Crescono gli incidenti. E le vittime. Le cause: contratti precari, macchinari vecchi e pochi controlli

Forse un giorno i robot ci porteranno via il lavoro, allontanandoci dalla catena di montaggio, ma nel frattempo, nelle industrie italiane si continua a morire, sempre più frequentemente, al ritmo di tre al giorno. L'Espresso in edicola domenica 1 aprile anticipa la relazione 2017 dell'Anmil, l'associazione degli invalidi sul lavoro, che lancia l'allarme sulla preoccupante crescita degli incidenti sul posto di lavoro. Nel 2017 sono morte 1.115 persone in cantiere, in fabbrica o in viaggio. Negli ultimi dieci anni il conto è di 13.100 decessi, una mattanza. Se negli anni della crisi più nera, quando l'industria aveva avviato procedure di cassa integrazione, il numero di incidenti era crollato, dal 2015 si è verificata un'inversione di tendenza, finché nel 2017 è cominciata una crescita molto consistente che, nel primo trimestre dello scorso anno, era arrivata fino a toccare un aumento dell'otto per cento.
Analisi
Smettiamola di chiamarle morti bianche
18/10/2017

I settori che, con la ripresa economica, fanno registrare i maggiori aumenti in termini infortunistici sono proprio quelli legati ad attività industriali in cui si riscontrano più marcati segnali di ripresa produttiva, vale a dire l’industria metallurgica (più 6,1 per cento), la metalmeccanica (più 4,2 per cento), i trasporti (più 3,9 per cento). A livello territoriale si assiste a un netto contrasto tra le regioni produttive e industrializzate del Nord e quelle del Centro-Sud. Infatti nel Nord Ovest, cioè nell'area motore della crescita economica, gli incidenti sono cresciuti del 20,6 per cento.

Il fenomeno ha delle cause ben precise, come racconta Franco Bettoni, presidente di Anmil a L'Espresso: «La manodopera è diventata più precaria e quindi meno formata all'utilizzo delle macchine. Manca una cultura della sicurezza che, come in altri paesi europei, dovrebbe essere insegnata nelle scuole professionali».
Ma ci sono anche altre motivazioni. Ad esempio, sempre a causa della crisi, molte aziende hanno rinunciato a investire su nuovi macchinari, mantenendo in funzione impianti datati e con scarsa manutenzione. Inoltre, nonostante un grande impianto legislativo, il 97 per cento delle aziende ha la ragionevole speranza di non ricevere mai alcuna visita di controllo, perché gli ispettori sono mosche bianche, spesso chiamate a rispondere alle emergenze. Non solo la probabilità di un controllo è remota, ma il sistema italiano di prevenzione è talmente frammentato da rendere complessa qualsiasi verica: il ponteggio è collaudato dall’ispettore del lavoro, i montacarichi dall’Ispels, istituto per la prevenzione, mentre l’Asl si occupa della veri ca dell’ascensore dell’u cio e il ministero dello Sviluppo Economico veri ca la regolarità delle miniere, mentre le regioni entrano in scena nel settore dell’industria estrattiva di seconda categoria. Poi ci sono i vigili del fuoco con l’occhio puntato sulle norme anti incendio.

E anche nei casi più gravi, in cui le aziende finiscono sotto processo ci si scontra con le lungaggini burocratiche e con le difficoltà di effettuare indagini. A questo si aggiunge il florido business della formazione aziendale che spesso non organizza neppure i corsi ma si limita a consegnare diplomi. Attestati che tuttavia non salvano la vita a chi sta su un ponteggio o in mezzo a una fabbrica.

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