Troppo spesso abortire diventa una tortura. L’Espresso ha messo a disposizione uno spazio in cui condividere anonimamente la propria esperienza. Per rompere il silenzio e raccontarla #innomeditutte. Questa è una delle testimonianze che abbiamo raccolto

Dopo aver raccontato la terribile  testimonianza  di un'interruzione volontaria di gravidanza fatta di sofferenze e silenzi, abbiamo deciso di pubblicare un po' alla volta quelle arrivate in redazione in questi giorni. Lo  spazio anonimo  riservato alle vostre esperienze ne ha raccolte a centinaia. Da tutta Italia. Da giovani ragazze alla prima gravidanza, da donne già madri di due figli, da mariti che cercano di esprimere a parole il dolore di una perdita da cui spesso vengono esclusi.

Questa è la testimonianza di N. da Napoli

«Ventesima settimana, si rompono le acque. Vengo portata in ospedale, dove mi viene detto che c'è il rischio che la mia bambina non sopravviva e, anche se nascesse, condurrebbe una vita che tale non era. Con grande dolore, perché avevo già interrotto altre gravidanze, decido per l'aborto.

Ricordo questa psicologa, incinta, che tenta di dissuadermi. Io la guardo basita mentre mi dice di pensarci, ma non c'è molto su cui riflettere. Io quella figlia la volevo, ma volevo anche evitare che soffrisse inutilmente e che morissi io di setticemia.

Arriva il giorno del parto, mi mettono gli ovuli e mi portano in una sala da sola. Io urlo come una pazza, ma nessuno mi dice una parola di conforto. Ricordo che tenevo un rosario e pregavo. A un certo punto sento che la bimba nasce e comincio ad avere un gran freddo alle gambe. Dico alle infermiere di chiamare il medico, che avevo tra le gambe il corpicino e che avevo freddo, ma loro non mi rispondono. Le sento parlare tra di loro, dicono che non ci possono fare niente perché l'anestesista è un obiettore di coscienza. Non vuole scendere per addormentarmi.

La campagna
L'aborto negato, rompiamo il silenzio: raccontaci la tua storia #innomeditutte 
28/9/2020


Per fortuna ho il cellulare con me: chiamo mio marito e gli dico di far venire il mio ginecologo. Quando arriva, mi dice di stare tranquilla e che mi avrebbe fatto il raschiamento una volta nata la bambina. Io alzo la coperta e gliela mostro. Lui si spaventa, non crede ai suoi occhi. Sono piena di sangue, finalmente chiamano l'anestesista che mi addormenta senza neanche farmi arrivare in sala operatoria. "Non mi rovini la giornata morendo, signora" mi dice.

Mi hanno presa per i capelli, stavo morendo dissanguata. Tutto perché l'anestesista e le infermiere erano obiettori di coscienza».