Prima l’accanimento contro le Ong. Ora 
gli sgomberi dei Cara. 
La guerra agli Sprar. 
E l’isolamento di chi assiste i migranti. È la fase due del Viminale. 
La più violenta. Ma nonostante tutto, le iniziative di solidarietà non si fermano (Foto di Christian Mantuano per L’Espresso)

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A mezzanotte e un quarto di martedì 22 gennaio il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, 46 anni, pensa al suo ultimo post prima di andare a dormire. Centodiciassette migranti sono annegati da poche ore tra la Libia e l’Italia. Altri cento, compresi alcuni bambini, sono rimasti per dodici ore alla deriva senza soccorsi su uno scafo che imbarcava acqua. Quarantasette, per sua decisione, sono prigionieri da giorni sulla nave Sea Watch 3 che nessun porto vicino accoglierà. E lui, il ministro-vicepremier del governo del cambiamento italiano, viene improvvisamente attraversato da un sentimento di tenerezza.

Facebook immortala il momento, con foto, data e orario: «Un gattino lasciato tra la spazzatura come se fosse un ferrovecchio. Idioti e vigliacchi», scrive Salvini sulla sua pagina personale e incolla indignato l’articolo sul felino adulto abbandonato dentro una gabbietta a Mestre, «tra il bidone della carta e quello della plastica, per terra», come spiegano le prime tre righe della dolorosa cronaca.

Sì, bisogna cominciare a chiamarla per come appare: una devianza da quell’equilibrio mentale e umano che ogni democratico, ogni politico, ogni partito costituzionale, di qualunque colore, sa di dover sempre rispettare di fronte alla sofferenza di uomini, donne e bambini. È ormai incontrollabile la velocità con cui questo governo sta demolendo l’immagine e le funzioni della nostra democrazia. E anche come, contemporaneamente, stia criminalizzando gli stranieri a colpi di sgomberi per trasformarli nel nemico necessario allo scopo: giusto perché sia chiaro a tutti gli immigrati, a noi e magari all’Europa che dal mese di gennaio 2019 l’Italia ha dichiarato guerra al mondo della solidarietà e ai suoi abitanti non solo in mare, ma anche a terra: alla rete locale dei Cara, degli Sprar e a tutto ciò che ha un sorriso. È la strategia della paura trasformata in legge dalla maggioranza gialloverde in Parlamento, con l’approvazione due mesi fa del suo decreto di presunta sicurezza.
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Se la doverosa tutela di un animale domestico merita più attenzione di tutto il resto, però, abbiamo già superato i confini dell’orrore. Fermiamoci un attimo e ripassiamo cosa è accaduto quest’ultima settimana, nel misero silenzio del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e dell’azienda-patron del governo, la Casaleggio associati. Al suo risveglio, la mattina dopo aver scritto il post sul gattino, Matteo Salvini manda la polizia a Castelnuovo di Porto appena fuori Roma per scacciare dal centro di accoglienza il primo gruppo di stranieri regolari. Proprio così: erano regolari fino all’approvazione del decreto sicurezza che da un giorno all’altro ha cancellato gran parte delle forme di protezione umanitaria e ha trasformato migliaia di persone già in Italia in immigrati illegali.
Migranti
Istruzioni per resistere alla deriva disumana
28/1/2019

Nelle stesse ore l’altro vicepremier del Movimento 5Stelle, Luigi Di Maio, nomina Lino Banfi ambasciatore all’Unesco per la nostra cultura, nell’anno in cui Matera ne è la capitale europea: come se aver recitato nel film “Kakkientruppen” basti come curriculum internazionale. Sempre nelle stesse ore, nella grande piazza davanti alla stazione Centrale di Milano, riapre il mercato quotidiano di cocaina gestito da bande di criminali africani che non sarebbe male veder processati con i loro fornitori italiani e poi rimpatriati. Ma qui nessuno manda poliziotti o carabinieri. Ci pensa Brumotti: arriva infatti l’inviato in bici della tv della famiglia Berlusconi, si prende le minacce dei pusher, un calcio che gli rompe un cerchione e, alla fine, anche i complimenti del ministro dell’Interno-vicepremier della Lega. «Un abbraccio all’amico Brumotti, un ringraziamento per le sue inchieste, il mio impegno a combattere i delinquenti ogni giorno, con ogni mezzo, strada per strada», gli scrive Salvini su Facebook.
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Sempre nelle stesse ore di martedì 22 gennaio, il giorno in cui dal mare sbarca sulla terraferma la politica del «saremo cattivi» già promessa nel 2009 dall’altro ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni, pochi italiani decodificano la lucida follia della propaganda gialloverde: la tenerezza per il gattino, un attore nazional-popolare alle Nazioni Unite, la polizia contro gli inermi di Castelnuovo di Porto e la telecamera GoPro tra gli spacciatori sul casco di Brumotti per l’audience serale di Striscia la notizia. Pochi italiani, sì, praticamente nessuno. Infatti, nelle stesse ore, il gradimento di Matteo Salvini su Facebook sfonda il muro di tre milioni e quattrocentomila seguaci, o followers, o likers, come si chiamano oggi i simpatizzanti del consenso digitale. Il record dei record, per un politico europeo. E cominciano ad arrivare i saluti di qualche gilet-jaune, i giubbotti gialli della protesta francese contro il presidente Emmanuel Macron che l’accoppiata di vicepremier Salvini-Di Maio, nelle stesse identiche ore, insulta a distanza: ma senza avere il coraggio e la capacità di portare il loro dossier a Parigi e trasformare le critiche sul neocolonialismo in Africa e soprattutto in Libia, a volte fondate, in sana politica internazionale. Certo, immaginate l’ambasciatore Lino Banfi in missione all’Eliseo. Nella totale assenza del nostro ministero degli Esteri sulla questione, magari una risata servirebbe. Almeno nei saluti: «A fra poco o, come dicono i francesi, a frappé!».
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A Castelnuovo intanto, nelle stesse ore, i centocinquanta che non potranno rinnovare il permesso di soggiorno vengono sloggiati in quattro e quattr’otto. Gli altri con il permesso sono già saliti su un pullman diretto verso centri più piccoli sparsi per l’Italia. Gli ultimi, per un totale di cinquecento persone, verranno spostati entro fine mese. La questura ha scelto la giornata più fredda di gennaio per mandare i nuovi irregolari a dormire sui marciapiedi. Le telecamere li riprendono mentre si allontanano tirando un trolley, confezionato come uova di Pasqua in cellophane colorati. Ma è l’audio che colpisce, più delle immagini. È il ticchettio della pioggia sugli ombrelli che proteggono le telecamere e i cameraman dei telegiornali: la colonna sonora di un film in cui è l’eroismo dei più deboli a perdere.

Un senegalese racconta che se avesse i soldi, tornerebbe subito a casa. Si chiama rimpatrio volontario assistito, lo prevede la legge. Ma Salvini ha tagliato i fondi anche a quello. Perché forse rimpatriarli è contrario allo scopo: i migranti devono andare a dormire per strada, devono ridurre le stazioni come Termini in dormitori per disperati. Così che il popolo che sostiene questo governo possa vederli e aver sempre più paura. Se poi qualcuno di loro, spinto dalla fame o dalla rabbia, si mette a delinquere, tanto meglio. Se poi qualcuno degli altri si fa carico di un presunto destino non suo e comincia a sprangare o a sparare, come ha già fatto un leghista a Macerata proprio un anno fa, amen.
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Non si vede altra logica in quello che stanno facendo. A noi non resta che brandire la Costituzione, l’articolo 2, l’articolo 3, l’articolo 4, l’articolo 8, l’articolo 10 e tutti gli altri. Come fanno con una pacifica marcia di protesta gli abitanti di Castelnuovo, il loro sindaco Riccardo Travaglini in prima fila, il parroco José Manuel Torres, il vescovo Gino Reali, i sindacati locali, gli ospiti rimasti e i dipendenti del centro di accoglienza che perderanno il lavoro. Come fanno gli instancabili volontari del centro Baobab della capitale, costretti dopo ventotto sgomberi a inseguire gli sfollati con pasti, tè e coperte. E a loro volta inseguiti e denunciati da una polizia irriconoscibile, obbligata dal ministero a fare sgomberi su sgomberi, ovunque vadano, senza nessuna logica strategica, economica, sociale. Come fa la Caritas di Milano che continuerà ad assistere anche chi ha non ha potuto rinnovare i documenti. Come fanno migliaia di maestri e professori che, ogni mattina in classe, cercano di costruire e integrare il nuovo Paese necessario che Salvini, Di Maio, il loro segugio premier, la famiglia Casaleggio e l’inviato della peggiore educazione americana, Steve Bannon con la sua scuola italiana di agenti del populismo, godono nel veder distruggere.

Quando la notte del 25 agosto 1989 a Villa Literno vicino a Caserta una banda di camorristi uccise il bracciante sudafricano Jerry Maslo, gli italiani manifestarono in strada ovunque e il governo concesse i funerali di Stato. Oggi soltanto la piazza di Salvini è così affollata. Perché il suo è un ritrovo digitale, raggiungibile gratis da casa con il telefonino: tre milioni e quattrocentomila seguaci su Facebook, al netto di qualche curioso, sono una massa sempre adunata, giorno e notte. Ma sono anche gli spettatori di un’arena insaziabile: guardano e pretendono l’appagamento delle loro frustrazioni. Il gladiatore là in mezzo sa che per non perderli deve rispettare le regole del cinema d’azione: tensione, tensione, tensione. E se la settimana non ne prevede, basta inventarla: sgomberi, sgomberi, sgomberi. È la democrazia diretta. E già mostra le sue deviazioni totalitarie. Solo qui, dal di dentro, si può neutralizzare il fiato carico di violenza di questa macchina infernale. Servirebbero oggi sempre di più squadre di partigiani della Costituzione armati di conoscenza per connettersi, smentire, deridere.
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Ma eccolo anche stasera rubare su Facebook l’ora dei telegiornali. Mentre a Castelnuovo si scioglie la pacifica manifestazione, Matteo Salvini inscena il suo pistolotto: ventitré minuti e dieci secondi di videoselfie per riassumere la giornata. Camicia fresca, nodo della cravatta così così, bava agli angoli della bocca, rigurgitino ogni tanto da post aperitivo preso al volo. Non serve più la perfetta posa che Silvio Berlusconi immortalava nelle videocassette preconfezionate da consegnare ai Tg. Parla del Cara sgomberato vicino a Roma, dei porti chiusi, dei barconi abbandonati in mare. E i messaggi di giubilo scorrono inarrestabili, come una slot-machine quando scarica le monetine: quattrocentomila visualizzazioni in dodici ore, ventitremila commenti, seimilacinquecento condivisioni. Tocca problemi veri: i flussi irregolari dalla Libia, l’Italia lasciata sola (che grazie a Salvini e Di Maio lo è ancora di più). Ma snocciola falsità tipiche di ogni propaganda. «I bambini non si toccano», dichiara. Senza dire che i bimbi trasferiti senza preavviso con i loro genitori dal centro di Castelnuovo di Porto hanno già dovuto perdere bruscamente la scuola, l’amicizia dei compagni e quella sicurezza familiare che il ministro-premier evidentemente riconosce ai gatti, ma non agli scolari.

Adesso manca solo il caso di cronaca che libera lo stomaco. Salvini puntuale ci arriva poco dopo. Insulta un nigeriano di 41 anni arrestato a Napoli per aver cercato di violentare una donna italiana: «Questo schifoso era qua a spese degli italiani», dice il ministro dell’Interno. Gli risponde un fan in camicia nera: «I cittadini dovrebbero smetterla di dare l’allarme... La polizia chiamatela dopo per raccogliere i pezzi». È la pagina ufficiale del capo del Viminale. Nessuno cancella: forse perché lo si ricordi, la prima volta che qualche camorrista torna a sparare a uno straniero.

La minaccia oggi è la piazza leghista di tre milioni e quattrocentomila italiani che non ragionano più. Nemmeno quando il loro idolo parla dei cinque milioni di connazionali in difficoltà economiche: proprio lui che è il leader di un partito che ha truffato quarantanove milioni allo Stato italiano e non li ha ancora restituiti. E dopo Castelnuovo toccherà al Cara di Mineo in provincia di Catania e ad altri centri. Serve il caos. La macchina della propaganda ha bisogno di tensione: per far dimenticare il grande furto e accerchiare i 5 Stelle. Dopo una breve notte riecco la voce di Matteo Salvini: alle 7.30 è già in diretta su Rai Radiouno. I primi centocinquanta stranieri hanno trascorso la loro alba al gelo. I quarantasette sulla Sea Watch sono ancora in alto mare. Il gatto di Mestre ha trovato ospitalità in un centro di accoglienza per animali.