«Frocio, ti spacco le ossa»: viaggio nel Paese dell'omofobia
Violenze, minacce, discriminazioni. Cronache delle aggressioni che raccontano un’Italia sommersa dall’odio verso le persone gay, lesbiche e trans. Con la connivenza del nuovo clima politico
«Frocio fermati! Ti facciamo la festa di capodanno». Siamo a Perugia, sono le cinque di notte del primo gennaio 2019. Lorenzo ha festeggiato il nuovo anno con gli amici. Lascia il locale: «Forse ero vestito in maniera troppo eccessiva». Cinque ragazzi iniziano a pedinarlo per le vie della città. Lo ricoprono di insulti, lo minacciano. «Vieni qua che ti sistemiamo». In pieno centro storico. Bisogna immaginare la scena: Lorenzo pochi metri più avanti, a passo svelto vuole raggiungere la macchina. Dietro cinque ragazzi che gli urlano addosso. Ad assistere indifferente la città: i proprietari dei locali rimasti aperti, gli studenti per le strade. «Mi guardavo intorno, non interessava a nessuno. Io ero la preda, loro cinque i cacciatori». Non è una storia eccezionale, è una delle tante storie che ci presenta il nuovo volto dell’Italia. Quello anti-lgbt, omofobo, violento. Ed è finita bene: «Ho cercato di percorrere le vie più illuminate. Arrivato in macchina, mi sono fiondato dentro e sono partito». Resta la paura: «Sto molto attento a quello che indosso, a quello che potrebbe succedermi se cerco di dare troppo nell’occhio». [[ge:rep-locali:espresso:285328338]] Le cronache delle aggressioni raccontano di un Paese sprofondato nell’odio. Sono tutte dell’ultimo anno, tutte legate alla nuova Italia. Quella del cambiamento, quella del prima gli italiani. Non è bastata l’approvazione della legge che ha introdotto le unioni tra persone dello stesso sesso. Il dibattito pubblico che ne ha caratterizzato l’iter è stato avvelenato. Il 4 marzo è stato come fare marcia indietro al tempo: l’Italia consegnata a chi prometteva di abolire le unioni civili, di cacciare “le streghe” che nelle scuole fanno educazione di genere, di curare gli omosessuali spingendoli all’eterosessualità. In questo Paese, dove niente è come sembra, il tempo vira e va nella direzione del vento, e non sempre è in avanti. C’è M. che ha 16 anni, viene massacrato di botte fino a perdere coscienza il 21 luglio a Torino, perché? «Cammina come un frocio». A Palermo, invece, una coppia di 14 e 15 anni, seduta su una panchina in pieno centro, viene raggiunta prima dagli insulti poi da pugni in bocca, in faccia e da un colpo di casco in testa.
Da nord a sud. Le vittime sono omosessuali, lesbiche, trans ma anche eterosessuali. Come i due muratori di Bologna, aggrediti da un 41enne che li ha prima sommersi di insulti omofobi per poi sfondare con un pugno il finestrino della loro macchina. Erano saliti in auto per prendere una bottiglietta, l’uomo ha frainteso la situazione e li ha aggrediti. [[ge:rep-locali:espresso:285328351]] Se nel monitoraggio dei media presentato il 17 maggio del 2018 Arcigay censiva 119 storie di omotransfobia riportate nella stampa, con addirittura 4 omicidi riconducibili al movente omotransfobico, le cronache che vanno dal 1 giugno a oggi raccontano un’Italia sommersa dall’odio verso le persone gay, lesbiche e trans. Tra giugno e luglio, ad esempio, sono stati ben 32 gli episodi, per un totale di 39 vittime, delle quali 22 nel solo mese di giugno e 17 a luglio. La media, in passato, era poco più di 9 vittime al mese. Numeri al ribasso, perché non tutte le vittime hanno il coraggio di sporgere denuncia. Le cifre e le storie sono comunque il preludio dell’anno che verrà.
LISTE ROSA
«È l’aria che si respira in questi ultimi tempi. Non che non sia mai successo prima. Ma chi aggredisce adesso si sente spalleggiato, rappresentato da chi ci governa», spiega Sebastiano Secci, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli di Roma, che nel mese di novembre ha trovato di fronte alla propria sede un sacco colmo di letame e un grande striscione con la scritta “Lgbt = Abominio perverso! Famiglia è Tradizione”. «Facciamo le riunioni la sera e fuori le macchine sfrecciano urlandoci di tutto, dagli insulti alle minacce. Non ci sentiamo tranquilli». Gli attivisti Lgbt sono diventati un bersaglio particolare di ostilità e campagne d’odio. Associazioni e locali erano considerate zone franche, dove sentirsi a casa. Oggi non più. oltre agli atti vandalici alle sedi associative, ci sono le aggressioni, le minacce esplicite di morte.
È il caso di Cathy La Torre, presidente di Gay Lex e storica attivista del Mit (Movimento Identità Trans): «Da giugno ricevevo foto sempre di pistole puntate verso di me», racconta a L’Espresso. «È partito tutto con un account fake: ero in bici e mi arrivò questo messaggio: “Pedala e al più presto ti arriverà un colpo di pistola in fronte”, i messaggi riportavano che nemmeno la protezione della polizia mi avrebbe aiutata». Così la vita di Cathy cambia radicalmente: «Sono stata sotto regime di controllo: protezione a vicinanza. Ho fatto tutti i Pride con la scorta e ho modificato il mio stile di vita».
Solo tra marzo e giugno Cathy La Torre ha ricevuto una media di 800 messaggi a settimana tra minacce e offese. Nel mese di agosto in soli tre giorni diventano 2200, aveva criticato l’occupazione illegittima di CasaPound. «Non si fermano. Hanno inviato anche alla polizia minacce nei miei confronti. Ho 20 anni di attivismo alle spalle, solo tre anni fa una cosa del genere era impensabile».
Proprio la persona Lgbt è diventata il nemico pubblico dell’Italia di estrema destra. Sono moltissimi gli episodi in cui l’ostilità nei confronti delle persone Lgbt viene espressa dalla galassia nera apertamente, con l’appoggio delle frange estremiste cattoliche. A Roma, Federico di 21 anni viene accerchiato da quattro uomini e insultato: «Pezzente, voi froci siete peggio degli zingari». Dopo avergli puntato un coltello sulla schiena viene pestato: pugni in faccia, calci nelle parti intime. Lo picchiano così tanto da farlo cadere a terra con la faccia piena di sangue. «Erano in quattro coi bomber neri e uno aveva la croce celtica tatuata sulla nuca». Nel mese di settembre viene presa di mira una scuola popolare di Milano che offre corsi di lingua agli stranieri. Le scritte sono le solite: insulti agli omosessuali, svastiche. Ci sono anche degli slogan pro Salvini.
30 LITRI DI BENZINA PER BRUCIARLI
Rompere il muro dell’omofobia non è facile, a volte si parla ma si resta inascoltati, altre volte chi vede preferisce chiudere gli occhi. Andrea e Angelo hanno rischiato la vita, più volte, hanno denunciato le aggressioni e per questo hanno perso il lavoro. Succede a Verona, terra di Romeo e Giulietta, universalmente nota come la città
dell’amore. Trasfigurata ne “la città a favore della vita” da una mozione anti-aborto leghista approvata dal Consiglio comunale. La storia di Angelo e Andrea racconta, in filigrana, questa Italia. Fascista, omofoba e indifferente. Spiega quello che non vediamo e quello che siamo diventati. «La nostra vita è cambiata radicalmente». È l’11 agosto, piazza Bra in centro, fuori da una gelateria Andrea e Angelo vengono insultati da un gruppo di ragazzi: «Culattoni di merda, rotti in culo». «Perché ci tenevamo per mano», spiega Angelo. Vengono subito dopo schiaffeggiati e spintonati. Poco più in là individuano dei vigili: «Ci siamo avvicinati per chiedere aiuto, il vigile non voleva capire. Dopo pochissimo si è avvicinato anche uno degli aggressori, ha toccato la spalla al vigile e gli ha detto “non vedi che sono due froci di merda?”. Il vigile lo ha mandato via senza fare nulla». Dopo l’episodio i poliziotti della Digos hanno individuato e denunciato un ventunenne originario della Romania. Ma l’incubo di Andrea e Angelo comincia proprio da questa inquadratura: la denuncia, il clamore, una grande manifestazione di piazza “Mano nella mano contro l’omofobia” promossa dalle associazioni. «Forse se quella sera i vigili avessero fatto attenzione questo incubo non sarebbe mai iniziato».
È la notte del 12 settembre, Andrea sente dei rumori nel cortile di casa. Apre la porta e viene travolto da un getto di benzina che lo colpisce in pieno volto. All’esterno l’abitazione viene ricoperta da una serie di scritte con la bomboletta nera, svastiche accompagnate da frasi come: “Culattoni bruciate” e ancora “Vi metteremo tutti nelle camere a gas”. Circa 30 litri di benzina per cospargere la casa. Anche qui: denuncia, clamore da parte dei media ma zero solidarietà dalle istituzioni. «Il sindaco Sboarina anzi ci ha attaccato», fuma di rabbia Angelo, «dice che non ha nulla contro di noi ma lui è per la famiglia naturale». Federico Sboarina, avvocato cattolicissimo soprannominato sindaco chierichetto, a marzo ospiterà il Congresso delle Famiglie, il summit mondiale delle associazioni anti-lgbt cattoliche e di destra. «Verona è sempre stata così ma adesso è peggio. Tutto intorno lo è. Noi abbiamo perso il lavoro. Abbiamo un’impresa edile e i nostri clienti hanno sempre saputo di noi. Tre anni fa io e Andrea ci siamo sposati in Spagna. Dopo la denuncia, l’esposizione mediatica, i clienti hanno disdetto tutto. Si vergognavano».
VIETATO L'INGRESSO
La cortina di omotransfobia attraversa le istituzioni e si diffonde nel tessuto sociale serrando porte e finestre: le strutture alberghiere rifiutano le persone Lgbt, i locali pubblici vietano di baciarsi o tenersi per mano, le case in affitto vengono negate. Ai primi di giugno Valentina risponde ad un annuncio in cui chiedevano disponibilità di ragazze per lo stand delle pistole sul Lungotevere. Un lavoro estivo, da svolgersi tra luglio e agosto. Viene rifiutata perché troppo mascolina: «Prima capisci qualcosa sulla tua identità poi ti potrai proporre per lavori in cui si cercano ragazze». Il 21 dello stesso mese due ragazze si scambiano un bacio all’interno del caffè Mc Donald’s a Napoli, vengono sgridate e invitate a uscire: «Una signora ci guardava con disprezzo e paura».
Nel mese di agosto Ivy 19 anni, iscritta all’università di Lettere di Palermo, non riesce a trovare una stanza in affitto: «Mi hanno chiuso il telefono in faccia dopo che ho detto che ero trans. Oppure mi hanno detto esplicitamente che le altre ragazze non sarebbero state tranquille». E sempre nel mese di agosto a Casarano, in provincia di Lecce, un proprietario di casa si rifiuta di concedere l’affitto a una coppia gay. «Preferisco affittare casa ad una famiglia normale», dichiara l’uomo all’agente immobiliare che, pur avendo già incassato la caparra, ha dovuto dare la notizia alla coppia, ormai già pronta a trasferirsi. Questa Italia diventa anche il paese dell’altro mondo. Del mondo sottosopra, capovolto, dove sono gli studenti a bullizzare i professori. Come è successo a un insegnante di Imola che per un anno ha sopportato insulti, scritte volgari alla lavagna nella quasi totale indifferenza degli altri docenti e della preside. Il tentativo del vicepreside, che aveva dato inizio a un percorso disciplinare, soffocato dai genitori «che non si sono mai preoccupati di chiedere scusa all’insegnante dei loro figli». La denuncia arriva a fine maggio da un amico dell’insegnante, anch’egli vittima di attacchi omofobi, con una lettera pubblicata dal sito Gaynews.it, testata diretta da Franco Grillini. Ancora più grave il comportamento della dirigente scolastica: «Non gli ha espresso solidarietà, né si è presentata ai collegi straordinari dei docenti per l’adozione di provvedimenti disciplinari. Anzi, ha cancellato dal registro elettronico le note che facevano riferimento a questi gravi atti». La preside sulla vicenda ha chiesto il silenzio. Gli alunni? «Penso che abbiano capito il messaggio», ha risposto, «non so se con l’insegnante si sono scusati tutti, ma di certo i genitori hanno capito».
ROMPERE IL SILENZIO
Eppure rompere il silenzio dopo una violenza sarebbe la prima risposta da dare. La violenza cerca un alleato nel senso di colpa, nel “te la sei cercata”; aggredisce la vittima e la fa tacere. Dire “mi hanno aggredito” e indicare l’aggressore è la prima mossa per allentare la catena dell’omofobia. Ma non è facile compierla.
Nel 2017 nel centro di Bari una coppia in vacanza in Puglia, è stata prima insultata mentre usciva da un locale. Successivamente picchiata: calci e pugni per essere poi essere rapinata. Il tribunale di Bari ha condannato il 31 gennaio 2019 i tre aggressori a due anni di reclusione. Per il giudice un «pestaggio animalesco a sfondo sessista», «brutale». Le vittime «per paura di ritorsioni» - come da loro dichiarato - non si sono costituite parte civile. «Un segnale», commenta Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay. «L’assenza di una legge penale di contrasto dell’omotransfobia espone le vittime a una condizione di vulnerabilità estrema, da cui legittimamente si mettono al riparo. Perciò spesso non denunciano o addirittura rinunciano a quel poco di giustizia che è loro dovuta. Trattata il più delle volte come materia da talk show, ridefinita ogni volta nelle contrapposizioni degli opinionisti di turno. Una questione di opinioni, insomma, delegata dalla politica, in modo pilatesco, ai tribunali popolari».