"Cara Italia, ora ascolta noi espatriati": le storie di chi è dovuto fuggire per realizzarsi
Dieci cartoline da parte di altrettanti cervelli in fuga, andati via per trovare lavoro o fare carriera fuori dai nostri confini. Con racconti di eccellenze e incomprensioni. E i suggerimenti su cosa fare per convincerli a tornare PARTECIPA: Raccontaci la tua storia di espatriato (trovi il form nell'articolo)
IO, SULLA VIA DEL RISO
Cara Italia, aspettami.
Tornerò da te fra qualche anno con dei chicchi di riso, per portare a termine il progetto iniziato da papà. E non temere, non mi dimentico di te: riempi la mia giornata. A Pechino dirigo la Scuola Italiana Paritaria d'Ambasciata e gli allievi sono per lo più figli di famiglie italiane residenti in Cina, approdate qui per motivi di lavoro. Come me, del resto. Sono arrivata in Cina otto anni e mezzo fa, affascinata dalla velocità di cambiamento di questa incredibile nazione. Basta starci lontana pochi mesi, per stupirsi - al proprio ritorno - di quanto tutto sia già rapidamente mutato, teso al futuro. Gli italiani di Cina iscrivono i loro bambini alla scuola paritaria perché sentono forte il desiderio di mantenere viva l'identità e la lingua, intatte le origini e la cultura. Qui insegniamo la tua storia, la tua civiltà, la passione per il bello: caratteristiche che ti rendono un luogo unico al mondo. È una grande opportunità per raccontarti e sento di amare questo lavoro.
Ma ho in mente di tornare, se non altro per restituirti il privilegio concessomi di laurearmi in Lingua e letteratura Cinese all'Università di Venezia. C'è quella piccola risaia comprata da papà, che oggi garantisce un piccolo raccolto, sufficiente solo per pagarci le spese. Ma in futuro, attorno al riso (che mi ricorderebbe la Cina) vorrei creare un progetto di produzione agricola, per dare a una trentina di persone con fragilità l'opportunità di essere felici. Di godere di quella gioia data ogni giorno dall'appagamento di un lavoro amabile.
Nel frattempo, ti chiedo un dono: fai dialogare il mondo imprenditoriale con quello della formazione, dell'università, degli istituti tecnici e professionali, perché hai istruito giovani con delle idee eccezionali, che purtroppo - troppo spesso - restano inascoltate: mettiti in loro ascolto, potresti accoglierle quelle idee e farle decollare! Altrimenti rischi di perdere quei potenziali, che tanto ti è costato formare, e qualche altro stato potrebbe raccoglierne i frutti.
Te lo prometto, tornerò. Ma tu, nel frattempo renditi bella e attraente anche per quei cervelli nati all'estero, che in Italia vorrebbero coltivare il proprio futuro professionale. Se darai loro i mezzi per farlo, ti renderanno ancora più bella, intelligente, intraprendente. Solo così sarai pronta per essere un paese proiettato nel futuro. Giulia Ziggiotti. Trentacinque anni, dal Veneto si trasferisce a Pechino. È head manager della Scuola Italiana Paritaria d'Ambasciata a Pechino.
A CASA TROVAVO SOLO LAVORI IN NERO
Cara Italia,
sabato scorso ero in piazza per te! Qui a Parliament Square si stava stretti come sardine. Già, non ero solo, c'erano un sacco di sardine londinesi accanto a me. Ci siamo ritrovati in migliaia, un po' in ansia per il voto e la Brexit e altrettanto per il populismo dilagante lì in Italia. Il movimento oltre Manica l'abbiamo creato insieme, perché davvero non ne possiamo più di sentire tutti questi discorsi d'odio. Del resto a te questa rabbia non s'addice. Tu ci hai insegnato a essere fraterni, gentili, dialoganti: così ci riconoscono gli amici e i colleghi qui a Londra. Gli italiani sono conciliatori nati, sono l'anima dei gruppi internazionali, sono il collante delle relazioni umane. Le sardine londinesi difenderanno la tua civiltà!
Il prossimo potrebbe essere l'anno del mio ritorno, perché vorrei metter su famiglia! Sto cercando lavoro, come architetto, fra Milano e Torino, dove ci sono gli studi professionali internazionali, come quello in cui lavoro qui a Londra, la multinazionale Gustafson Porter + Bowman, dove sto progettando i nuovi spazi verdi della futura Ville Lumiere. Come vedi, lavorare tanto non mi spaventa: tu offrimi la dignità di un contratto, che abbia in sé il diritto alla paternità e le tutele che si addicono a un mestiere dignitoso. [[ge:rep-locali:espresso:285339127]] Sai, l'ultima volta non è andata proprio bene. Ti ricordi? Stavo a Venezia, avevo appena finito l'Università e mi si era presentata l'occasione di un lavoro bellissimo: coordinare gli eventi collaterali della Biennale di Venezia. Allestivo contesti artistici nei palazzi della città. Un sogno. Lo stipendio non era un problema: mille euro al mese, che per un ventiseienne era niente male. Ma mi pagavano in nero: quindi niente contratti e certezze! E io mi sono un po' spaventato: non c'era alcuna prospettiva di carriera. A malincuore ho lasciato Venezia e gli amici d'infanzia di Modena per un tirocinio a Berlino. Poi la tristezza è scomparsa quando sono stato assunto con un contratto qui a Londra: è stato commuovente trovare lavoro inviando un semplice curriculum. Nel frattempo, a Venezia, gli ex compagni di università hanno iniziato a sistemare le cose, faticosamente sono riusciti ad ottenere contratti regolari, ci stanno riuscendo. Mentre altri mi dicono che a Milano, per lavorare, serva essere freelance, quindi zero sicurezza! Facciamo un patto: tu riconosci i miei diritti e io prendo un aereo e torno da te. È come se fossi già lì! Alberto Campagnoli, 31 anni, dall'Emilia a Londra: professione architetto
SOGNANDO FRONTEX
Cara Italia,
ho girato il mondo. Sono andato a Mosca per studiare allo Skolkovo Institute of Technology. Poi in Francia, alla Airbus di Tolosa. Mi sono trasferito in California, alla Nasa. Adesso sto ad Atlanta, cuore della Georgia,per progettare flotte militari per la Nato e la Marina Italiana. Ma credimi, mi sento a casa solo quando scorgo l'Etna. Mi manca la sua roccia, la sua sabbia nera fra le dita dei piedi: mi trasmette un senso di pace e mi ricorda come la nostra terra sia viva. Ed è così viva nel mare e nelle nostre piazze. E allora ecco che quando torno passo da un tuffo dagli scogli ad un’immersione nella cultura classica di Catania e di Roma, nei musei e nella bellezza degli edifici.
M'informo tutti i giorni su quello che ti succede e mi rattrista la tua situazione politica, mi spiace vederti sommersa dal malcostume e dalla sfacciataggine politica. Non sopporto tutti questi attacchi gratuiti alle tue istituzioni, solo per prendere il pubblico di pancia e guadagnare qualche voto. Stiamo scrivendo un capitolo triste della nostra storia, alla fine degli anni '70 andammo con la nostra Marina a salvare dal mare i Boat People che scappavano dalla guerra del Vietnam. Adesso c’è chi festeggia quando i nostri militari non arrivano in tempo per salvare i migranti nel Mediterraneo.
Qui ad Atlanta lavoro per rendere le nuove navi resistenti a minacce future e in parte ancora sconosciute. Studio e lavoro grazie a due borse di studio: la Fulbright e la Ermenegildo Zegna Founder's Scholarship. Quest'ultima mi lega a doppio filo con il nostro territorio e prevede che, finito il progetto di ricerca, io torni in Italia per almeno due anni. Ho stretto volentieri questo patto, perché ho tanti sogni da realizzare per te e con te! Vorrei lavorare al progetto Pesco, Permanent Structured Cooperation, dove l'Italia ha un peso consistente e con gli altri paesi vuole ottenere l'integrazione strutturale delle forze armate. Oppure andrei all'Eda, European Defence Agency per continuare a fare ricerca e servirti al meglio. C'è anche il piano Frontex per la difesa delle frontiere e dei mari, dove l'Italia ha un ruolo centrale. Mi piacerebbe far parte di una di queste agenzie per contribuire a costruire un’Europa unita. Vista da lontano l'Italia può sembrare piccola, ma non lo è, siamo la quarta economia d'Europa e proprio grazie ai nostri vicini ad alleati possiamo moltiplicare le nostre capacità: insieme siamo più forti! Vorrei vedere un Europa più solida anche grazie a te, mia Italia. Del resto, io sono europeo, siciliano e romano, ma soprattutto sono italiano, e come direbbe Gaber “per fortuna lo sono”. Raffaele Gradini, 27 anni, ingegnere aerospaziale all'Aerospace System Design Laboratory di Georgia Tech ad Atlanta. Da Catania a Roma, fino ad Atlanta
A CHICAGO FACCIO RICERCA. E IN ITALIA?
Cara Italia, suvvia non tenermi il broncio.
È vero, manco all'appello da qualche annetto, ma te l'ho già spiegato, ho una missione da compiere qui a Chicago: devo diffondere il verbo dell'arrosticino! E poi non ti tradisco, mai: faccio la spesa da Eataly e sfreccio per le strade della Windy City a bordo di una Giulia.
Lo sai bene anche tu: torno sempre quando lanci progetti interessanti. Ad esempio, sarò a Roma tutto il mese di giugno. A fare che? Vado in visiting position al prestigioso Einaudi Institute for Economics and Finance. Lì ci lavora un gruppo di ricercatori d'eccellenza e fra noi economisti (italiani e non) si fa a gara per partecipare ai programmi dell'Istituto Einaudi, che accoglie le migliori menti economiche provenienti da tutto il mondo. Parteciparvi è un'ottima occasione di crescita professionale. Forse potresti impegnarti di più in progetti analoghi. Pensaci bene: a quel punto non attireresti soltanto i cervelli italiani in fuga, ma ti corteggerebbero le personalità più brillanti provenienti da tutti i paesi del mondo, non solo gli italiani. Forse non te ne sei resa conto, ma chi se ne va dall'Italia, lo fa anche perché sei priva di contesti internazionali al top.
Prendiamo il mio caso. Mi sono laureato in Economia a Siena e la specialistica l'ho terminata in Bocconi. Volevo fare il professore e lo sanno tutti che per fare carriera ad alti livelli è importante ottenere un assegno di ricerca in una delle dieci università più prestigiose del mondo: però nessuna di queste si trova in Italia. Quindi, eccomi qui, alla Booth, fra i più importanti centri di ricerca economica al mondo, dove lavoro spalla a spalla con due premi Nobel, Eugene Fama e Richard Thaler.
A questa cosa devi assolutamente porre rimedio: non hai capito che la tua carenza è l'assenza di un contesto dinamico e internazionale? Devi riuscire ad offrire interessanti opportunità di lavoro per i ricercatori - in tutti i settori - e allora tutti vorranno venire a lavorare da te. Io stesso vivrei benissimo a Milano o a Roma. Sono città con un approccio sano alla vita, tutt'altra cosa rispetto alla frenesia degli Stati Uniti. Come sai, non faccio programmi a lungo termine, quindi non escludo di poter tornare in Italia, sempre che mi venga offerta la possibilità di continuare la mia carriera universitaria con il giusto supporto della ricerca. Del resto l'Italia potrebbe essere un campo di ricerca scientifica interessante per me, che mi occupo soprattutto di corruzione dei sistemi economici, mercati emergenti e soluzioni di sviluppo per start up. Già, sono proprio le competenze che ti servirebbero per tornare a crescere! Emanuele Colonnelli, 32 anni, di Ascoli Piceno, è professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business
NON RICONOSCEVO PIÙ IL PAESE IN CUI SONO NATO
Cara Italia, mi vergogno un po’ a scriverti.
Forse perché quando sono partito l’ho fatto senza troppi rimorsi. Ora, dopo otto anni all’estero, inizio a sentire la tua mancanza. Una mancanza di affetti, amicizie e cene interminabili, che piano piano apparecchia una fondamentale mancanza di sé.
Perché sei partito, mi chiederai. Penso che chi parte lo fa soprattutto perché può, per opportunità. Qualcuno anche perché un po’ smarrito e non si riconosce più nel posto che chiama casa. Quando sono partito, ho sentito forte questo senso di smarrimento. La partenza è servita a ritrovarmi. Ed è stato facile ritrovarsi nell’Università Americana, che con le sue cerimonie, onori ed eccellenze, quasi ti impone un senso di appartenenza. Qui in America ho “messo su” famiglia e una piccola comunità di amici, tra cui tanti italiani. Qui ho trovato un lavoro che mi emoziona e un mondo tutto proiettato al futuro. E con sorpresa, qui ho trovato anche un grande desiderio di Italia.
Mia moglie, che è haitiana/newyorchese, si è innamorata dell’Italia e vorrebbe viverci perché ormai la sente già casa, anche più di me. In America non ci vedono solamente come depositari di straordinaria bellezza, ma soprattutto come promotori di un buon modo di vivere. Un modo di vivere improntato alla condivisione del bello, del buono e al destino dello stare insieme. É stato proprio attraverso gli occhi di mia moglie e di chi non è cresciuto in Italia che ho iniziato a ritrovare il senso di casa e un certo orgoglio di essere italiano.
Per me, essere italiano significa la genovese di mamma, che la odorano in centinaia e mangiano in dozzine, significa la domenica allo stadio con papà e il solito “gruppetto” che occupa un intero settore, significa le notti al bar della piazza con gli amici, dove si offre un bicchiere anche ai vicini di tavolo. Solo quando sei lontano ti accorgi che questi modi di stare insieme sono più di quello che fai, sono quello che sei.
Torno? Quando mi fanno questa domanda mi viene in mente Michele in “Ecce Bombo”: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” Se è vero che quando sono partito non ho pensato troppo a quello che lasciavo. Se e quando torno, devo aspirare a dare un piccolo contributo. Nella speranza che, un giorno, un altro come me, invece di partire, decida di restare.
Forse torno. E “mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce…” Sergio Imparato, 35 anni, napoletano, laureato in Filosofia, insegna Teoria Politica ad Harvard, dove è Faculty Advisor dell’Harvard College Italian Society
ASPETTATEMI PERO'
Cara Italia, ti scrivo dalla caldissima Melbourne, la mia casa dal 2013, dove sono ricercatrice.
Vivere dall’altra parte del mondo ha molti di aspetti positivi e qualche difetto: l'Australia ti espone a moltissime culture differenti e ti permettere di imparare i nomi di animali improbabili capaci di uccidere un uomo in pochi minuti. Lo sapete che qui c’è il più alto numero di animali mortali al mondo, senza contare squali e coccodrilli?
Vivere così lontano dall’Italia ti fa rivalutare il nostro Paese, tanto spesso viene criticato. Da quando sono qui voglio molto più bene al mio paese e ogni volta che torno apprezzo sempre più le sue peculiarità. Soprattutto adoro poter parlare ad alta voce senza attrarre gli sguardi indignati degli anglosassoni. La nostalgia è innegabile, ma rientrare non è facile. Bisogna farsi almeno 24 ore di viaggio per soddisfare quella strana voglia di stracchino (prodotto introvabile in Australia). Sebbene la comunità italiana sia molto grande, non esiste un volo diretto sull'Italia, a differenza degli altri paesi europei.
Sono all’estero da quasi sette anni e mai come oggi mi sento italiana. Anzi, la mia italianità si rafforza nel tempo. Il legame si è consolidato negli anni e, sebbene io sia ben integrata nel contesto lavorativo e sociale australiano, continuo a vivere all’italiana. Parlo italiano tutti i giorni, cucino cibo italiano e sono attiva all’interno della comunità italiana qui a Melbourne. I primi anni ho fatto di tutto per integrarmi nella società australiana, ma poi il richiamo alle origini si è fatto sentire e oggi non potrei fare a meno di quella componente nostrana che rende la vita all’estero ancora più piacevole. Mi trovo onestamente molto bene dall'altra parte del mondo, ma spero un giorno di poter rientrare in Italia, per contribuire al mio Paese, magari potrei tornare a insegnare e fare ricerca in università, così da rendere i nostri centri di ricerca più internazionali e competitivi a livello mondiale. Per natura sono inevitabilmente positiva: sono sicura che l’Italia capirà il reale potenziale di tutti i giovani emigrati all’estero per fare esperienze lavorative. A quel punto darà la possibilità a chi si è formato in altri paesi di tornare. Per ora resto in Australia, cerco di non farmi ammazzare da ragni e meduse, con la consapevolezza che l’Italia mi sta aspettando. Chiara De Lazzari, 32 anni, da Treviso all'Australia, dove insegna Scienze Politiche all'Università di Melbourne
Sì, SIAMO DON CHISCIOTTE
Cara Italia, io vivo a Parigi ma vengo da Reggio Calabria.
Un posto che ti da e toglie tantissimo, nello stesso tempo. A 17 anni ho lasciato la Calabria per studiare genetica molecolare e biochimica a Pavia, che per i “terroni” è praticamente uno spostamento all’estero. Segue un dottorato all’università di Zurigo sull'immunologia tumorale, concluso con la scoperta del meccanismo che controlla la risposta immunitaria antitumorale nei pazienti trattati con radioterapia. Il progetto ha vinto vari premi e sono stata candidata come miglior giovane ricercatrice in Svizzera (ovvio, mica in Italia). Eppure è l'Italia che ringrazio, sono sopravvissuta agli anni del dottorato grazie alla passione per il calcetto e i pacchi stracolmi di peperoncino e Amaro del Capo spediti da mamma e papa.
Ora sto all’Istituto Pasteur di Parigi per il PostDoc. Ho scritto un progetto su sistema immunitario e malattie metaboliche finanziato dalla prestigiosa borsa di studio europea Marie Curie. Negli ultimi due anni, ispirata dal crescente numero di stupidaggini pubblicate sui social, ho avviato una start up che si occupa di comunicazione scientifica. La mia creatura si chiama Naós Communication ed è il mio progetto per l'Italia. Formerà scienziati nell'arte oratoria e nel coinvolgimento del pubblico, perché spesso chi fa ricerca e scopre qualcosa di nuovo, non sa spiegarlo. Nonostante il progetto non sia stato ben accolto nel bel paese (la proposta è stata bocciata due volte), a breve riuscirò a spostare la sede a Roma, per poi avviare corsi di formazione internazionale nelle scuole e nelle università italiane.
Ma tornare stabilmente è difficile. Prima di tutto perché tornerei solo se potessi traslare quello che faccio qui al Sud Italia. Perché se devo stare a Milano e pagare 400 euro per volare in Calabria – grazie comunque, Alitalia! - tanto vale restare in Francia. Nutro profondo rispetto per chi resta e lotta, ma mi sembrano tanti Don Chisciotte. Serve più consapevolezza, formazione e informazione. E bisogna capire se si sta lottando contro giganti o mulini a vento. Serve anche tanta voglia di cambiare, serve tempo e io resto in attesa. Nel mentre, mantengo il mio legame con l’Italia valorizzando i ricercatori all’estero, insieme all’associazione dei ricercatori italiani in Francia e porto Naós a Roma. Non vedo l'ora di inaugurarla: sarà una soddisfazione personale riuscire a realizzare parte della mia vita in Italia! Laura Surace, 31 anni, da Reggio Calabria a Parigi, ricercatrice nel campo dell’immunologia e metabolismo
GODT NYTT AR A TUTTI
Cara Italia,
Godt Nytt År! in norvegese significa Buon Natale! Sì, lo so, la lingua è piuttosto ostica. E infatti ciò che mi manca più dell'Italia è proprio l'italiano, la vocalità, i colori della nostra bella parlata. Ma vi assicuro che ci sono problemi ben peggiori: avete idea del freddo che fa quassù?
Vivo a Oslo e sono una ricercatrice al Centro di Eccellenza PluriCourts, dove mi occupo di diritto internazionale in materia ambientale e cambiamenti climatici. Cerco nuove forme di cooperazione per fronteggiare l’urgente danno umano e ambientale provocato dal cambiamento climatico. Probabilmente ho scelto questa strada perché ho trascorso gran parte della mia vita a Taranto, all'ombra dell'Ilva, e so bene cosa significhi scegliere tra lavoro e salute. Come la penso? L’ambiente va protetto non solo come valore in sé, ma anche per l’importanza che svolge nel processo di formazione della identità personale. Per esperienza personale, posso affermare che al degrado ambientale segue necessariamente un degrado sociale e morale. Sono proprio le mie origini ad avermi dato la tenacia di continuare questo percorso lavorativo, che mi ha spinta lontana da casa. La speranza di tornare c'è sempre. Nei miei sogni c'è il progetto di potermi occupare di politiche ambientali e climatiche per rendere il nostro Paese sempre più verde e pulito e mostrare al mondo che siamo in gamba. Nel mio piccolo e stando a centinaia di chilometri di distanza, sono diventata responsabile di un progetto per i giovani italiani in Norvegia, che è appena partito.
È il nodo di una più vasta rete mondiale che intende mettere in connessione le competenze degli italiani nel mondo. Il mio sogno, poi, sarebbe portare la mia esperienza accademica in Italia, anche solo come visiting lecturer, cioè frequentare le università italiane per raccontare agli studenti quello che sto sviluppando qui in Norvegia, lavorare con loro potrebbe aiutarli a comprendere il mondo della politica internazionale. Realisticamente, però, resto a Oslo, perché ci sono evidenti difficoltà di svolgere dignitosamente attività di ricerca accademica in Italia. Sono partita nel 2013 e ho viaggiato parecchio, fra la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti. E nonostante siano passati molti anni, essere così lontana da casa mi costa moltissima sofferenza, perché spesso si dimentica che noi giovani all’estero siamo costretti ad allontanarci dai nostri genitori proprio quando loro avvertono maggiormente la solitudine e si palesano i primi acciacchi. Cerco di affrontare tutto questo con fiducia nel futuro, perché chi è ottimista contribuisce positivamente all'ambiente circostante. Rosa Manzo, 32 anni, da Taranto a Oslo, per occuparsi di diritti ambientali e cambiamenti climatici
UNA MENTALITA' CHIUSA E ARRETRATA
Cara Italia,
sono dieci anni esatti che ti ho lasciato, ma non potevo fare altrimenti. Faccio ricerca su onde gravitazionali - che può sembrare un po' astratto, ma questa è la frontiera che ci consentirà di comprendere meglio l'universo – e in Italia non avrei potuto farlo. Non parlo dell'assenza di incentivi economici: io, come penso gran parte di chi fa ricerca di base, non sono spinto a lavorare dal dio denaro, bensì dalla passione per la scienza e la consapevolezza di contribuire all'avanzamento della conoscenza collettiva dell'umanità.
Quello che manca in Italia è la capacità di attirare giovani professionisti da tutto il mondo, compresi tutti quelli che ogni anno sforniamo dalle nostre eccellenti università, ma che poi non sappiamo trattenere. La ricerca scientifica nel ventunesimo secolo non è più fatta da singoli individui, ma da team di piccoli gruppi ed enormi collaborazioni a livello internazionale, con centinaia se non migliaia di persone. In Italia purtroppo mancano le opportunità e i mezzi persino per costruire piccoli team scientifici per competere o collaborare a livello internazionale. Se io volessi tornare per fare ricerca di base, so bene che non troverei le stesse opportunità che avrei in altri paesi europei.
Eppure sono convinto che le esperienze professionali e multi-culturali maturate dai giovani italiani all'estero possano costituire la chiave per aprire una mentalità italiana a volte chiusa e arretrata e per rendere la società più al passo coi tempi e favorevole alle nuove generazioni. Sta qui la chiave di volta! Nicola Tamanini, 33 anni, da Trento al Max Planck Institute di Potsdam, Berlino, dove fa ricerca sulle onde gravitazionali
DATECI VOCE, PER FAVORE
Cara Italia,
sono partita da Roma a 17 anni per fare l’Università in Inghilterra. Ho studiato relazioni internazionali a Exeter, in Inghilterra, e passato un anno in scambio a Shanghai. Dopo la laurea nel 2016, e una breve esperienza a Londra in una start-up, mi sono ritrovata a Pechino per uno stage di sei mesi alla delegazione dell’Unione Europea. Quell’esperienza mi ha aperto le porte al mondo della politica europea, quindi finito il tirocinio a Pechino, ne ho iniziato subito un altro a Bruxelles, al Parlamento Europeo. Lì ho seguito per due anni i negoziati Brexit. Sempre a Bruxelles, lavoro per Euractiv, una rete mediatica europea di riferimento per le politiche del vecchio continente. Mi occupo di creare nuove collaborazioni con i vari attori di Bruxelles, per lo più con associazioni di industria e ong.
Dopo otto anni di lontananza sento un bisogno incolmabile di fare almeno un’esperienza di studio o lavoro in Italia. Parlo cinque lingue, sono vissuta a Londra, Pechino e Bruxelles, credo che potrei essere un profilo interessante per attrarre investimenti stranieri in Italia, sviluppare partnership internazionali per un’azienda o potrei mettermi in proprio, le possibilità sono molteplici. Ma tornerei a condizione di poter essere considerata un patrimonio, un asset per il mio paese. Vorrei tornare sapendo di poter offrire e applicare il bagaglio culturale e professionale accumulato in questi anni all’estero. Il problema è che uno all'estero crea legami e adesso c'è il mio ragazzo che vive a Parigi ed è più comodo frequentarsi sapendo che la distanza è colmabile in un'ora e venti di treno. Mentre Milano è un po' più lontana.
Nel frattempo gestisco il profilo Instagram @giovanitalianinelmondo, per dare voce a chi è lontano da casa e qui a Bruxelles ho fondato la rete di giovani italiani in Belgio, Re.Gi.B, per per sostenere il ‘sistema paese’. È proprio questo che vorrei fare per l’Italia, per i giovani italiani nello specifico, e quindi anche per me stessa: ridare (o riprendere, dipende dai punti di vista) una voce ai giovani, per avvicinarsi alla partecipazione civica e politica, e perché no, contribuire un giorno alla creazione della futura classe politica italiana. Lucrezia Scarapicchia, 24 anni, da Roma a Bruxelles, passando per Pechino. Si è occupata di Brexit per la Commissione Europea e ora il suo focus sono industria e organizzazioni non governative