Parla Paolo, l'ex combattente nelle file delle Ypg che ora insieme ad altri quattro compagni rischia la sorveglianza speciale: «Ci siamo sentiti l’ultima volta quattro giorni fa prima che ritornasse al fronte». Su Facebook, il suo testamento: "Se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più in questo mondo"

«Partiamo in fretta e furia, del resto in accademia c'è stato insegnato che in un minuto e mezzo dobbiamo esser pronti a tutto. Mi ero fidato di "livemap", credendo fosse Marashidah l'ultima città rimasta, invece scopro che è a Baghuz che si chiuderà questa storia». Scriveva così il 28 febbraio su Facebook Lorenzo Orsetti, 33 anni di Firenze, per tutti Orso, ucciso dall’Isis, durante un’imboscata insieme ad altri cinque compagni. 

Lorenzo, nome di battaglia Têko?her (combattente), si trovava in Siria da un anno e mezzo. Aveva iniziato l’addestramento durante la caduta di Raqqa, era partito e aveva deciso si arruolarsi nell Ypg, l’Unità di protezione del popolo curdo, perché fortemente convinto dei valori della società del Rojava, la zona del nord della Siria a maggioranza curda. Da oggi sarà ricordato come uno sheid, un martire. Aggiungendosi ai circa 50 internazionalisti caduti finora. 

Abbiamo raggiunto al telefono Paolo, ex combattente nelle file delle Ypg, tornato a novembre 2018, e che ora insieme ad altri quattro compagni rischia la sorveglianza speciale per aver combattuto contro l’Isis.
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«Ci siamo sentiti l’ultima volta quattro giorni fa prima che ritornasse al fronte. Ma non parlavamo mai di guerra, anche per sdrammatizzare la situazione che stava vivendo. Negli ultimi tre mesi faceva avanti e indietro, una cosa logorante, per questo gli stessi comandanti ogni due settimane ti consigliano di prendere un attimo di pausa». Lorenzo stava infatti combattendo nella Siria sud-orientale, tra l’Eufrate e il confine iracheno, contro le ultime sacche di resistenza. Sulla sua pagina Facebook che giornalmente curava come un diario, dava le informazioni dall’ultimo fronte rimasto aperto nella lunga battaglia del popolo siriano contro le forze Isis.
«L’ho conosciuto due mesi prima che partisse per la Siria - racconta Paolo - nel settembre 2017, qui in Italia, io poi ho dovuto rimandare la mia partenza di due mesi, ma arrivato lì ci siamo visti spesso. Era un cuoco come me, spesso scherzavamo su questa cosa, lui aveva lavorato in ristoranti di prestigio a Firenze. Non eravamo nello stesso tabur (unità di fanteria composta da 20-30 persone, ndr), ma ci vedevamo spesso e ci tenevamo in contatto anche quando eravamo lì, nei tempi di calma, nei momenti di stallo in attesa tra una battaglia e l’altra ci raggiungevamo». 

E proprio intorno a Baghuz che Lorenzo ha trascorso le sue ultime settimane, lungo quella che per le Fds era ormai la prima linea, oltre quella, gli ultimi territori in mano a Daesh. Ha raccontato tutto in questi giorni di frenetica battaglia nella  speranza che si chiudesse veramente questa storia.

«Non ho mai sentito in lui la debolezza o la la tristezza - racconta Paolo - nonostante vivesse la guerra in primo piano, io invece sentivo la guerra quando ero lì, avevo i miei momenti. Lui invece riusciva a mantenere il senso dell’umorismo, nonostante tutto. Forse perché credeva totalmente nella causa per cui stava combattendo. Aveva un carattere forte, trascinante e metteva il sorriso in ogni tragedia». 

«Il suo desiderio era quello di vedere la fine della guerra, la fine dell’isis e della battaglia. A differenza di molti compagni come noi non aveva un piano, una data di scadenza per cui dover tornare, aveva sposato in tutto e per tutto quella battaglia e sapeva che sarebbe rimasto fino alla fine». 

«Certo, non resto insensibile davanti alla morte, ma non mi fa più lo stesso effetto di un tempo», scriveva soltanto un mese fa alla vista del corpo di una bimba ridotta a quella che definiva una “bambola rotta”, ricordando i tanti corpi di donna che aveva visto ad Afrin.
«Aveva delle idee politiche ma non aveva mai militato in movimenti a differenza di molti di noi - aggiunge Paolo - ma condivideva le idee libertarie. Era un antifascista e anche se è arrivato dopo che abbiamo fondato il gruppo Antifa Tabur, ne avrebbe voluto far parte».
Sapeva infatti che una volta tornato anche a lui sarebbe potuta toccare la stessa sorte  di Paolo e degli altri quattro che la procura vuole mettere sotto sorveglianza speciale. Ma non gli interessava: «Mentre in Italia provano a trattarci da terroristi, noi continuiamo con il nostro lavoro, ogni giorno sempre più certi di stare dalla parte giusta». 

Queste che seguono sono le parole che Lorenzo avrebbe voluto che tutti, amici, cari, compagni e persone di ogni tipo, leggessero se fosse caduto al fronte. Le ha affidate a un compagno, che le ha pubblicate. 
Se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più in questo mondo, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così, non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà.
Quindi nonostante la mia prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Vi auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. 
solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza. Mai! Neppure per un attimo. 
Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. Proprio nei momenti bui la vostra luce serve. 
E ricordate che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”, cercate di essere voi quella goccia.
Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.
Serkeftin!
Orso, Têko?her, Lorenzo