
L’immensa pianura sembrava arrivare fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare e tutto d’intorno non c’era nessuno: solo il tetro contorno di torri di fumo». “Il vecchio e il bambino” di Francesco Guccini sono ancora lì, solo un po’ più impauriti. La pianura è la stessa, con il grigio e il verde che si mischiano e formano un paesaggio indistinto. E dei miti del passato restano solo i ricordi. Il “vecchio” di oggi sa in cuor suo che l’Emilia non è più la stessa. Stravolta dalle metamorfosi sociali ed economiche, che hanno indebolito gli argini rendendoli permeabili al nazionalismo. Il 26 maggio scorso la barriera non ha retto. Le elezioni europee, per la prima volta, incoronano la Lega sovranista primo partito della ex rossa. Superato il Pd, da queste parti erede di una storia gloriosa dissipata in pochi anni.
Nell’immensa pianura troviamo per esempio Eugenio. Un combattente della bassa Modenese. Da sette anni resiste in un container nel giardino della sua casa fiaccata dal sisma del 2012. Denuncia le opacità, si batte per le tante famiglie che come lui hanno toccato con mano il presunto modello Emilia della ricostruzione. «Molte imprese hanno chiuso, il lavoro scarseggia. Ma di questo non si parla: qui va tutto bene, questa è la narrazione». Eugenio, 61 anni, capelli arruffati bianchi vive a Concordia sulla Secchia. Ha lavorato finché ha potuto. Era un edile, diplomato in restauro antico e bio architettura. Concordia, profonda pianura padana, provincia di Modena, è città di confine: «50 metri dal mio container e c’è la Lombardia», sorride Eugenio, che non ha perso l’abitudine a prendersi gioco del destino beffardo contro il quale è costretto a fare i conti quotidianamente. Dopo le forti scosse di sette anni fa, il cancro gli ha stravolto la vita: due tumori, domati per ora con pesanti interventi chirurgici. La malattia vissuta in una condizione di fragilità sociale. Perché Eugenio sta combattendo una guerra anche contro la burocrazia. Rischia infatti di dover restituire i contributi mensili post terremoto alla Regione. Per un intervento edilizio che non può permettersi di pagare di tasca propria e non compreso nella pratica per la ricostruzione. Le regole per chi vuole usare i fondi non ammettono deroghe: vengono finanziati solo i lavori per riparare i danni strettamente legati al sisma. La casa di Eugenio è tra queste. Ma quando il geologo è andato a fare i rilievi ha trovato una falda freatica, una sorta di sacca d’acqua, sotto la sua abitazione di campagna. Il problema non dipende dalle scosse. La falda era lì da sempre. E perciò dovrà essere Eugenio a risanare il terreno prima di rimettere in piedi l’intero edificio. «Non posso sostenere una spesa del genere», ammette. È intrappolato in un labirinto dal quale non riesce a uscire. Per procedere, infatti, a una ricostruzione finanziata con i fondi della Regione deve prima intervenire sulla sacca d’acqua. E se decidesse di abbandonare il progetto di ripristino? «Dovrò restituire il contributo mensile avuto finora. Non sono il solo a trovarmi in situazioni del genere. Ci sono molte famiglie in difficoltà proprio per le disfunzioni burocratiche. Solo che non se ne parla».
Il viso di Eugenio è sofferente. Ma non cede di un millimetro. Perché è consapevole di incarnare un’altra Emilia. L’anima pura di questa terra, trasformata radicalmente dai fondamentalisti del profitto. Il 26 maggio scorso la metamorfosi ha raggiunto un nuovo stadio: l’Emilia ha indossato l’abito sovranista, concedendo alla Lega di Matteo Salvini il primato in regione. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha esultato per il buon risultato del 22 per cento nazionale insperato. Tuttavia in Emilia Romagna i democratici hanno perso. Il dato è ancora più preoccupante per il Pd se letto in chiave futura: le prossime Regionali si avvicinano, l’autunno è dietro l’angolo. La roccaforte del Pci, poi dei Ds e fino a Matteo Renzi del Pd, espugnata dal Capitano. Un disastro politico consumatosi lungo la via Emilia. Che ha radici profonde. Non è certamente frutto del caso. Prendiamo l’area in cui vive Eugenio.
A Concordia la Lega ha incassato alle Europee il 43 per cento, quasi sette volte il 6,52 del 2014. E benché a sindaco sia stato riconfermato Luca Prandini con una lista civica di centrosinistra, il risultato delle Europee resta comunque una ferita difficile da rimarginare. Peggio è andata a Mirandola: Matteo Salvini qui ha conquistato anche il Comune con oltre il 47 per cento, alle scorse comunali aveva ottenuto il 9,52. Siamo nel cuore del cratere sismico, il cui voto ha premiato il Carroccio trascinandolo al primo posto non solo in Regione ma anche in provincia di Modena. Una cosa mai vista, che animerà le discussioni serali tra i pochi veterani del volontariato in ciò che resta delle prossime feste dell’Unità. E che sia arrivato all’ultimo stadio il mutamento di questa terra un tempo rossa lo si capisce dalla reazione piuttosto pacata di fronte alla vittoria della coalizione a trazione leghista del Comune di Sassuolo. Poco sopra il 50 per cento. Non stupisce perché il capoluogo del distretto ceramico era già stato conquistato in passato dal centrodestra. Segno di un cambiamento in corso da tempo, che lento fluiva sotto la pelle. Anche Ferrara ha un sindaco leghista. Il ballottaggio ha consegnato la vittoria al candidato di Salvini , che porta in consiglio comunale Stefano Solaroli, un militante che ostenta la sua pistola Beretta sui social.
E che dire di Brescello. I sovranisti sono primo partito. La retorica anti immigrati ha attecchito pure nel paese di Peppone e don Camillo. Brescello simbolo di un’Emilia smarrita: è stato il primo Municipio emiliano sciolto per infiltrazioni della ’ndrangheta. I clan hanno trovato ampi spazi di manovra perché a molti imprenditori locali ha fatto comodo sposare l’ideologia criminale. Eppure c’era un tempo in cui il benessere collettivo era il fine di una società giusta. Un tempo in cui il progresso incanalava lo sviluppo verso il bene comune. C’era un dovere etico non scritto ma rispettato da tutti: il miglioramento delle proprie condizioni economiche doveva coniugarsi alla difesa dei diritti sociali. Su queste solide fondamenta sono state erette le prime grandiose storie delle cooperative fondate dai lavoratori. Lo scopo non era l’arricchimento personale, ma la crescita di un’intera comunità. Un processo rivoluzionario all’interno dei confini della neonata democrazia italiana. Un modello di antagonismo disarmato al sistema capitalista.
L’Emilia è stata un laboratorio economico, sociale, culturale. Poi l’ideale che ha spinto il sogno e lo ha radicato nella realtà è stato infettato dalla fede nell’Io. L’egoismo come un virus ha scavato nelle pareti dell’organismo, trasformandolo in una copia di una qualunque regione produttiva del Settentrione. E arriviamo così all’oggi. La domanda di sicurezza personale che soppianta la rivendicazione di sicurezza sociale anche per chi abita ai margini della società del benessere, isolato dai processi produttivi e dal mercato. Il risultato è lo smembramento di un modello che vedeva nel progresso un processo corale in cui tutti, ma proprio tutti, avrebbero avuto un ruolo. Per lasciare il posto a un bulimico sviluppo fine a sé stesso e riservato a pochi. Dai rapporti fondati sulla solidarietà si è passati alla ossessione per politiche securitarie. I risultati del 26 maggio confermano la tendenza. E ci restituiscono una regione impaurita, spaventata, meno solidale, più incattivita, che ha visto nello slogan “Prima Io di qualcun altro” il naturale sbocco di un processo di cambiamento.
Prima il mio benessere, prima i Mirandolesi, prima i Brescellesi, prima i Ferraresi. È la vittoria dell’individuo che desidera il benessere solo per sé e per nessun altro. Un cambiamento epocale nella terra che ha pagato un prezzo altissimo per l’atto più solidale e umano possibile: la lotta partigiana per restituire a tutti gli italiani un Paese libero dal fascismo.
Ma un’altra Emilia c’è. È una terra ancora semplice, genuina. È l’Emilia di Eugenio e dei tanti che provano ad arginare l’ideologia del “Prima Io”. Un piccolo microcosmo distante dall’opulenza delle vetrine dei centri storici delle città e dei paesoni. La pianura estrema, in cui «gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi... fra la via Emilia e il West». La provincia della Piccola Città di Francesco Guccini esiste ancora. Continua a essere abitata da storie sconosciute, intime. Impermeabile al chiasso dei salotti televisivi, alle promesse urlate dei politici e agli slogan populisti che mettono davanti al benessere collettivo le esigenze dell’Io.
È una terra di frontiera a volte cupa da sembrare l’America del lontano Ovest. Ambientazioni plumbee di un’Emilia mai vista, ritratte da Valeria Sacchetti in un tour fotografico che attraversa luoghi dimenticati dell’Appennino modenese e scende nella profonda Valpadana, tra ruderi abbandonati, cascine rianimate, bambini che corrono liberi, terremotati che resistono nella roulotte davanti alla case danneggiate e non accettano di essere spostati altrove.
La ricostruzione post terremoto, appunto. Venduta al grande pubblico come un’eccellenza, in realtà macchiata dai soliti interessi: imprese dei clan e professionisti spregiudicati che hanno fiutato l’affare riproponendo le logiche ben note in Italia dopo ogni devastante calamità naturale. E poi la burocrazia. La rete nella quale è rimasto impigliato Eugenio, il combattente della Bassa. Casa inagibile dal 2012, i suoi figli sono diventati maggiorenni nel container donato da un’associazione. Lui lo ha sistemato ricorrendo all’arte antica delle costruzioni povere. «L’ho rivestito usando la tecnica “terrapaglia”, Chier, in francese. È un metodo medioevale, si scioglie l’argilla e si impasta con la paglia. Si riempiono le pareti e ottieni un ottimo isolamento termico». Il padre di Eugenio era un partigiano. Ha combattuto sulla Linea Gotica contro i nazifascisti. Eugenio ha militato in gioventù con Lotta Continua, mentre il fratello è di Rifondazione Comunista. La falce e martello è di casa. Ma il successo in Emilia del nazionalismo di Matteo Salvini non lo stupisce. «Se ha stravinto la Lega vorrà dire qualcosa», poi aggiunge amaro: «Il modello Emilia ha fallito, malgrado gli annunci e le apparenze, la verità è che in questi sette anni la gente è stata lasciata sola a risolvere i guai provocati dal terremoto. A differenza del passato molte persone vivono nella paura. Non c’è più lo spirito e il coraggio di combattere per il bene di tutti che c’era un tempo. La Lega è stata presente sul territorio. E io mi chiedevo: ma perché non ci sono gli altri, quelli che per statuto dovrebbero stare dalla parte delle classi più fragili? I leghisti hanno fatto ciò che gli altri si sono dimenticati di fare, e i cittadini questa assenza la percepiscono, la elaborano e protestano nelle urne». Il sovranismo emiliano è questo: riempimento di un vuoto, lasciato da chi ha dato per scontate le conquiste ottenute. Le lotte di ieri, gli slogan urlati di oggi.