Calci e schiaffi al Verano. Vecchi neofascisti dove non dovrebbero essere. Sotto gli occhi della polizia. E una rete di rapporti criminali. Il racconto in prima persona di Federico Marconi, il giornalista de L'Espresso a cui Giuliano Castellino ha urlato: "Ti sparo in testa"

Non sono tanto gli schiaffi a fare male. E neppure il calcio ricevuto mentre con Paolo Marchetti ci trovavamo al cimitero del Verano per raccontare il raduno di Forza Nuova e Avanguardia Nazionale, neofascisti riuniti per commemorare i giovani camerati uccisi nella strage impunita di Acca Larentia il 7 gennaio 1978 davanti alla sede del Movimento sociale italiano. A lacerare è soprattutto la violenza con la quale siamo stati accerchiati, intimiditi. È soprattutto il fatto di ritrovarsi nel mezzo di un branco pronto a tutto pur di soggiogarti.

Nel branco c’era anche il capo romano di Forza Nuova Giuliano Castellino, che nonostante sia sottoposto al regime di sorveglianza speciale si trovava sul luogo infrangendo il divieto imposto. Di lui racconteremo nelle pagine a seguire. Certo ha dell’incredibile che un “sorvegliato” si possa ritrovare con altri camerati e poi aggredire chi è lì per raccontarlo, esercitando un diritto garantito dalla Costituzione. Eravamo li per raccontare una notizia vera e documentata che però non piaceva a Castellino.

Federico Marconi
Ritorniamo al pomeriggio del 7 gennaio. I neofascisti si sono ritrovati al cimitero romano perché qui c’è il mausoleo in memoria dei loro caduti. Alle 14.30 si erano riuniti membri del movimento neofascista Avanguardia Nazionale insieme a Forza Nuova e Fiamme Nere, per commemorare «tutti i camerati assassinati sulla via dell’onore». Il riferimento è anche ai militanti del fronte della gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, uccisi quarantuno anni fa.

L’Espresso con estrema discrezione e rispetto per il luogo - il cimitero scelto dai neofascisti per la commemorazione - era sul posto per documentare una notizia: la manifestazione organizzata da un movimento, Avanguardia nazionale, già sciolto negli anni ’70 perché eversivo. Ma in Italia le cose funzionano così, la memoria è corta e anche Avanguardia può avere una seconda vita, e con arroganza ritagliarsi ancora spazio nella galassia dell’estrema destra. Eravamo lì anche per un altro motivo. Da qualche tempo avevamo avviato un’inchiesta giornalistica sui neri a Roma. Una macchia che si sta espandendo sempre più sulla Capitale.
Così Paolo ed io siamo andati sul posto per documentare l’abbraccio nero tra il vecchio che torna e il nuovo che avanza. Tra quella Avanguardia ricostituita dal vecchio leader Stefano Delle Chiaie, cattivo maestro di moltissimi giovani neofascisti, e i forzanovisti di Giuliano Castellino. Quel pomeriggio, sebbene Delle Chiaie non fosse presente, c’erano alcuni vecchi capi del movimento eversivo. Tra cui Vincenzo Nardulli, veterano del neofascismo capitolino.

Siamo entrati così nel cimitero monumentale a seguito del corteo, sempre come testimoni discreti. Poi l’inquadramento dei militanti, la marcia e l’arrivo al mausoleo. Lì è Nardulli a parlare a nome di tutti: «Al di là di tutte le differenze tra le nostre sigle, bisogna unire tutto ciò che è condivisibile sotto l’aspetto emotivo e organizzativo, per un percorso insieme nel nome di coloro che hanno dato la vita». Castellino condivide senza aggiungere altro. Ecco l’abbraccio tra il vecchio e il nuovo, nel nome dei morti. Fin lì un’atmosfera tranquilla. Ma dopo il “presente” di rito dei camerati alcuni esponenti dell’estrema destra si sono avvicinati a Marchetti. Con spinte e pesanti minacce gli hanno intimato di consegnargli la scheda di memoria della macchina fotografica. L’hanno ottenuta ma non contenti, gli hanno chiesto il documento per identificarlo, senza che le forze dell’ordine intervenissero. Paolo allora urla di essere un giornalista dell’Espresso. E l’atmosfera cambia di colpo e si fa più cupa.

Anche io, volto non conosciuto, ero stato fermato da un altro neofascista. Ma poi al grido «L’Espresso è peggio delle guardie», sono stato afferrato con violenza dal capo romano di Forza Nuova Giuliano Castellino e allontanato dal Mausoleo. Mentre mi obbligavano a scendere le scale mi rifilavano un calcio tra il gluteo e la coscia. E una volta nel viottolo qualcuno prendendomi alle spalle mi sferra uno schiaffo. Tutto questo però non è stato filmato, o almeno non è stato pubblicato sulle pagine di Avanguardia come invece è stato fatto per un breve video che riprende solo la parte finale della mia “espulsione” dal cimitero. E così, convinti di sbugiardarci, hanno omesso tutta la violenza che ci era stata inflitta in precedenza.

Esclusivo
Svastica e malavita a Roma: viaggio tra i neofascisti della Capitale
17/1/2019
A Castellino è vietato partecipare a manifestazioni pubbliche e frequentare pregiudicati, ma era incredibilmente lì come se nulla fosse. È probabilmente questa la causa dell’aggressione. Perché avremmo documentato la piena violazione della restrizione. Sono stato spintonato e schiaffeggiato mentre il capo di Forza Nuova e Nardulli avevano il mio cellulare e il portafoglio. Dal telefono hanno cancellato foto e video della giornata. Scorrendo la galleria delle immagini è riuscito a vedere l’istantanea di una pagina di Facebook. Materiale che avevo salvato per l’inchiesta giornalistica condotta con il collega Giovanni Tizian sulle trame nere nella Capitale. Immagini sulla rete di relazioni che legano Castellino al quartiere di San Lorenzo. Queste foto hanno mandato ancor di più in incandescenza il capo romano di Forza Nuova, che ha gridato «Ti sparo in testa».
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Solo allora sono intervenute le forze dell’ordine, sul posto dall’inizio della manifestazione, che mi hanno permesso di riprendere possesso dei miei effetti personali e di potermi allontanare dagli aggressori. Non è accettabile che, nell’Italia del 2019, siano i giornalisti a diventare notizia per le aggressioni, le intimidazioni e le minacce che subiscono svolgendo il loro lavoro. E non potranno essere solo la legge, le istituzioni, la magistratura a mettere fine a questa vergogna. Il rispetto dei diritti di tutti non può essere imposto, ma dovrebbe essere consapevolmente condiviso.