Dopo l'intervista dell'Espresso a Bija, l'ex capo della Guardia Costiera di Zawhia accusato di essere un trafficante, le istituzioni devono rispondere a questi quesiti. Anche alla luce del rinnovo del memorandum d'intesa con la Libia sui migranti
La scorsa settimana abbiamo pubblicato
un’esclusiva intervista ad Abdul Rhaman Milad, detto Bija, l’ex capo della Guardia Costiera di Zawhia, accusato dalle Nazioni Unite di essere un pericoloso trafficante e perciò sanzionato dal Consiglio di Sicurezza.
Durante l’Intervista - svoltasi nella sede ufficiale della Marina a Tripoli - Milad si presenta in uniforme e dà alcune notizie e mostra alcune prove.
1) È arrivato in Italia nel maggio 2017 con un visto regolare, che ci ha mostrato, dopo aver sostenuto una intervista nell’ufficio di rappresentanza dell’ambasciata italiana a Tripoli.
2) È stato richiamato al suo posto, a capo della Guardia Costiera di Zawhia, nonostante le sanzioni, e nonostante un mandato d’arresto dell’aprile 2019.
3) Sostiene di aver visitato alcuni ministeri in Italia (Giustizia e Interni) durante la sua missione del maggio 2017.
[[ge:rep-locali:espresso:285336652]]TANTE, TROPPE DOMANDE ASPETTANO ANCORA RISPOSTA:1) L'OIM (l’organizzazione mondiale per le migrazioni) che ha organizzato la “visita di studio di una delegazione di funzionari libici nell’ambito del progetto Sea Demm” si è anche occupata di selezionare i suddetti funzionari? E se sì, quali sono stati i criteri seguiti in questa selezione?
2) La lettera di cui L'Espresso è entrato in possesso è indirizzata all’Ufficio Visti sezione Libia dell’Ambasciata d’Italia. Milad dice di aver sostenuto un’intervista e di essere stato fotografato. «Tutti sapevano che Milad stava arrivando in Italia» dice. Ci sono registri di quell’incontro? Quali sono stati i contenuti di quell’intervista? Chi ha emesso il visto?
[[ge:rep-locali:espresso:285336633]]3) Sebbene, come ricordato da membri del Governo Gentiloni allora in carica, il primo report delle Nazioni Unite con informazioni su Bija porta la data del giugno 2017, dunque successivo alla visita di maggio, ci chiediamo: nelle lunghe trattative (tra Tunisi, Roma e Tripoli) che hanno preceduto la stesura e la firma del Memorandum di Intesa del febbraio 2017 poteva il governo non essere a conoscenza della composizione della Guardia Costiera ovest, dei report dei servizi di alcuni Paesi europei che circolavano in quei mesi proprio sul clan di Bija? Poteva il governo italiano non sapere che il clan cui Bija fa riferimento si occupa della sicurezza della più importante raffineria della zona che è geograficamente vicina a uno degli asset energetici cruciali del nostro Paese, l’impianto Mellitah Oil Gas? Poteva il governo, che stava stringendo un’intesa economicamente e politicamente così importante, non sapere che la Guardia Costiera libica ha molte facce e tante sfumature e che Bija era a capo della Guardia Costiera Ovest dal 2014 e che la brigata al Nasr aveva già allora in mano i principali traffici (uomini/carburante) della zona?
4) Dopo la pubblicazione del report delle Nazioni Unite Abdul Rahman Milad è stato sanzionato (blocco dei beni e divieto di viaggio) e le autorità libiche hanno emanato nell’aprile 2019 un mandato d’arresto nei suoi confronti. Numerose inchieste giornalistiche italiane e internazionali hanno mostrato in questi anni che il clan di Bija controlli il centro di detenzione di Zawhia, circostanza al centro anche di una inchiesta della Procura di Agrigento, passata alla Dda di Palermo, che hanno contestato per la prima volta il reato di tortura a tre persone arrivate nell’hotspot di Messina, accusati di abusi proprio nel centro di detenzione di Zawhia. Può l’Italia continuare a finanziare centri di detenzione come questo?
5) Infine, Milad afferma di aver visitato dei ministeri nella sua tappa romana della visita di studio e di aver incontrato funzionari di questi ministeri. Chi sono? Esistono registri di queste visite?