Una gigantesca macchina acchiappa consenso. Anzi, due: quella di Salvini e quella di Di Maio. Che lavorano divise per colpire unite. Vi raccontiamo chi c’è dietro e quali strategie mediatiche usa. «Oggi noi costruiamo la realtà più credibile»

Dopo la tragedia di Genova, anche coloro che hanno in antipatia Lega e M5S non possono più negare che nel governo c’è un ministero che funziona bene. L’unico che porta a casa risultati eccellenti e in tempi rapidi. Un dicastero modello che dà linfa quotidiana all’esecutivo.

Ecco: il ministero della Propaganda, seppure non ha un vero e proprio titolare, è il fiore all’occhiello del gabinetto grilloleghista, con un obiettivo prioritario: quello di accrescere il più possibile i consensi da raccogliere poi nelle urne. In questo senso, l’ovazione riservata ai due vicepremier da parte della folla che assisteva ai funerali di Stato delle vittime del crollo del Ponte Morandi e le bordate di fischi contro il mite segretario del Pd Maurizio Martina segna uno spartiacque, anche politico, della Terza Repubblica appena cominciata.

Piaccia o meno, la compagine governativa s’è mossa davanti alla catastrofe come mai nessun governo aveva fatto prima: promettendo di colpire duramente - prima ancora che magistratura o i tecnici imbastissero un’indagine sulle cause del crollo - Autostrade per l’Italia e i Benetton (assurti a simbolo di tutte le odiate élite che si sono ingrassate ai danni del popolo); indicando gli avversari politici (il Pd su tutti) come complici dei potenti, e dunque correi della sciagura.

Una strategia comunicativa forte, un mix di prese di posizione sensate, di forzature ipocrite e anche dichiarazioni del tutto irrazionali, che ha però efficacemente trasformato il governo, agli occhi della maggioranza degli italiani, in un “giustiziere” senza macchia e senza paura. Un disegno mediatico collaudato durante la campagna elettorale, che stavolta s’è avvantaggiato delle mosse scriteriate dei Benetton (incredibili i comunicati in burocratese con cui la società ha ricordato che in caso di revoca della concessione lo Stato avrebbe dovuto risarcire gli azionisti con miliardi di euro, surreali le grigliate ferragostane della casata) e degli esponenti del Pd e di Forza Italia, che non possono negare di aver concesso a Ponzano Veneto la gestione della rete autostradale con contratti che hanno favorito enormemente la famiglia veneta a danno dei veri proprietari dell’infrastruttura. Cioè i cittadini.

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Ma, al netto degli eventi genovesi, come funzionano gli ingranaggi dell’organismo pentaleghista? Innanzitutto il Ministero della Propaganda, come tutti gli altri, ha capi, luogotenenti e sottoposti; ma è l’unico che non chiude mai i battenti. Quelli che contano davvero si contano su una mano, ma gli addetti e i collaboratori esterni sono centinaia e lavorano 24 ore su 24 senza concedersi pause. Sabati e domeniche compresi.

Anche se diviso in due direzioni teoricamente concorrenti (quella affidata agli architetti della comunicazione leghista Luca Morisi, Andrea Paganella e Ida Garibaldi; l’altra capeggiata dai grillini Pietro Dettori e Rocco Casalino), al ministero fantasma M5S e Lega lavorano per ora di comune accordo, spalla a spalla, monitor a monitor.

La strategia è basata su diversi campi d’azione. In primis sullo sfruttamento capillare di Facebook, di Twitter, di YouTube, piattaforme conquistate con software sofisticati che moltiplicano i messaggi promozionali e monitorano minuto per minuto il “sentiment” degli utenti, in modo da capire cosa vuole la gente e cosa darle per accontentarla. Il ministero, dunque, sforna a getto continuo campagne e video su Internet che muovano indignazione verso i nemici del “cambiamento”, oltre a tonnellate di news (vere, verosimili o fasulle poco importa) in grado di esaltare i leader.

Le tecniche di Morisi e di Dettori, potenti social manager di Lega e M5S, sono diverse, ma sulla personalizzazione del messaggio propagandistico hanno idee simili: se Salvini s’è posto fin dall’inizio come capo indiscusso del partito, da un po’ anche la Casaleggio Associati ha abbandonato “l’uno vale uno”, e investe ogni sforzo strategico su pochissimi soggetti politici.

Oltre al web, al ministero presidiano militarmente anche le televisioni: deputati e senatori della maggioranza vengono indottrinati in modo da usare, nei tg e nei talk, solo slogan semplici e comprensibili a tutti, studiati per smuovere emozioni basiche come rabbia, rivalsa, paura. Nessun sottoposto può rilasciare dichiarazioni senza il permesso dei due “sottosegretari” in pectore del ministero, in cui imperano Rocco Casalino - portavoce di Conte e gran visir di tutta la comunicazione del Movimento, e Iva Garibaldi, la zarina di Matteo. Loro compito è pure quello di convincere - con le buone o le cattive - conduttori e giornalisti a trattare gli ospiti spediti negli studi con il guanto di velluto, in modo da fare sempre bella figura. Chi non sta alle regole, rischia di andare in onda senza i politici che fanno share.

I risultati del lavoro indefesso del ministero sono evidenti: lo strano governo ircocervo vive con il Paese una luna di miele senza precedenti, con sondaggi che oggi regalano ai due partiti percentuali di consenso bulgare (a metà agosto tutti gli istituti di ricerca davano a M5S e Lega circa il 65 per cento delle preferenze totali, equamente divise). Dati mostruosi, soprattutto se confrontati con l’immobilismo dell’esecutivo, che nei primi cento giorni ha fatto in verità poco o nulla di concreto. A parte il “decreto dignità” ed escludendo la guerra ai migranti e l’abolizione dei vitalizi (operazioni gestite sempre dal ministero della Propaganda), sfogliando il registro delle cose fatte dal gabinetto Conte ci si imbatte in pagine immacolate.
Rocco Casalino e Iva Garibaldi

«Non siamo affatto preoccupati dall’arrivo dell’autunno e dai lavori sulla Finanziaria. Sappiamo che difficilmente potremo realizzare subito le promesse su flat tax e reddito di cittadinanza», dice un alto dirigente del ministero, sponda Salvini. «Ma al tempo della post-verità e dei fatti alternativi (copyright Donald Trump, ndr) il principio di realtà è un paradigma sopravvalutato. La realtà è una “percezione”, un “racconto” ben fatto. Oggi noi e quelli della Casaleggio siamo quelli che costruiscono le realtà più credibili. Renzi e Berlusconi, che pure sono stati due maestri dello storytelling, sono rimasti indietro. Le loro tecniche sono antidiluviane. Non hanno nemmeno capito che ormai le campagne elettorali non finiscono mai. Se non stai sul pezzo 24 ore su 24, scompari».

La “Bestia” di Salvini
Andiamo con ordine, partendo da una delle stanze più segrete del ministero virtuale. È il regno di Luca Morisi, che se per molti è un perfetto sconosciuto, in realtà è oggi uno degli uomini più influenti d’Italia. Insieme a uno staff di una decina di persone, è lui ad aver condotto le operazioni mediatiche che hanno portato in tre mesi Salvini dal 17 per cento dei voti al 30 per cento delle preferenze segnalato in questi giorni dai sondaggi.

Mantovano, laurea e dottorato in filosofia, 44 anni ma faccia da eterno ragazzino, Morisi è una via di mezzo tra Casaleggio e Steve Bannon, ed è la mente (o l’anima nera, secondo i critici) dietro le mosse comunicative (e dunque politiche) del capo del Carroccio. Ex consigliere provinciale della Lega nella sua città, ideatore nel lontano 2004 di un sito che solidarizzava con il ministro Giulio Tremonti appena cacciato dal secondo governo Berlusconi, Morisi ha conosciuto Salvini tra il 2012 e il 2013, e ne ha di fatto accompagnato tutta la scalata a via Bellerio.
Andrea Paganella, Matteo Salvini e Luca Morisi

Morisi dal 2009 è titolare della srl Sistema Intranet, una srl che ha firmato un contratto da 170 mila euro l’anno con la Lega; in passato ha fatturato centinaia di migliaia di euro con le Asl di mezza Lombardia, secondo i malpensanti grazie alle entrature con i direttori sanitari in quota Lega. Inizialmente s’offre a Matteo solo come esperto del web. Ma ben presto Salvini ne intuisce il talento e lo promuove a suo principale consigliere mediatico.

Oggi Luca analizza il flusso dei dati sulla rete, attraverso un sistema informatico personalizzato che lui stesso chiama «la Bestia», e imbecca il frontman del Carroccio sulla polemica o la dichiarazione che può diventare virale sui social. È lui ad inventare il nomignolo “Il Capitano”, con cui tutti i leghisti chiamano oggi il capo, ed è sempre lui a spingerlo a mettersi felpe e a posare a torso nudo per “Oggi”, vendendo poi le foto originali su eBay. È ancora lui a ordinare con una email, nel settembre del 2015, ai parlamentari leghisti di non fare auguri pubblici di compleanno a Bossi, grande rivale di Salvini.

Il guru è il primo a spiegare al Capitano che deve concentrare tutte le sue energie non solo in tv e sul territorio, ma soprattutto girando video da diffondere sui social. Non solo su Twitter, il social per addetti ai lavori amato anche da Matteo Renzi, ma soprattutto su Facebook, dove gran parte degli italiani passa intere giornate guardando filmati e condividendo messaggi e informazioni.

«In cassa non c’è un euro, come facciamo con le sponsorizzazioni?», gli chiede Matteo. «Nessun problema, con “La Bestia” moltiplicheremo i tuoi contatti a dismisura spendendo poco o nulla», gli risponde Morisi. Detto fatto: a dicembre 2014 i like di Salvini sono già 518 mila, ma in tre anni e mezzo Luca li porta a quasi 3 milioni, quintuplicandoli. Morisi “forza” l’algoritmo di Facebook per far apparire la faccia e le ruspe di Salvini anche sulle pagine di persone che mai avrebbero visitato la sua. Inventa concorsi come il “VinciSalvini” promettendo che con un like veloce a un post del Capitano si può vincere una foto, una telefonata o un incontro con il leader, e adesso qualcuno teme che Morisi sia riuscito a creare un enorme database di informazioni sensibili di tutti coloro che si sono iscritti al concorso.

«Nulla di illegale», spiegano dalla Lega. È un fatto che oggi nessun politico in Europa abbia un seguito social paragonabile a quello del leader leghista, che può ostentare anche un impressionante “engagement”, ossia il tasso che misura l’interazione online dei seguaci. Su Facebook Salvini ha quasi tre milioni di fan, Di Maio è sui due milioni (ma negli ultimi sei mesi è cresciuto di ben 800 mila follower), mentre Renzi e Berlusconi sono bloccati a poco più di un milione, con tassi di crescita ridicoli: 13 mila fan in più per l’ex segretario del Pd, 23 mila per il Cavaliere di Arcore, che probabilmente avrebbe dovuto seguire prima i consigli che gli imbeccava il suo media manager, Antonio Palmieri.

Morisi però non è solo uno smanettone. Anche se lo nega con vigore, il “digital philosopher” e “social megafono”, come si autodefinisce, suggerisce a Salvini anche qual è il contenuto politico migliore da veicolare: dai cartelloni sessisti contro Alessandra Moretti alle dirette Facebook sui tetti del Parlamento, fino al cambio di colore del partito (dal “verde” padano al più moderato “blu” fregato ai presunti alleati di Forza Italia), Luca tutti i santi giorni dice a Salvini quali sono i messaggi politici che funzionano meglio.

Analizzando i video sulla pagina Fb di Salvini dal 4 marzo a oggi, con decine di milioni di visualizzazioni complessive, lo schema è ancora più chiaro. Morisi propaganda soprattutto filmati di reati commessi dagli immigrati (da quando è ministro dell’Interno abbiamo contato oltre una decina di “video choc” su neri e clandestini, contro appena due dedicati a criminali italiani), esalta il corpo del capo (il film di Salvini che fa il bagno nella piscina della villa sequestrata ad un boss è stato visto da quasi un milione di persone, i selfie a torso nudo a Milano Marittima da oltre 1,6 milioni), ridicolizza avversari politici, come Renzi, Boldrini, finanche il disegnatore Vauro o i «radical chic buonisti di Capalbio che non portano i migranti a casa loro».

Milioni di like e visualizzazioni premiano anche fake news, come quella che due settimane fa raccontava come a Vicenza fosse scattata una protesta di alcuni richiedenti asilo arrabbiati perché «volevano vedere Sky». Una balla già smentita dalla prefettura, ma che la coppia Salvini-Morisi ha cavalcato ugualmente. Sperando forse di rinnovare il successo di un filmato dello scorso febbraio intitolato «Spero che questo video lo veda Renzi», in cui Salvini, tornato giornalista, affermava che alcuni immigrati avevano organizzato un picchetto davanti a un centro profughi perché pretendevano di vedere le partite di calcio sulla tv satellitare. Il video era finito per settimane sulla homepage di YouTube.

Altri pezzi forti sono stati postati da Morisi nella giornata campale del 4 marzo, nelle ore in cui bisognava convincere gli ultimi indecisi. Ci sono le immagini di una donna a Siena sfrattata dalla sua casa («prima gli italiani!», dice il sottopancia del video da 12 milioni di visualizzazioni; la notizia era vecchia di quattro mesi), o quelle su presunti clandestini «che buttano il cibo e distruggono il centro». Cronache locali del lontano 2016, ma ottime per la propaganda anche due anni dopo: ad oggi contano la bellezza di 30 milioni di visualizzazioni.

Il Grillo magico
Al dipartimento leghista del ministero della Propaganda i dati della “Bestia” e i modi per usare al meglio l’algoritmo di Mark Zuckerberg vengono esaminati anche dalla Garibaldi (i due vivono di alti e bassi), dal socio di una vita Paganella, da big come Giorgetti e Siri, dai ragazzi dello staff di Morisi come Andrea Zanella, Daniele Bertana e Leonardo Foa. Quest’ultimo è il figlio di Marcello, il giornalista sovranista e putiniano che i leghisti vorrebbero senza se e senza ma come nuovo presidente Rai o, in second’ordine, come direttore di un tg. Ma alla fine della fiera è Salvini che decide la sintesi finale.

Nel piano occupato dal Minculpop grillino, invece, non sempre è il capo politico ad avere l’ultima parola. I “sottosegretari” alla Propaganda Dettori e Casalino hanno infatti un rapporto strettissimo anche con Davide Casaleggio, presidente della società omonima e dell’associazione Rousseau, la piattaforma operativa del M5S. Figlio di Gianroberto, l’uomo che prima di tutti aveva compreso le enormi potenzialità della rete, è proprio Davide a dare l’ok definitivo alle strategie propagandistiche del “grillo magico” di Di Maio.

Il caso
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Dettori, unico dipendente di Rousseau, è un ragazzo schivo e silenzioso, e meno esuberante dell’ex Grande Fratello Casalino, beccato a fare spin a favore del movimento persino durante i funerali delle vittime del crollo del ponte Morandi. Ma in realtà è Pietro l’artefice principale del successo mediatico del M5S: ha curato per anni il blog di Grillo, ha realizzato i siti moltiplicatori di notizie (e di bufale) come “La Fucina” e “Tze-Tze”, ha scritto lui stesso post non firmati che davano la linea su decisioni legate alle votazioni o alle espulsioni.

Mentre Beppe Grillo faceva il “passo di lato” aprendo un nuovo blog sganciato dai Cinque Stelle, Dettori ha costruito quasi da solo il nuovo hub del partito sui social, lavorando sugli algoritmi per diffondere il verbo attraverso decine di siti ufficiali e ufficiosi, e realizzando, dal nulla, il successo delle pagine social delle star del movimento, come quelle di Di Maio, di Di Battista, di Virginia Raggi e, più di recente, del premier Giuseppe Conte (già seguito da 800 mila persone). Se Morisi lavora verticalmente quasi solo per i profili di Salvini, Dettori e la Casaleggio preferiscono una rete con più siti e pagine che si rimandano l’un l’altra.
Pietro Dettori e Davide Casaleggio

Qualcuno racconta persino che sia stato proprio Dettori - dopo il gran rifiuto di Sergio Mattarella a nominare il no euro Paolo Savona come ministro dell’Economia - a suggerire ai vertici l’ipotesi da fine mondo, quella dell’avvio dell’iter di impeachment del presidente della Repubblica.

Al ministero della Propaganda giurano invece sia stato Di Maio in persona, aiutato dal fido Casalino, a realizzare l’operazione finora più fruttuosa messa in piedi dal dipartimento grillino, quella che aveva al centro la cancellazione del contratto da 150 milioni di euro per il cosiddetto “Air Force Renzi”. Per annunciare la notizia urbi et orbi Di Maio ha deciso di girare lo spot direttamente dentro la carlinga dell’aereo da 300 posti (voluto dal vecchio esecutivo Pd per scarrozzare ministri e imprenditori nelle missioni istituzionali all’estero, il veicolo è stato sfruttato pochissimo, uno spreco evidente anche al piddino più sfegatato).

Ebbene, il video ha ottenuto in pochi giorni oltre 5 milioni e mezzo di visualizzazioni sulla pagina di Di Maio, ma - come segnala Luca Ferlaino di SocialcomItalia - «prendendo in esame tutte le pagine grilline si superano ormai i 10 milioni di spettatori. Sono numeri da finale di coppa del Mondo».

Personaggi
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La risposta di Renzi, messa a punto insieme al social media manager del partito Alessio De Giorgi, evidenzia bene la differenza tra la capacità di fuoco dell’apparato propagandistico del governo e quello dell’opposizione: nel video, che conta su un flusso di visualizzazioni dieci volte minore rispetto a quello di Di Maio e Toninelli, il leader dem si difende assiso dietro a una scrivania, mostrando in bella vista proprio il modellino dell’Airbus: l’effetto finale è quello di un autogol, di una pilotina contro un incrociatore.

Dettori e Casalino sono anche gli uomini che hanno spinto di più per far approvare subito l’abolizione dei vitalizi dei parlamentari, festeggiata dal vicepremier con un live-Facebook seguito e applaudito da milioni di italiani.

«Noi attacchiamo i giornali per creare una contrapposizione funzionale, ma sappiamo che non contate più nulla nella formazione del consenso», concludono dalle stanze del ministero. «Di Maio e Salvini, Dettori e Morisi, hanno capito che la gente le notizie, vere o fasulle che siano, ormai non le vuole più “leggere”, ma le vuole solo “vedere”. In tv, certo, ma ancor di più sullo smartphone. Quanti pensano che leggeranno l’articolo che stai scrivendo? Se sei fortunato qualcuno si soffermerà sul titolo, al massimo sulle prime righe. E se metti questa mia dichiarazione alla fine del pezzo, puoi stare sicuro che non la leggerà quasi nessuno».