La sorpresa delle sardine. E il Pd in cerca di identità. In un Paese dove rappresentanza e governo, i due capisaldi della politica, da anni non riescono a incontrarsi

Manifestazioni dei partigiani, cortei anti-fascisti, bandiere rosse, lotte sindacali, le donne delle primavere arabe, Women’s march, scarpe rosse, periferie, Scampia. Scorrevano le immagini sui monitor di palazzo Re Enzo nel cuore di Bologna, a testimoniare il ritorno del Partito democratico nella casa madre, la sinistra. Nelle giornate dell’assemblea del Pd, nella stessa piazza Maggiore in cui, qualche ora prima, aveva conquistato la scena mediatica la novità di stagione, il movimento delle Sardine, provocando lo stupore che sempre scatena lo sconosciuto, il non previsto, quello che avviene senza essere stato calcolato.

I due eventi si sono verificati nello stesso momento e nello stesso luogo, nel mese di novembre e a Bologna, trent’anni dopo la svolta di Achille Occhetto che portò il Pci a cambiare simbolo e nome dopo la caduta del muro di Berlino. Nel novembre 2019 il muro con cui i delegati del principale partito della sinistra italiana hanno fatto i conti è quello delle cassette di mele punto di riferimento per la fermata del taxi a Cibo, il tempio della gastronomia scelto dai dirigenti di largo del Nazareno per concludere i lavori della loro assemblea, insieme all’ex deposito ferroviario ribattezzato Dumbo, spazio di rigenerazione creativa, recita il cartello all’ingresso, dove Nicola Zingaretti e Stefano Bonaccini hanno partecipato a una cena con gli iscritti al partito.

Tutto parla di un trasloco dal materiale all’immateriale, dalla civiltà industriale al post, dalle fabbriche ai non luoghi fighetti, dagli anni Venti del Novecento agli anni Venti del Duemila, con la difficoltà epocale di riscrivere il lessico di un partito progressista. Quello conformista e sciatto, che riecheggia nel saluto di rito «a tutte e a tutti», a mascherare la carrellata di uomini maschi che si alterna sul podio (una sola donna intervenuta nella giornata clou, Elly Schlein), o nel riferimento «agli ultimi e ai penultimi» cui rivolgersi nella società, frutto di una qualche scopiazzatura che deve essere piaciuta a qualcuno e che tutti gli altri ripetono.
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Ma c’è anche la potente relazione di Fabrizio Barca che riesce a tenere insieme il passato e il presente e il futuro e rimette in circolo le parole antiche, «nell’improvviso e tardivo gran parlare di disuguaglianza da parte di cultura egemone e partiti, si sente l’ansia per questa rabbia e questo risentimento e per gli effetti che tutto ciò potrebbe avere per la crescita e la democrazia, ma è assente il riferimento alla giustizia sociale», assieme all’indicazione di soluzioni nuove.

L’intervento del gesuita padre Francesco Occhetta sull’andare al di là di quel che si vede, cercare un senso all’azione che non siano soltanto le prossime elezioni, l’ultima dichiarazione di giornata. E il segretario della Cgil Maurizio Landini che sceglie l’appuntamento di un partito per uscire dalle lentezze dei primi mesi di leadership sindacale. Nelle stesse ore si muoveva la piazza festosa e non convocata delle Sardine, pronta a contagiare Modena e poi in questi giorni tutte le città italiane. Arrivata a sorpresa, come in altri momenti della storia recente, quando la politica sembra spenta.

Nel dicembre 1989 gli studenti occuparono l’università di Palermo, per la prima volta dopo il decennio degli Ottanta. Il 1990 cominciò con un veglione nella facoltà di Giurisprudenza, un happening all’aperto e un concerto rock, un dragone cinese che guida il corteo e canti, balli e mimi. «In questa città fatta di silenzi, pensiamo che la gente debba tornare a pensare, confrontarsi e discutere», si leggeva in un volantino. Cinque giorni prima era scappata a Roma una pantera da un circo, si impegnarono a darle la caccia cento uomini, carabinieri, polizia, cani, tiratori scelti, domatori dello zoo di villa Borghese, il re del circo Nando Orfei. Niente da fare, il felino non fu mai ritrovato. E le successive occupazioni studentesche presero il nome della Pantera, scomparsa nel buio e mai ritrovata, chissà se era esistita davvero.

Nel 2002 fu un urlo non messo in conto, quello di Nanni Moretti alla fine di una manifestazione dei partiti del centrosinistra in piazza Navona («con questi dirigenti non vinceremo mai!»), a innescare un altro movimento gioioso e allegro, i girotondi che avvolgevano i palazzi del potere, da quello di Giustizia alla Rai. «Sono raduni di persone in carne e ossa che esprimono un comune bisogno di democrazia di fronte a un clima politico degenerato e asfissiante. È buffo che negli stenditoi di palazzo, non solo a destra ma anche nella supposta sinistra, qualcuno accusi di radicalismo, massimalismo, ideologismo, vanità, questo nuovo protagonismo sociale. Non c’è in giro oggi una malattia infantile estremista, c’è una malattia senile della politica istituzionale che la destra vuol tradurre in regime e la supposta sinistra in pigrizia e dissoluzione», scrisse Luigi Pintor sul “Manifesto”. «Di questi tempi quando sali su un palco c’è sempre qualcuno che ti contesta e ti dice: voi fate anti-politica. Ma cos’è l’anti-politica?», si chiedeva in quei mesi Nanni Moretti. Che alla fine della manifestazione più grande e emozionante, in quella piazza San Giovanni che poco più di un mese fa è stata occupata da Salvini, salutò così il popolo che si era appassionato: «Abbiamo organizzato una manifestazione molto al di sopra delle nostre energie, ma voi ci avete travolto con la vostra voglia di tornare a fare politica. Io sono emozionato, non perdiamoci di vista!».

Qualche mese dopo, nel 2003, un’altra grande manifestazione, questa volta non soltanto italiana ma mondiale, per protestare contro l’imminente attacco degli Stati Uniti contro l’Iraq, l’origine dell’Isis e di tutte le sciagure dell’area. Il popolo delle bandiere arcobaleno della pace.

In tutti questi casi, il rapporto dei movimenti con il mondo della politica, intesa come rete di partiti, rappresentanze sindacali, istituzioni locali, era difficile, conflittuale, ma necessario come l’aria che respiri, e nessuno si sarebbe immaginato di scioglierlo. Quando è successo, quando tutti si sono chiusi nei loro rispettivi recinti e si sono persi di vista, i partiti del centrosinistra sono diventati più oligarchici, i movimenti più autoreferenziali, il vuoto è stato riempito dal soggetto che ha lavorato per allargare la frattura e al tempo stesso proporsi per la ricucitura. Il Movimento 5 Stelle, nato con il Vaffa day di Beppe Grillo del 2007 a Bologna, nella stessa piazza che ha visto una settimana fa la prima uscita delle Sardine (ne parla Susanna Turco con il proto-grillino Giovanni Favia).

È bastato che quattro ragazzi riuscissero a far funzionare il rimbalzo on line del loro evento per far parlare di ritorno della sinistra e della politica. Ma intanto, in dieci anni e più, la frattura si è allargata. La piazza dei giovani si confronta con Matteo Salvini, l’Italia non si Lega, ma è ancora una volta la rivelazione del vuoto di politica che attraversa i principali partiti che sostengono il governo Conte 2, mai così distanti. Il Pd ritrova l’orgoglio di dire una parola di civiltà, sulla cittadinanza per i figli degli immigrati che risiedono e studiano in Italia, il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio invece si fa risucchiare dalle sirene del Capitano leghista sulla questione più delicata, i rapporti con l’Unione europea a proposito del fondo Salva-Stati. In mezzo c’è un deserto più complicato da attraversare rispetto agli anni Novanta- Duemila, perché il sistema è ancora più fragile, colpito nei due compiti chiave della politica.

Il primo è la rappresentanza. Le Sardine sono spuntate senza preavviso, ma sono state largamente annunciate da quanto successo nell’ultimo anno e mezzo di mobilitazioni spontanee, non organizzate, a volte surreali come nel caso dei contestatori mascherati da Zorro che inseguivano Salvini durante l’ultima campagna per le elezioni europee, o impotenti, come quella di Riace che solidarizzava con Mimmo Lucano per il suo arresto, o importanti, come la piazza People di Milano nel mese di marzo di quest’anno che anticipò le elezioni primarie che hanno eletto Zingaretti segretario del Pd. In tutti questi casi è mancato un organizzatore politico, una forza in grado di dare una rappresentanza alle piazze.

C’è un popolo di giovani e di giovanissimi che si mobilita sull’ambiente, ma anche sull’antifascismo inteso come fondamento della Costituzione, che torna a considerare la politica un valore positivo, essenziale. È la versione italiana delle folle giovanili che stanno scuotendo altre città del mondo, da Hong Kong a Santiago del Cile, ma da noi la rivolta chiede più politica, non meno politica. E quindi esige una politica in grado di ascoltare, interpretare, accogliere. E anche far maturare una cultura delle cose da fare. Perché, oltre alla rappresentanza, è venuta meno in questi anni la seconda funzione decisiva: il governo.

La parola governo è stata assente dal dibattito interno al Pd, finché non è intervenuto a ricordarla il sindaco di Bergamo Giorgio Gori: «Ho sentito molta idealità, ma poca realtà».

Nei mesi scorsi più volte abbiamo scritto che un’operazione parlamentare, per quanto legittima e utile per bloccare l’avanzata della Lega, non sarebbe bastata a invertire il vento di destra che soffia nella società. Al tempo stesso, non basta neppure soltanto la piazza delle Sardine: non si vince, neppure in Emilia, senza la cultura di governo e il riformismo offerto con pazienza da tantissimi amministratori senza nome che non hanno mollato i loro territori neppure nelle tempeste maggiori, che si sacrificano per la manutenzione delle loro comunità, che rappresentano il popolo e che governano in nome del popolo, mentre i capi populisti di destra e di sinistra si presentano nelle piazze con un vestito e nei salotti buoni dei costruttori e di altri poteri con un altro volto, come racconta l’inchiesta di Giovanni Tizian.

Senza idealità la realtà è culto del realismo e del potere, a dimostrarlo in questi ultimi mesi sono proprio i capi del Movimento 5 Stelle, asserragliati nel Palazzo. Ma senza realtà, senza governo, nessun cambiamento può avvenire. La piazza del Popolo ritrovata è il primo passo. Per quelli successivi, buona politica.