Picchiatori della curva, killer e mafiosi si sono uniti nell’assalto al bottino milionario di San Siro. Fra calcio, cavalli e concerti, ogni anno cinque milioni di spettatori pagano parcheggi, gadget, birre e panini con un’evasione enorme. E il Mit si scontra con il Comune sulla nuova Ztl

Milan-Lecce, venerdì 27 settembre, ore 20.40, stadio Meazza. Mancano cinque minuti all’inizio della partita. Alla fine della scalinata che porta ai posti del secondo anello arancio laterale, lungo il lato lungo del campo che confina con la curva Sud del tifo organizzato milanista, una mezza dozzina di ultras chiede l’obolo di un euro per la fanzine. A terra è esposto un campionario del merchandising. Quando inizia il primo tempo, i venditori se ne vanno nel loro settore, che ha un altro cancello di ingresso nel piazzale dello stadio, il 14 invece del 15. I tifosi normali devono convalidare due volte il biglietto o l’abbonamento. In teoria, anche gli ultras. In pratica, vanno e vengono nelle aree non vip. Sono in divisa nera di ordinanza, riconoscibili. Gli steward pagati 50 euro a partita fanno una corretta valutazione del rapporto costi-benefici e li lasciano passare. A qualche metro dal punto vendita del secondo arancio c’è il bar che vende ettolitri di birra a sette euro l’una mentre il ragazzo con la cassettina che gira per le gradinate è una figura nostalgica. Nei dintorni dello stadio circa trentamila veicoli sono parcheggiati al prezzo di venti euro. Per un evento singolo si parla di qualche milione di incassi collaterali contando le categorie commerciali che, nel gergo del quartiere, includono paninari e bandierari. Non poco in confronto alla biglietteria ufficiale che, per un match di modesto richiamo come quello con i salentini, incassa poco più di due milioni di euro. La punta storica è il derby di Champions del 2022 con 12,5 milioni di botteghino.

Tre giorni dopo, la mattina del 30 settembre, Milano si sveglia e scopre la quinta mafia. La retata contro gli ultras del Milan e dell’Inter, ordinata dal procuratore della Repubblica Marcello Viola, tifoso nerazzurro con tanto di cover sul cellulare, è uno choc per l’opinione pubblica. Chi frequenta lo stadio Meazza da un po’ di anni si stupisce che ci si stupisca. A San Siro comandano gli ultras su mandato della ‘ndrangheta, sai che novità. L’omicidio di Antonio Bellocco, una sorta di atto preventivo che l’autore, il capo-curva interista Andrea Beretta, sta tentando di presentare in forma di legittima difesa, ha fatto precipitare la situazione. Il delitto feroce, all’arma bianca, ripreso dalle telecamere, richiedeva una risposta immediata da parte di uno Stato che si è troppo spesso girato dall’altra parte e che non ha ancora trovato i colpevoli dell’esecuzione da professionisti e senza sbavature dello “zio” Vittorio Boiocchi, 69 anni di cui 26 in galera. Il capo tifoso interista si vantava di guadagnare 80 mila euro al mese dai parcheggi dello stadio ed è stato ammazzato il 29 ottobre 2022. Due giorni dopo, in segno di lutto, gli ultras abbandonavano la Nord e obbligavano a fare lo stesso i semplici spettatori, bambini inclusi, a pedate e a ceffoni.

Sul fronte Milan, c’è Luca Lucci, uno degli arrestati. Condannato per traffico di droga e per avere fatto perdere un occhio a un tifoso nerazzurro, Lucci si lamentava nelle intercettazioni di essere anche troppo popolare, quasi un perseguitato politico, a causa delle sue vecchie foto con l’attuale vicepremier Matteo Salvini in visita alla curva Sud. La difesa del leader leghista era stata: «Non lo conoscevo. Ci sono tifosi per bene e tifosi meno per bene».

È il modulo classico delle poche mele marce. A furia di propinarlo, nelle curve le mele sane sono andate in minoranza e oggi il vero tema giuridico dell’inchiesta milanese è l’associazione a delinquere. Non quella semplice. Il 416 bis di stampo mafioso. Il pm Paolo Storari è finito sotto scorta, come se si occupasse di crimine organizzato. Ma gli esempi sono anche altrove. Claudio Lotito, senatore forzista, è sotto protezione delle forze dell’ordine più o meno da quando ha acquistato la Lazio, vent’anni fa, e ha deciso di togliere alla curva neofascista degli Irriducibili il merchandising e la gestione delle trasferte da molto prima che il capotifoso biancoceleste, Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, venisse ucciso il 7 agosto 2019 in un regolamento di conti simile a quello di Boiocchi. Rispetto a Milano, nel caso di Diabolik cambia solo la matrice dei livelli superiori, che è camorristica.

Grazie alla teoria delle mele marce, la scalata delle mafie si è completata in tempi brevi e in modo pervasivo. Un commerciante che lavora nell’area antistante lo stadio dice: «I calabresi c’erano anche prima ma negli ultimi anni si sono presi tutto».

La nomenklatura, da Pino Caminiti di Gioia Tauro al sanlucota Giuseppe “u dutturicchiu” Calabrò, dai cittanovesi Facchineri agli stessi Bellocco di Rosarno, azzera i dubbi sulle origini e, soprattutto, sullo standing criminale dei clan che puntano sempre meno sulla depressa economia calabrese e sempre più sulla prosperità di Milano e dintorni. O di Torino e dintorni, per non dimenticare l’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tifo organizzato juventino.

A valle della retata del 30 settembre, la preoccupazione dei capi della curva è salvare il business di fronte al vuoto di potere creato dagli arresti e dalla pressione dell’inchiesta. Fronte Inter, gli ultras non hanno esposto lo striscione curva Nord durante il match contro il Torino di sabato 5 ottobre e lasciano intendere di volere ripristinare le vecchie sigle come quella dei Boys San, il vecchio stendardo di Boiocchi e del suo amico-rivale Franchino Caravita, 64 anni, preso a pugni dallo “zio” cinque anni fa. Dovrebbe essere l’inizio di un ravvedimento operoso. In realtà, suona soltanto come il vecchio detto calabro-siculo «calati juncu ca passa la china».

La piena che si è abbattuta sui presunti giunchi palestrati, tatuati e ben esposti in foto con l’underworld dei gangsta rapper made in Milan, si porterà via chi è stato abbastanza incauto da esporsi. Ma potrebbe preservare, almeno nelle speranze delle riserve di secondo rango pronte a giocare da titolari, un business enorme disponibile nei tre colori principali: bianco legittimo, grigio borderline e nero criminale come la droga, che sembra il movente dell’attentato al tifoso milanista Enzo Anghinelli nell’aprile 2019, in una via del centro.

San Siro non significa solo calcio o solo stadio, che sia il vecchio Meazza o il nuovo, secondo l’altalena dei club milanesi mai troppo separati dal loro tifo organizzato. Il comprensorio dello sport e dello spettacolo include, nel giro di poche centinaia di metri, l’ippodromo del galoppo e la pista Snai della Maura, di proprietà del gruppo Playtech con sede a Cipro. Fra partite, concerti, ippica, si parla di una novantina di eventi all’anno con una quota di evasione robusta e conti alla Finanza in scala uno a cento. Ogni anno la zona di San Siro ospita una cinquantina di partite fra campionato, coppa Italia e coppe europee. I match di calcio hanno una media spettatori superiore ai settantamila. Vanno aggiunti 10-12 concerti, sempre oltre i settantamila presenti, e decine di gare all’ippodromo. A stare bassi, si parla di oltre cinque milioni di presenze nell’area in poco più di settanta giorni all’anno. Secondo l’Istat, Venezia ha accolto 10,9 milioni di turisti in tutto il 2022. Solo Roma e, in proporzione, il quartiere di San Siro fanno meglio in Italia.

«Alla città resta poco e niente», dice il consigliere del gruppo misto Enrico Fedrighini. «Basti pensare che un biglietto da cento euro per i concerti di Taylor Swift o di Lana Del Rey porta al Comune 0,60 euro».

Eppure la giunta milanese aveva tentato di regolamentare quanto meno gli accessi in macchina all’area San Siro. Dopo anni di proteste da parte dei residenti affogati da uno tsunami di traffico ogni quattro giorni all’anno, nel 2019 era stata varata la Ztl San Siro che però è ancora bloccata da problemi regolatori con il ministero delle infrastrutture.

«Le regole pensate dal ministro per le ztl non ci aiutano», dice Arianna Censi, assessora alla mobilità del Comune di Milano. «Sono rigide, vecchie e non considerano il digitale un alleato. Quindi proteggere i residenti e la loro libertà è più difficile».

Per il settore magliette, sciarpe e simili, ci sono i sessantaquattro ambulanti del Consorzio operatori stadio che lavorano nell’area adiacente al Meazza, gestita dalla M-I Stadio Srl. La società è controllata dai due club ed è amministrata dal consigliere regionale di centrodestra Manfredi Palmeri, indagato nell’inchiesta sugli ultras. Gli ambulanti pagano per aderire al Consorzio che ha sottoscritto una convenzione privata con M-I Stadio.

Ci sono poi altre ventidue bancarelle nelle aree esterne, più lontane dal Meazza. Lì vige un canone comunale, il Cosap, con quote talmente basse da fare concorrenza alle concessioni balneari. Per le 38 giornate di campionato i ventidue operatori autorizzati dal Comune versano in tutto 22.640,70 euro. Sono mille euro a testa, il costo di cento panini. Con quattro salamelle per partita si va sopra il breakeven.

Il Consorzio operatori stadio ha ricavi per poco meno di un milione di euro. Se si guardano le attività del principe dei bandierari di San Siro, Emanuele Rimaudo collegato al tifo della Nord, le sue società e quelle della moglie (3Rsport, Big Bang Merch e altre) sono oltre i dieci milioni di euro. Tutto legittimo, ovviamente. Ma le intercettazioni riportano una spedizione punitiva ai danni di bagarini condotta da Beretta, l’assassino di Bellocco, a febbraio del 2022, per eliminare gli “intrusi napoletani” che nuocevano ai bandierari autorizzati. Dieci anni prima, nel gennaio 2012, qualcuno aveva gambizzato Rimaudo sul suo Hummer in una via di Paderno Dugnano, nell’hinterland settentrionale di Milano a conferma che da molto tempo gli affari a San Siro passano dal sangue.