Il traffico di droga, l'amicizia con le cosche, le alleanze trasversali. Così l’estremismo nero si salda con il tifo organizzato e fa affari illeciti. Un esempio? Il capo degli steward del Milan è un militante di CasaPound che gestiva lo spaccio di cocaina dalla Calabria

Tifoserie estreme, legami con le cosche calabresi, militanza nei gruppi neonazisti d’Oltralpe e fra le fila di Forza Nuova. Sangue, soldi e sponsor. È un collante potente, quasi indistruttibile, che nell’operosa Lombardia unisce fede calcistica, affari e follia fascista.

Un intricato sottobosco composto da alleanze fra le tifoserie delle principali squadre lombarde dove - come ricostruito in queste pagine dall’Espresso - vecchi capi ultras già inquisiti in precedenti inchieste scompaiono e poi ritornano, sorretti e supportati dalle frange di quella destra che ama definirsi “sociale”, ma che utilizza la passione per il calcio come strumento di propaganda, proselitismo e soprattutto affari.

La guerra fra tifosi che lo scorso dicembre a Milano è costata la vita a un ultrà durante Inter-Napoli, in un inferno di fumogeni, spranghe e coltelli, è solo il primo tassello di un mosaico che ora si inizia a comporre.


Nel mezzo ci sono gruppi criminali che si infiltrano fra gli spalti attraverso i capi delle curve. Come il leader dei Guerrieri, Luca Lucci, condannato per traffico di droga, che il ministro dell’Interno Matteo Salvini, promotore del dialogo con gli ultras, nelle scorse settimane ha salutato con larghi sorrisi e strette di mano rendendo pubblicamente omaggio alla tifoseria rossonera più estrema.

Capire il motivo per il quale la criminalità organizzata lombarda punti sempre di più verso gli spalti non è un mistero: si tratta della porta d’ingresso che consente alla malavita di avvicinarsi alle società di calcio e ad appetitosi business come la vendita di merchandising, biglietti ma anche lo spaccio di droga. Quando poi si aggiunge l’estremismo politico, la saldatura diventa perfetta.

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«In curva si canta, in Questura si tace», è la frase che si sente ripetere da giorni al pub Cartoon del quartiere San Siro, storico luogo di ritrovo della Curva Nord dei tifosi dell’Inter. Eppure, davanti ai poliziotti gli ultras milanesi stanno parlando, mettendo a verbale. E raccontano di alleanze. Matrimoni di interesse. Come quello che unisce in un rodato sodalizio gli interisti Viking e gli ultras del Varese Blood and Honor.

“Blut und Ehre”, sangue e onore: è il loro motto che rimanda alla gioventù hitleriana. E se l’onore si fa fatica a vederlo, il sangue c’è davvero ed è quello che è caduto sull’asfalto la notte del 26 dicembre scorso mentre Daniele Belardinelli, detto Dedè, 35 anni, il loro capo, veniva travolto a morte da un Suv nel bel mezzo di un agguato in piena regola contro una carovana di auto dei tifosi del Napoli. In nome della loro alleanza con i fratelli interisti, gli ultras varesini, supportati dai francesi del Nizza, avevano preso parte agli scontri dello scorso 26 dicembre rispondendo alla chiamata alle armi contro il nemico comune.

«I veri capi davanti allo stadio non ci vengono: le persone che comandano stanno a casa loro», si legge in alcuni verbali. Nelle loro indagini, gli agenti della Digos coordinati dai pubblici ministeri Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro della Procura di Milano, tengono a mente soprattutto questa frase, pronunciata da uno dei trenta indagati in quella che si annuncia come una delle inchieste più lente e impenetrabili degli ultimi anni dove, per dirla con le parole del gip Guido Salvini che ha firmato le ordinanze di arresto, «prevalgono cameratismo e omertà».

Fra i veri capi della curva Nord dell’Inter, per esempio, figurano personaggi apparentemente lontani anni luce. Come l’insospettabile architetto Marco Piovella, detto “Il Rosso”, accusato di essere uno dei registi degli scontri, proveniente da una benestante famiglia milanese e titolare di un’azienda che si occupa di illuminazione.
 

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«Designer della luce» di giorno, come ama definirsi nel suo curriculum, e leader dei Boys San di notte (l’acronimo San si riferisce alle Squadre d’azione di Benito Mussolini), frangia del tifo nerazzurro rivolta verso l’estrema destra che, insieme ai Viking e agli Irriducibili, in questi anni è cresciuta in seno alla Curva Nord. O come Nino Ciccarelli, 49 anni, volto storico della criminalità milanese e fondatore dei Viking, un tatuaggio con dodici foglie sul braccio a indicare ciascuna delle sue condanne.

A metà anni Novanta, Ciccarelli fu accusato di far parte di un’associazione per delinquere che spacciava cocaina nelle curve. Con lui c’era anche Vittorio Boiocchi, pure lui ultras dell’Inter ma ad oggi non coinvolto in questa inchiesta, ritenuto vicino ad ambienti della ’ndrangheta. Sarebbe stato Ciccarelli, secondo i testimoni, a chiamare a rapporto la notte di Santo Stefano anche gli ultras neonazisti del Populaire Sud, gruppo nizzardo con cui i nerazzurri hanno stretto un gemellaggio nel 2013. Si tratta di coloro che insieme ai neofascisti di Generazione Identitaria organizzano pattugliamenti e spedizioni punitive contro i migranti al confine con l’Italia. Esibizioni di forza che, secondo il sospetto degli inquirenti, potrebbero essere esportate a breve in altre città.

 

L’asse MIlano-Brescia
Dopo la morte di Dedè, il sospetto di un lungo filo nero che unisce le varie tifoserie lombarde per gli investigatori della Digos sta diventando una certezza. Il credo fascista, infatti, annulla ogni differenza sociale. Unisce borghesi e classi operaie. Imprenditori e criminali. E fa miracoli persino con le tifoserie storicamente avversarie. Spiega il ricercatore Saverio Ferrari dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre: «Dopo la scomparsa della storica Fossa dei Leoni tradizionalmente orientata a sinistra, all’interno delle tifoserie milaniste si è aperto un varco e sono cominciati ad arrivare elementi legati all’estrema destra ma soprattutto alla criminalità organizzata: i neofascisti sono diventati i galoppini dei criminali».

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E così gli investigatori stanno notando un’insolita coincidenza: fra gli ultras dell’Inter e del Milan non solo non ci sono più tensioni, ma l’ascia di guerra sembra essere stata sotterrata in nome di un ideale comune: quello politico. Trait d’union in carne e ossa fra gli hoolingans delle due squadre, per esempio, sono le correnti neofasciste di Avanguardia Nazionale e Lealtà e Azione: ultimamente sono presenti in numeri crescenti non solo fra gli Irriducibili dell’Inter ma anche fra il settore blu del Milan. E poi ci sono gli skinhead del Brescia: non mancano mai di dare il loro supporto agli ultras rossoneri, con i quali sono legati da un saldo gemellaggio Proprio a Brescia, infatti, da qualche tempo sono arrivati movimenti come Brescia Identitaria, Brescia ai Bresciani e i Brixia Blue Boys: ombrelli sotto i quali si raggruppano simpatizzanti di estrema destra fra cui moltissimi ultras. Un serbatoio di uomini che di recente ha catturato l’attenzione di Forza Nuova. Pochi mesi fa il leader del movimento Roberto Fiore, proprio nella città lombarda, cercava di arruolare gli ultras attraverso campagne sui social network per “passeggiate della sicurezza”, cioè ronde.

 

Cosche al secondo anello
Se la fede politica è importante, però, altrettanto lo sono gli affari. E sarà per questo che pure le tifoserie più estreme delle due società milanesi, quando si tratta di business, dimenticano ogni rivalità sportiva.

Per capire quanto occorre rimettere insieme tasselli e vicende apparentemente slegate e riportare l’orologio indietro nel tempo. A quando, per esempio, la scorsa estate gli agenti del Commissariato Centro mettono le manette ai polsi del sessantenne Massimo Mandelli, militante di CasaPound, responsabile degli steward attivi a San Siro durante le partite dell’Inter. Insieme a Luca Lucci detto “Il Toro”, il capo ultras omaggiato da Salvini, aveva stretto un sodalizio che travalica la fede calcistica: gestivano un traffico di droga che disseminava stupefacenti per tutta la città. Non a caso, una delle basi al centro del traffico di droga, a Sesto San Giovanni, si trovava proprio davanti al bar Clan, luogo di ritrovo della tifoseria milanista. Quintali di cocaina ed eroina che arrivavano dai Balcani e dal Sud America sotto la regia di emergenti famiglie calabresi, ancora sotto la lente negli inquirenti. Secondo chi indaga, l’obiettivo era chiaro: puntare allo stadio.

 

Sandokan, il Topo e il Toro
«Sono un indagato fra gli indagati», ha detto sorridendo il responsabile del Viminale Matteo Salvini (da sempre cuore rossonero) mentre stringeva le mani di Lucci durante i festeggiamenti per i cinquant’anni della Curva Sud di San Siro.

Il Toro, però, non è un semplice pregiudicato. Di lui, in un vecchio verbale del 2006, parla il pentito di ’ndrangheta Luigi Cicalese, che fra i suoi vari crimini prese parte all’assassinio dell’avvocatessa Maria Spinella. Per fuggire dal luogo del massacro, Cicalese usò l’auto di Lucci, che riforniva abitualmente di cocaina: «Luca è un amico», disse davanti al pm Celestina Gravina.

E c’è da scommettere che l’amicizia, per Lucci, sia un valore importante. Come quella che lo lega al suo mentore Giancarlo Lombardi, detto Sandokan, leader degli ex Guerrieri Ultras. Lombardi, chiare simpatie di estrema destra, nonostante il Daspo ancora oggi continua a dettare legge nella Curva Sud, senza neppure bisogno di mettere piede fra gli anelli. Allo stadio non va più neppure Claudio Tieri, che con Sandokan anni fa aveva messo in piedi un’organizzazione criminale finalizzata, secondo quanto scrive il gip Federica Centonze, «a stabilire una posizione di egemonia attraverso delitti anche gravi che consentisse la gestione di affari, con ritorno economico, intorno allo stadio».

Anche Tieri, detto “Il Topo”, dopo i suoi trascorsi giudiziari ha trovato riparo fra le accoglienti braccia dell’estrema destra: ora è uno dei capi sezione di Forza Nuova, ritenuto fra i più attivi di tutta la Brianza.

«Non esistono colori politici allo stadio: esiste solo il calcio», continuano a ripetere i capi ultras ad ogni occasione. Eppure gli spalti, pardon, le curve, sono sempre più nere.