da centomila euro, «blu metallizzata, interni in cuoio, cerchi in lega bruniti...».
Lo stesso imprenditore, arrestato nell’aprile scorso, è accusato di aver corrotto altri famosi chirurghi dell’ospedale ortopedico Pini, sempre a Milano. Anche qui si scoprono medici in affari con le imprese. Un primario dell’ospedale pubblico, attraverso una società anonima britannica, controlla il 33 per cento dell’azienda che commercializza un prodotto (Avn) per la rigenerazione dei tessuti ossei. Brevettato dal solito imprenditore e dallo stesso luminare dell’ortopedia. In aggiunta, il medico intasca altri 206 mila euro per presunte consulenze al gruppo (sei aziende) dell’amico. Che a sua volta incassa cinque milioni e mezzo dall’ospedale pubblico per le forniture raccomandate dal primario. Il processo, che chiama in causa anche la direttrice sanitaria nominata dalla Regione Lombardia, è iniziato in ottobre. L’imprenditore e il primario hanno confessato, risarcito oltre mezzo milione di euro e patteggiato condanne attenuate (tre anni al manager, due anni e 10 mesi al medico). A Monza il processo, che coinvolge anche i vertici francesi della Ceraver, si aprirà l’anno prossimo. In attesa del prossimo scandalo.
Sotto la corruzione, tra medici e aziende c’è un’ampia zona grigia, ai confini della legalità. Le aziende pagano consulenze, studi, pubblicazioni e brevetti a decine di dottori e scienziati. Secondo i dati americani raccolti con l’inchiesta Implant Files, le dieci più ricche multinazionali dei device hanno versato quasi 600 milioni di dollari, solo l’anno scorso, a medici e ospedali. Una star californiana dell’ortopedia, Thomas Schmalzried, ha incassato circa 30 milioni di dollari dalla Johnson & Johnson per sviluppare due protesi “metallo su metallo”: una è stata poi ritirata dal mercato, quando nuove ricerche cliniche indipendenti hanno dimostrato che avvelenava i pazienti.
Negli Usa le aziende di device sono obbligate a dichiarare tutte le donazioni. E dal 2010 una legge ammette solo versamenti «modesti» per finanziare studi o convegni medici. In Italia la trasparenza è ancora lontana. Assobiomedica, l’associazione delle aziende italiane dei dispositivi, ha varato l’anno scorso un codice etico, che entrerà in vigore gradualmente. Dal gennaio prossimo, alle aziende che invitano dottori a «convegni, corsi o seminari» si raccomanda di «non proporre alberghi a cinque stelle, viaggi in prima classe, località turistiche, prolungamenti di trasferte a spese dell’organizzazione». E solo dal 2021 le società saranno tenute a «rendere noti sul proprio sito tutti i trasferimenti economici a favore di società scientifiche, provider, organizzazioni sanitarie, consulenze, donazioni, borse di studio». Nell’attesa, le piccole e grandi industrie possono continuare a finanziare medici e scienziati, compresi quelli che certificano la sicurezza dei loro prodotti.
Medtronic, la più ricca e contestata multinazionale dei device, ha dovuto pubblicare, negli Usa, le sue donazioni dirette agli ospedali italiani. Che poi acquistano i suoi prodotti. Nella lista compaiono il
Niguarda (progetto CareLink) e tre diversi cardiologi di Milano (nel 2012 e 2013); il
San Filippo Neri di Roma (15 mila euro nel 2013 al reparto di un cardiochirurgo poi sospeso); alcuni specialisti del
San Matteo di Pavia (nel 2013); gli ospedali di
Urbino (2017),
Crema (2018) e
Desenzano (2012); borse di studio per il
San Carlo di Milano (2017) e il
San Giovanni di Roma (2018); computer in regalo all’azienda ospedaliera
Brotzu di Cagliari (2013).
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Fra tanti generosi regali, spiccano 140 mila euro donati da Medtronic nel 2016 alla Città della salute di Torino, per un centro medico diretto da un professore che risulta anche autore delle linee-guida per la sua specialità. In base alla nuova legge Gelli, i dottori che rispettano quelle direttive non possono essere condannati per colpa medica. Finora s’ignorava che le linee guida pubbliche le avesse scritte uno specialista finanziato da un colosso privato dei device. Sempre secondo i dati resi pubblici dal consorzio Icij, la multinazionale americana ha donato almeno 60 mila euro anche a Federanziani, l’associazione italiana che ha promosso in televisione nuove terapie e dispositivi per la terza età, targati Medtronic. La sua controllata italiana Ngc invece non fa regali: ha investito 4,8 milioni di euro in una clinica privata di Castel Volturno, diretta da un cardiochirurgo che è un entusiastico sostenitore del Tavi. Il nuovo congegno cardiaco di Medtronic che sta conquistando anche il mercato italiano, nonostante i dubbi sulla sua durata.
TRAGEDIE INVISIBILII finanziamenti delle industrie a medici e scienziati sono leciti, fino a prova contraria, ma mettono in dubbio l’indipendenza delle verifiche che dovrebbero garantire la sicurezza dei pazienti. In Europa, dove i dispositivi sono autorizzati da società private pagate dagli stessi fabbricanti, l’inesistenza di controlli pubblici (e di dati imparziali) fa aumentare anche le tragedie nascoste. Il consorzio Icij ha schedato ben 2.100 casi di device associati a decessi, che invece erano stati registrati solo come guasti o lesioni minori. Un problema gravissimo di mancati allarmi (under-reporting) confermato anche dal nostro ministero della salute. La situazione più drammatica, in questi giorni, riguarda alcuni tipi di protesi al seno, sospettati di rompersi facilmente e provocare una rara forma di cancro. Dopo i primi allarmi in Gran Bretagna e Olanda, l’anno scorso la Fda americana ha rafforzato i controlli. E gli incidenti registrati sono schizzati alle stelle: dal 2008 al 2016 venivano segnalate meno di 300 lesioni all’anno; nel 2017 sono salite a 4.567, con 8 vittime. E solo da gennaio a giugno di quest’anno sono già stati censiti altri sette morti e ben 14.415 ferimenti. Pochi giorni fa l’agenzia francese Ansm ha invitato a sospendere questi modelli: entro febbraio si deciderà se vietarli e rimuoverli. In Italia però non esiste una banca dati per identificare migliaia di donne a rischio: da anni è previsto un registro nazionale delle protesi al seno, ma non è ancora attivo.