Non ci sarà una guerra né fredda né calda, tra l’Italia e la Francia, ma la controversia su Leonardo da Vinci, rispuntata in occasione del 500esimo anniversario della sua morte a Lucé d’ Amboise, nella Turenna, ha assunto toni micidiali per i protagonisti. Il ridicolo, infatti, può uccidere.
Un biografo francese di Leonardo, Serge Bramly , la cui opera è tradotta in italiano e ampiamente venduta, è stato interpellato: «Si può affermare che Vinci fosse italiano e che in Francia sia soltanto morto dopo tre anni che vi viveva?». Con la sicurezza dell’esperto che ha speso anni studiando la vita del genio rivendicato dai due versanti delle Alpi, il biografo ha risposto che non esistendo ancora all’epoca, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, una nazione italiana, Leonardo era anzitutto un toscano. E basta. Cosi lo definivano i suoi contemporanei. Del resto, lui, Leonardo, parlava soltanto il toscano popolare. Conclusione del giornale parigino che ha interpellato l’esperto: Leonardo da Vinci era tanto italiano quanto francese.
Da questo si può dedurre che neppure Dante, “padre della lingua italiana”, possa essere definito italiano, essendo nato in Toscana quando la penisola era un mosaico di ducati e principati; ed essendo autore di un’opera scritta in una lingua alla base della quale c’è il dialetto fiorentino, arricchito con termini popolari toscani o d’altrove. Una lingua soprattutto all’ origine di quella che noi parliamo.
Ad accendere la polemica italo-francese, per tanti versi spassosa e per altri grottesca, tanto da meritare oltre Atlantico una pagina del New York Times, è stata Lucia Borgonzoni, sottosegratria al Ministero dei beni culturali ed esponente della Lega. A lei, militante di provata fede anti-immigrazione e anti-rom, va riconosciuto il merito di avere scagliato la prima pietra. Pittrice, laureata in arti figurative all’Accademia delle Belle Arti di Bologna con una tesi in Fenomenologia degli stili, la viceministra alla cultura ha dunque i titoli accademici per ricoprire la carica. Le manca la capacità di dominare uno sciovinismo, una xenofobia che non si concilia con il ruolo di addetta alla cultura.
Borgonzoni ha annullato di fatto l’accordo sottoscritto nel settembre 2017. L’Italia non rispetterà dunque l’impegno preso dal presidente francese Macron e dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. I due Paesi auspicavano di avviare «un partenariato sui prestiti di opere previste per le grandi mostre» su Leonardo nel 2019 al Louvre e su Raffaello nel 2020 alle Scuderie del Quirinale. La Francia chiedeva all'Italia tutte le opere di Leonardo delle quali è in possesso, esclusa la fragilissima Adorazione dei Magi da poco restaurata. Quelle opere avrebbero arricchito l’esposizione parigina, in programma tra il 24 ottobre ’19 e il 24 febbraio ’20. In cambio, nei mesi successivi, la Francia avrebbe mandato in Italia i dipinti di Raffaello per la mostra in occasione del 500esimo anniversario della morte di quest’altro gigante del Rinascimento.
Nella sua offensiva Lucia Borgonzoni ha adottato i toni accesi, a volte provocatori, del capo del suo partito. Matteo Salvini non ha infatti risparmiato a Macron le battute polemiche in particolare sul problema dei migranti. Non a caso nel 2018 è saltato il tradizionale vertice annuale franco-italiano. Lucia Borgonzoni ha trasferito sul piano degli scambi culturali le polemiche politiche.
La sottosegretaria, incaricata delle celebrazioni leonardesche in Italia, ha definito “inconcepibile” l’ accordo stipulato con Parigi prima dell’avvento al governo della Lega. Ha respinto l’accusa di nazionalismo pur sostenendo che la grande mostra francese su Leonardo emarginerebbe l’Italia rispetto a un avvenimento culturale che le appartiene. L’interesse nazionale, ha aggiunto, non può essere trascurato: Leonardo non può diventare Leonardò.
La morale è dettata dal genio al centro della polemica e da mezzo millennio al di sopra delle frontiere. I due paesi europei dovrebbero celebrarlo senza slittare nel nazional-populismo, che quando non provoca drammi, finisce nel ridicolo.