Dal gruppo italiano 310 milioni di dollari alle società africane della moglie del numero uno Descalzi. Che paga regali di lusso alla figlia del dittatore. Ecco i documenti dello scandalo. Che ora vede l'ad e la moglie indagati per «omessa comunicazione di conflitto di interessi»

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Aggiornamento 27 settembre 2019. Descalzi e la moglie sono indagati per l’ipotesi di «omessa comunicazione di conflitto di interessi».

Nella sua posizione di amministratore delegato dell’Eni, la più grande industria pubblica italiana – una multinazionale con 33 mila dipendenti e oltre 70 miliardi di fatturato, controllata dal governo in carica e quotata in Borsa a Milano e New York – Claudio Descalzi non ha mai potuto, né voluto permettersi di detenere anonime società offshore, mescolare progetti aziendali con investimenti personali o siglare affari privati con clan di dittatori africani. Ad avere questa rete di interessi economici e legami politici, infatti, non è lui, ma sono alcuni suoi familiari e partner aziendali: la moglie, il suo manager di fiducia e il marito della figlia.

Cambiasi Holding Limited è una società di Cipro con azionisti anonimi. I proprietari si nascondono dietro lo schermo legale di una fiduciaria che li rappresenta. Attraverso altre società estere, la Cambiasi controlla una cordata di aziende africane di appalti petroliferi, che hanno incassato dal gruppo Eni una montagna di soldi: almeno 310 milioni di dollari. Secondo una segnalazione ufficiale dell’autorità anti-riciclaggio del Lussemburgo, trasmessa ai magistrati italiani, quella società-cassaforte di Cipro è stata creata nel 2009 da Marie Madeleine Ingoba Descalzi, la moglie del numero uno dell’Eni. Poi, tramite la Cambiasi, la signora risulta aver trasferito il controllo delle aziende africane al suo manager di fiducia, Alexander Haly, nell’aprile 2014, poco prima della nomina di Descalzi al vertice del colosso statale italiano.

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Haly è un manager inglese con residenza a Montecarlo che da qualche mese è indagato dalla Procura di Milano per corruzione internazionale: presunte tangenti targate Eni nella Repubblica del Congo. Il nuovo troncone di questa indagine è nato da un’inchiesta giornalistica dell’Espresso, pubblicata nell’aprile 2018, sugli affari italiani nell’ex colonia francese che ha per capitale Brazzaville. La moglie di Descalzi è cittadina di quella nazione africana, dove lui iniziò la sua carriera come direttore della filiale locale dell’Eni. Tra gli indagati per le presunte corruzioni in Congo, oltre a Haly, spicca Roberto Casula, che si è autosospeso dalla carica di numero due del gruppo dopo le prime perquisizioni, ma ha sempre respinto le accuse.

Haly ufficialmente è il top manager di una società olandese, Petroserve Holding Nv, che controlla diverse aziende africane con nomi simili, come la Petro Services Congo, che affittano navi commerciali e gestiscono appalti di logistica e trasporti per le multinazionali del petrolio. Secondo i primi contratti sequestrati dalla Guardia di Finanza, solo la controllata congolese ha incassato dal gruppo Eni, dal 2012 al 2017, oltre 104 milioni di dollari. Dopo la segnalazione del Lussemburgo sul presunto ruolo della signora Descalzi, i magistrati di Milano hanno acquisito le carte di altri appalti privati, ottenuti sempre da aziende controllate dalla Petroserve olandese, ma con basi in Mozambico, Gabon e Ghana. In totale, secondo i conteggi della Guardia di Finanza, quelle società africane risultano aver incassato oltre 310 milioni di dollari, appunto, solo dal gruppo Eni. Il bilancio però è parziale, perché la rete di Petroserve lavora per l’azienda statale italiana almeno dal 2009. Di qui l’interrogativo al centro dell’indagine: chi ha incassato i profitti di tutti quegli appalti africani? Chi sono i proprietari delle anonime società estere arricchite dall’Eni?
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La catena di comando non è visibile nei registri pubblici. Sopra la Petroserve olandese, c’è una società anonima lussemburghese, chiamata Cardon Investment, fondata nel 2009, che è a sua volta controllata dalla misteriosa capogruppo Cambiasi Holding di Cipro. Tutti gli azionisti sono segreti: si fanno rappresentare dai professionisti della Fiducenter Secretaries Limited, uno dei tanti studi che garantiscono l’anonimato ai padroni delle offshore. La svolta è arrivata dopo la perquisizione degli uffici di Haly a Montecarlo, che ha fatto scattare la segnalazione anti-riciclaggio trasmessa alla Procura di Milano: le autorità lussemburghesi hanno identificato come primo titolare della Cardon la signora Ingoba Descalzi, che attraverso la società di Cipro ha poi ceduto l’intera piramide di aziende al suo manager di fiducia, Alexander Haly, che ne era già l’amministratore.

Ora i magistrati di Milano hanno chiesto la documentazione completa ai giudici lussemburghesi, per verificare se l’Eni abbia versato tutti quei milioni a una rete di società estere effettivamente intestate prima alla signora Descalzi e poi al suo presunto braccio destro. In astratto, non si può escludere un errore. Finora però non è mai successo che un’autorità estera anti-riciclaggio sbagli a identificare gli effettivi titolari di una società e dei suoi conti bancari. Quando fu interpellata su altre offshore, la signora Descalzi dichiarò che le sue società estere «non hanno mai avuto alcun rapporto con l’Eni». E che suo marito «non c’entra niente».

I magistrati di Milano attendono carte riservate sulla signora Descalzi anche dai colleghi francesi. I giudici di Parigi indagano da tempo su enormi tesori nascosti all’estero dalla famiglia del presidente del Congo, Denis Sassou Nguesso, un ex generale che è al potere da quarant’anni ed è stato più volte denunciato dai leader dell’opposizione (ora in esilio) come un dittatore corrottissimo. La sua nazione è molto ricca di gas e petrolio, ma metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. In questo quadro, la polizia francese ha perquisito uno dei suoi presunti tesorieri-prestanome, accusato di riciclaggio: avrebbe usato una rete di società offshore per reinvestire decine di milioni sottratti alle casse statali africane. Soldi spesi tra Parigi e la Costa Azzurra, in particolare, per comprare ville e palazzi a beneficio di Julienne Sassou Nguesso, figlia prediletta del presidente, a sua volta indagata per riciclaggio insieme a suo marito. Secondo i documenti francesi, la figlia del dittatore avrebbe ricevuto per anni regali molto costosi anche da altre persone, soprattutto prodotti italiani di moda e design, per un valore di almeno 700 mila dollari. E a pagare tutte quelle fatture, sempre secondo l’accusa, sarebbe stata la signora Ingoba Descalzi, attraverso il conto bancario di una sua società congolese.

Le carte scoperte in Francia, già esaminate dagli inquirenti italiani a Parigi e Bruxelles, confermano anche un incrocio societario rivelato dall’Espresso: la moglie dell’amministratore delegato dell’Eni viene indicata come socia occulta della figlia del dittatore in una offshore delle Isole Mauritius, un paradiso fiscale che garantisce l’anonimato totale. I bonifici per i regali di lusso a Julienne Sassou Nguesso, per circa 150 mila dollari all’anno, iniziano nel 2007 e continuano almeno fino al 2012, quando viene creata la società delle Mauritius, tuttora attiva. La signora Descalzi ha però dichiarato di non aver mai avuto rapporti d’affari con la figlia o altri familiari del presidente congolese.

Dopo le prime rivelazioni dell’Espresso, il vicepremier Luigi Di Maio, interpellato dal Fatto Quotidiano, aveva annunciato richieste di chiarimenti. Nel frattempo Descalzi, che fu nominato dal governo Renzi, ha saputo conquistarsi l’appoggio della Lega. Quindi il premier Giuseppe Conte gli ha riconfermato la fiducia del governo gialloverde, dichiarando che «la responsabilità penale è personale». Eventuali problemi, insomma, riguardano solo la moglie.
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I coniugi Descalzi hanno anche una figlia, la primogenita, ben introdotta nei palazzi del potere congolese. Cindy Descalzi ha sposato un ricco uomo d’affari africano, Serge Pereira, che controlla un impero immobiliare e una grande società di costruzioni, Unicon. Il suo gruppo ha ottenuto grossi appalti, senza gara, dal regime congolese: il più costoso è la costruzione di un polo universitario da oltre 300 milioni di dollari, intitolato a Sassou Nguesso, che dovrebbe ospitare più di 25 mila studenti. L’opposizione grida però allo scandalo: la nuova università sarebbe stata progettata su terreni sabbiosi, minati dalle esondazioni del fiume Congo. Intervistato dalla stampa locale, Pereira ha difeso con forza questo «progetto importantissimo per il futuro dell’Africa», spiegando che i problemi sono dovuti ad «alluvioni eccezionali» e soprattutto ai «ritardi nei pagamenti per le difficoltà finanziarie del governo congolese». (Qui la replica di Serge Pereira)

Tra gli investimenti nel settore energia del marito di Cindy Descalzi spicca l’acquisto del 5 per cento di una società di gas e petrolio, Cap Energy, che opera in Africa e ha come direttore generale un ex dirigente dell’Eni, Pierantonio Tassini, che ha lavorato per 42 anni nel gruppo italiano, diventando un fedelissimo di Descalzi. Nel suo consiglio d’amministrazione siede anche Alexander Haly, che risulta titolare, dietro un’immancabile società offshore, di oltre il 70 per cento delle azioni della Cap Energy. L’azienda guidata da Tassini, dunque, collega anche il genero di Descalzi al manager delle aziende africane che risultano create dalla signora Ingoba e arricchite dall’Eni. In compenso nell’ottobre scorso, dopo le perquisizioni milanesi, i proprietari della Cambiasi Holding di Cipro, chiunque siano, hanno preferito chiudere le saracinesche: la capogruppo del sistema Petroserve ora è in liquidazione.

L’indagine della Procura di Milano era partita da un’altra società privata, la congolese Aogc, che nel novembre 2013 ha ottenuto quote tra l’8 e il 10 per cento di quattro enormi giacimenti di gas controllati dall’Eni. Secondo l’accusa, quell’azienda è una tesoreria del regime, creata da Denis Gokana, capo della società petrolifera statale (Snpc) fino al 2010 e poi consigliere speciale del presidente per gli affari dell’energia. Tra i soci della Aogc ora identificati compaiono altri tre politici del governo congolese. Interpellato all’assemblea dell’Eni dalle organizzazioni anticorruzione Re:Common e Global Witness, Descalzi ha risposto con grande franchezza che «Aogc non l’abbiamo scelta noi». Come dire che fu il regime congolese a imporla.

Dopo i primi articoli dell’Espresso, l’indagine giudiziaria si è però allargata a un altro giacimento di gas, chiamato Marine XI, che ha una storia opposta. Mentre l’Eni otteneva altre licenze miliardarie in Congo, infatti, proprio la Aogc, la presunta società-cassaforte del regime, ha venduto il 23 per cento di Marine XI: solo quella quota ha un valore di 430 milioni di dollari. L’affare con la Aogc l’ha fatto una fortunata società anonima, Wnr Congo, che ha versato appena 15 milioni. Una vendita che per i magistrati è molto «anomala». Nei decreti di perquisizione, la Procura ha descritto il «meccanismo corruttivo» come uno scambio segreto di giacimenti milionari. «L’Eni trasferisce quote di partecipazione a società collegate al presidente Sassou Nguesso». Quindi «il corrotto, per invogliare il corruttore, gli restituisce una parte delle tangenti», proprio attraverso la cessione di un altro giacimento. I Paradise Papers, le carte riservate delle offshore pubblicate dal consorzio Icij (di cui fa parte L’Espresso), documentano che dietro la Wnr, tra il 2013 e il 2015, c’erano tre italiani e un inglese, tutti legati all’Eni.

Tra quegli azionisti originari spicca un’amica fidatissima di Casula, che ha poi ceduto la sua quota ed è stata assunta come dirigente dal gruppo statale. Ma tra i soci del giacimento che è al centro del presunto scambio di tangenti tra Italia e Congo c’è anche il solito Haly. Che ora sembra avere un ruolo più chiaro: è lo storico amministratore e attuale intestatario delle società africane di appalti che sarebbero state create, via Cipro e Lussemburgo, dalla signora Ingoba Descalzi.

AGGIORNAMENTO 11 MARZO: La replica di Eni al nostro articolo
AGGIORNAMENTO 12 MARZO: La replica di Serge Pereira