
È la storia di Nicholas Vreeland meglio conosciuto nel mondo tibetano come Khen Rinpoche, un giovane fotografo allievo tra gli altri di Irving Penn e Richard Avedon che nel 1977 conosce il maestro tibetano Khyongla Rinpoche e decide di cambiare la sua vita.
Contrariamente a quanto accaduto a molti altri ragazzi della sua generazione l’incontro non avviene in qualche sperduto angolo dell’India, del Nepal o della regione himalayana, ma più semplicemente nel cuore del mondo occidentale, al “Tibet Centre” di New York.

L’Espresso lo ha incontrato a Nuova Delhi in occasione del “Global Launch of Social, Emotional and Ethical Learning”, una nuova prospettiva educativa e pedagogica basata su alcune idee cardine del pensiero del Dalai Lama come apertura verso il diverso, non violenza, principi etici in grado di parlare sia alla coscienza secolare sia a quella religiosa dell’essere umano. Su questi concetti il Dalai Lama ha aggregato molte centinaia di educatori, operatori scolastici, docenti ed esponenti di varie tradizioni spirituali. E da questa aggregazione è nato il progetto “SEE Learning” che è stato presentato dal 4 al 6 aprile a Nuova Delhi, alla presenza dello stesso Dalai Lama, del Premio Nobel per la Pace Kailash Satyarthi e di molti altri protagonisti dell’impegno per l’attuazione di nuovi moduli educativi nel mondo contemporaneo.
Vestito con la tradizionale tunica amaranto dei monaci tibetani, Nicholas Vreeland alias Ken Rinpoche ricorda quel 20 aprile 2012 quando il Dalai Lama gli affidò la responsabilità di guidare, in qualità di abate, il monastero di Rato, molto noto in Tibet e ricostruito nell’India meridionale.
«Si trattò di una decisione inaspettata che mi colse di sorpresa. E all’inizio mi spaventò non poco. Per di più, il Dalai Lama mi chiese non solo di assumermi le tradizionali responsabilità di un abate ma di fungere da ponte tra Oriente e Occidente. Di sperimentare, cioè, la possibilità di inserire elementi della cultura contemporanea all’interno delle strutture monastiche».

Americano nato a Ginevra nel 1954 è figlio di un diplomatico statunitense e abituato sin da piccolo a cambiare spesso nazione di residenza vivendo prima in Germania, poi in Francia, quindi in Marocco e infine negli Usa. Soprattutto molto influenzato dalla presenza della nonna paterna, Diana Vreeland, la raffinata e indiscussa musa di Harper’s Bazaar (1936-1962) e di Vogue (1963-1971), la cui parola era legge e un suo cenno poteva innalzare alle stelle o gettare all’inferno una collezione, uno stilista, un abito. In questo ambiente sofisticato ed effervescente il futuro Khen Rinpoche si muove a suo agio. È giovane, l’atmosfera è quella frizzante dell’epoca, tutto sembra possibile anche le più improbabili avventure. Ancora ragazzo ha accesso a un mondo elitario, per la maggior parte delle persone magico ed irraggiungibile, dove tra l’altro conosce importanti fotografi come Irving Penn e il mito dell’immagine fashion Richard Avedon. Decide di divenire lui stesso un fotografo. «Volli tentare anch’io quella strada. Anche se ero più stimolato dal reportage che non dai ritratti in studio. Divenni quindi un fotografo freelance. Per onestà intellettuale devo ammettere: non particolarmente di successo».
Successo o meno, alcuni anni dopo incontra il lama Khyongla Nicholas, suscitando non poche perplessità nella nonna e nell’intero suo mondo di provenienza. Nel 1985 decide di andare in India e prendere i voti monastici nel monastero di Rato. Qui, oltre a imparare perfettamente il tibetano, segue tutto il classico iter degli studi fino a ottenere nel 1998 il diploma di Geshe, la massima riconoscenza accademica del mondo monastico buddhista del Tibet.
La cosa interessante è che la vita monacale, intrapresa con estremo impegno non comporta per lui l’abbandono della passione per la fotografia. «Capisco che possa sembrare strano, se non stravagante, un monaco impegnato a usare la macchina fotografica. Dopotutto i nostri voti prevedono l’abbandono della dimensione mondana. Ma io non vedo contraddizione tra la mia esistenza monacale e quella di fotografo. Anzi, ritengo che attraverso l’immagine si possa aiutare gli altri, sia possibile mettere in pratica il più importante dei nostri impegni religiosi: quello di essere di beneficio a tutti gli esseri senzienti. A dire la verità, non è stato sempre così. Appena divenni monaco riposi la mia attrezzatura fotografica in una scatola, una sorta di “vaso di Pandora”. Solo alcuni anni dopo compresi che la fotografia poteva parlare alla dimensione spirituale ed essere di aiuto».Quindi riprese in mano le sue macchine e tornò a fissare su pellicola le scene del mondo.
Incoraggiato anche dal Dalai Lama, Khen Rinpoche divenne quindi il “monaco con la macchina fotografica” che mise al servizio della pratica e del pensiero buddhista. Ad esempio, quando, nel 2008, il monastero di Rato si trovò ad affrontare una drammatica carenza di fondi, la sua arte fu di un importanza vitale per la sopravvivenza dell’insediamento monastico. Infatti Khen Rinpoche accompagnò lama Khyongla quando questi tornò in Tibet nel 2003 dopo 50 anni d’esilio e scattò decine di istantanee di quel viaggio. Il risultato fu la mostra “Photos for Rato” la cui première si tenne il 21 aprile 2011 nella prestigiosa “Leica Gallery” di New York. “Photos for Rato” fu poi ospitata in alcune delle principali città di decine di nazioni e consentì a Vreeland di raccogliere oltre 400 mila dollari per il suo monastero.
La storia di questo particolare “monaco con la macchina fotografica” suscitò non poca attenzione nei media internazionali e nel 2014 una coppia di registi, Tina Mascara e Guido Santi, produsse un documentario su di lui chiamandolo proprio, “Monk with a Camera: The Life and Journey of Nicholas Vreeland”. Il film ebbe molto successo e innumerevoli proiezioni, facendo divenire Khen Rinpoche un personaggio noto anche oltre i confini del mondo spirituale e artistico. Nel film si intrecciano con la narrazione della vita di Nicholas Vreeland, interviste e interventi del Dalai Lama, di Khyongla Rinpoche, di Richard Gere, di John Avedon (figlio di Richard) e di altri personaggi legati alla avventura umana di Khen Rinpoche. Oggi Nicki, come lo chiamano gli amici, è molto soddisfatto per come sta procedendo il lancio del SEE Learning, qui a Nuova Delhi.
Le linee guida di questa nuova proposta pedagogica potranno sembrare poco inerenti con l’educazione di un monastero tibetano. «Ma si sbagliano. I valori alla base del SEE Learning sono in profonda consonanza con quelli dell’autentico pensiero buddhista. Si basano sulla medesima visione del mondo. Sulla volontà di esprimere tolleranza, attitudine non violenta, assenza di dogmatismo, consapevolezza e compassione». L’idea è quella di unire le radici della tradizione buddhista all’apertura al mondo contemporaneo, perché solo una unione del genere potrà garantire un futuro diverso e una qualità della vita migliore di quella attuale. «Non è più il momento delle contrapposizioni frontali ma dell’incontro tra pensieri differenti, tradizioni differenti, percorsi differenti», sottolinea.
Mai come oggi la nota profezia di Kipling, “East is East and West is West (and never the twain shall meet)”, ci appare superata. Infatti, per dirla con le parole del monaco con la macchina fotografica, «non solo Oriente e Occidente si incontreranno, ma in realtà si sono già incontrati».