Prima gli esseri umani
Se non lotta per gli altri l’intellettuale è inutile
Chi esercita la funzione critica del pensiero ha un dovere morale: svegliare le coscienze sui disagi sociali, le disuguaglianze e il lavoro
Cheikh Anta Diop, il grande storico e antropologo senegalese, diceva che «l’alienazione culturale finisce per essere parte integrante della nostra sostanza, della nostra anima e quando pensiamo di averla eliminata non l’abbiamo ancora fatto completamente». Purtroppo questa alienazione genera una società cannibalizzata dalla cultura del consumismo e del presentismo con un’anima dormiente priva di uno spirito critico. Di conseguenza, l’espansione della povertà, la dilatazione delle disuguaglianze, la degradazione delle condizioni di vita e l’omologazione culturale vengono letti in superficie anziché essere analizzati nella loro profondità.
A questo riguardo, va ricordato che uno dei principali compiti degli intellettuali è quello di risvegliare le coscienze accompagnando le masse, anche nei loro atteggiamenti “spontanei”, a decifrare le cause profonde (dirette o indirette) che determinano i mali che affliggono le popolazioni. Per rendere questo esercizio efficace, gli intellettuali dovrebbero sapersi calare nella dimensione materiale e immateriale della vita delle masse. In effetti, chi svolge la funzione di intellettuale dovrebbe possedere la capacità di immedesimarsi nelle sofferenze delle persone al fine di poter cogliere le varie sfumature del loro dolore e formulare spiegazioni sui fenomeni che ostacolano il cammino verso la felicità.
Oltre a saper leggere in modo empatico e critico le cause dei mali della società, gli intellettuali dovrebbero altresì aver la propensione di immaginare soluzioni propositive per donare speranza a coloro che vivono il dramma delle disuguaglianze. Gli intellettuali dovrebbero essere liberi di ispirare la politica affinché quest’ultima possa infondere speranza - risolvendo, nel contempo, i problemi reali che attanagliano le persone - invece di socializzare il pessimismo o di collettivizzare l’illusione. In questa ottica, gli intellettuali dovrebbero stimolare la politica a ricostruire sintonie con il mondo reale e a dare anima ed identità ad un progetto di comunità capace di rendere reale l’immaginazione e il sogno di chi è stato reso invisibile.
Inoltre, chi esercita il ruolo di intellettuale dovrebbe sollecitare i corpi intermedi, nelle loro varie articolazioni, a rimanere ancorati alla propria missione di portatori di istanze delle masse, considerato che le sfide della società vanno affrontate in una prospettiva d’interdipendenza. La funzione di intellettuale è un nobile privilegio che va esercitato con responsabilità ed onestà e con la consapevolezza del rischio di permeabilità di influenze e pulsioni del contesto circondante.
Questi artisti del pensiero critico, analitico e propositivo diventano l’antidoto di una cultura alienata, alla quale si riferisce Cheikh Anta Diop, quando riescono a ridurre il divario tra cultura e masse. In questa attività occorre ridare speranza (generata in quell’angusto spazio collocato tra immaginazione della ragione e utopia dei desideri) a chi è stato ridotto in scarto della società dalla logica della capitalizzazione dei disagi sociali. Tuttavia, la fantasia dell’immaginazione connessa alle dinamiche della vita materiale deve diventare terreno di verifica dell’elaborazione del pensiero. Solo cosi, questo sforzo fantastico può portare ad un’idea di modello di società che sappia farsi comunità attraverso una narrazione diversa fatta di parole chiare e responsabili.
In questa prospettiva, gli intellettuali, resistendo alla tentazione dell’elitarismo e dell’omologazione culturale, dovrebbero impegnarsi a tenere saldo il labile legame tra cultura e masse al fine di porre argine all’arte della politica del “consenso” e della cultura del consumismo, che non permettono di indagare la profondità delle crisi e dei processi (come quella del lavoro che andrebbe analizzata nella sua dimensione quantitativa e qualitativa) che continuano a logorare i rapporti sociali. Come diceva Pier Paolo Pasolini, «ci sono degli intellettuali che considerano dovere proprio e altrui (…) spingere tutti a sentire lo storico impulso a lottare per i diritti degli altri».
Alla luce di tutto ciò, non è ambizioso affermare che occorre una cultura al servizio della società in grado di decifrare la complessità delle diverse articolazioni dell’attuale sovrastruttura sempre più spinta verso l’individualismo a discapito del senso di comunità. La funzione di elaborazione degli intellettuali deve aspirare a questo obiettivo dove teoria e prassi si intrecciano per dare vita ad una cultura non alienata.