Personaggi
Tutti gli amici di Fabrizio Palermo, il capo di Cdp che non dice mai di no ai potenti
È il manager più amato dai partiti di ogni colore, da D'Alema a Zingaretti, dalla Lega a Bisignani, anche per le nomine fatte per compiacere la politica. Tutti i dossier più delicati del momento sono sul suo tavolo e da quando è in Cdp ha aumentato le voci di spesa per pubblicità e marketing. Il suo punto debole? L'ossessione per sicurezza intercettazioni
Giuseppe Bono, Amministratore Delegato Fincantieri
Oggi chi non conosce Fabrizio Palermo non conosce il potere. Per fortuna Fabrizio Palermo conosce tanta gente. Nel taschino sempre un fazzoletto bianco di un atipico candore, a volte a due o tre punte, altre squadrato, il perugino Palermo incontra con la stessa disinvoltura il faccendiere Luigi Bisignani, che fu giovane piduista e ora sussurra agli ambiziosi, e l’americano Mike Pompeo, che fu capo della Cia e ora è segretario di Stato. Palermo fa molte cose e le fa coesistere con mirabile creatività sin dal giorno in cui, dopo una lunga gestazione nel governo gialloverde di Giuseppe Conte I, fu nominato amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti a scapito del più blasonato Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti. La sovraesposizione mediatica di Cassa Depositi e Prestiti, istituzione che risale al Regno di Sardegna, chiamata con intonazione melliflua Cdp, soprattutto dai politici che reiterano i medesimi espedienti retorici, tipo interviene Cdp, è roba di Cdp, ci pensa Cdp o anche la Cdp, se in contesti informali, fa supporre che Cassa depositi e prestiti venda cioccolatini e caramelle oppure sia il forziere che la vecchia Italia ha rinvenuto chissà dove e chissà come.
Cassa depositi e prestiti, o meglio Cdp, o meglio ancora la Cdp, invece, è una società per azioni - controllata dal ministero del Tesoro con l’83 per cento e partecipata col 16 da una schiera di fondazioni bancarie - che gestisce il risparmio postale: 271 miliardi di euro nel 2020 - 150 li gira sul conto corrente del ministero che frutta interessi annui fra 1,5 e 3 miliardi - e altri 110 li raccoglie sul mercato con i titoli di Stato. Il compito di Cdp è tutelare e remunerare i soldi che gli italiani conservano per il futuro e finanziarie operazioni a basso rischio e alta rendita; è una sorta di banca di Stato che, su mandato del Tesoro, detiene la maggioranza di aziende come Eni, Sace, Snam, Terna, Italgas, Saipem, Fincantieri, Webuild, Fintecna e una quota rilevante di Tim. Finché non è arrivato Fabrizio Palermo.
Palermo ha una formazione assai lontana dagli orizzonti costitutivi dei Cinque Stelle, ma proprio i Cinque Stelle, con la pervicace insistenza del viceministro Stefano Buffagni, l’hanno consacrato al comando di Cdp. Addì 27 luglio 2018 in piena rivoluzione populista e sovranista. Già analista della banca d’affari Morgan Stanley, dipendente della multinazionale di consulenza strategica McKinsey, direttore finanziario di Fincantieri e poi con la stessa mansione in Cdp, cinquant’anni il prossimo febbraio, Palermo non si accontenta di sorreggere lo Stato che scricchiola con il denaro garantito di Cassa, ma vuole ricostruire lo Stato attorno a Cassa. Attorno a Fabrizio Palermo. Così va in soccorso al governo per la Rete unica telefonica, per le connessioni veloci in 5G, per la matassa Autostrade, per la Borsa di Milano, per il sistema dei pagamenti digitali. E per ogni, ogni singolo, capriccio o fastidio di governo. Palermo va, poi si vedrà.
ORIGINI E OSSESSIONI
Ha sempre detestato la sede in via Goito a Roma. Non il palazzo di architettura umbertina in sé, custode della memoria di Cassa, di recente sottoposto a una profonda ristrutturazione per adeguarsi alla nuova epoca. Palermo ha sempre detestato l’anonima immagine di Cdp. Davvero intollerabile per un manager eclettico e forbito. Palermo non dice “banca per lo sviluppo”, ma “development bank”. Fa quei discorsi magnetici in cui a due parole di italiano si accompagna una sigla inglese. Questione di decoro. E di statura. Anzi, di “standing”. Palermo ha liberato il quarto piano di via Goito dalla prima linea di dirigenti e il suo ufficio si ritrova circondato da almeno cinque sale per le riunioni. In questo modo può ricevere gli ospiti in luoghi diversi e sempre “puliti”. Perché ovunque, prima di accomodarsi, fa sistemare i telefoni in un’apposita cassetta che scherma da eventuali intercettazioni ambientali. Palermo sa scomparire e all’uopo apparire. Serbano ancora stupore gli invitati alla festa per i 170 anni di Cassa del novembre scorso all’ex Poligrafico con l’inno di Mameli cantato dal coro di Santa Cecilia e uno sfarzo che neanche alla cerimonia d’insediamento della regina Elisabetta II.
Cdp ha speso la miseria di 350mila euro in pubblicità su giornali e televisioni nel 2018. L’anno dopo Palermo, appena ambientato, ha divelto la parsimonia portando l’esborso a 1,3 milioni. Anche per il marketing e la comunicazione ha corretto subito la deriva con uno stanziamento di 3,5 milioni di euro per un aumento di 1,4 milioni. Per ampliare il suo margine di manovra, come previsto dal piano industriale, lo stesso che impone di formare «campioni nazionali dell’economia», si è creato una fondazione che permette a Cassa di distribuire una manciata di milioni - l’attuale dotazione è di quattro - in progetti culturali e sociali. Per l’occasione Cdp ha offerto un contratto a tempo indeterminato a Mario Vitale, docente all’università Luiss di Confindustria, e poi l’ha distaccato in fondazione con il rango di direttore generale. Siccome la cura di sé non è mai troppa, Palermo si è esibito in una chiacchierata da ragazzi social con Marco Montemagno, in arte Monty, una divinità dell’universo digitale, per divulgare l’incantevole Fondo nazionale per l’innovazione. Una cosa figa per una noiosa, o il contrario. Comunque Palermo si è affacciato dalla telecamera con una racchetta e una pallina da ping pong per poi ammettere che pratica soltanto canottaggio. Ovviamente con un ex olimpionico, mica l’amico del liceo. Straziante.
SALVADANAIO ROTTO
Palermo ha spalancato Cassa e si è fiondato su società morenti già del giro di Cdp o per piani temerari: 39 milioni di euro per Trevi, società di ingegneria del sottosuolo affogata nei debiti e quota di Cassa salita dal 17 al 26 per cento; 400 milioni per Ansaldo Energia, lasciata senza liquidità e Cdp balzata dal 59 all’88 per cento delle azioni; 250 milioni per Salini Impregilo (Webuild), multinazionale delle costruzioni in un settore in cui gli italiani sono docili nanetti tra feroci colossi. Il tempo dirà se ha sbagliato. Su Autostrade per l’Italia è più prudente. Il 14 luglio 2020 il governo ha “punito” la famiglia Benetton per la tragedia del ponte Morandi e lo Stato si è “ripreso” le concessioni autostradali, più o meno come due anni fa il ministro Luigi Di Maio annunciò l’abolizione della povertà. Palermo non poteva rifiutarsi di assecondare la propaganda. Dunque da tre mesi Cassa tratta con Atlantia, la cassaforte dei Benetton, per subentrare alla famiglia di Ponzano Veneto in Autostrade. E da tre mesi si pencola sul burrone con estenuanti riflessioni sulla manleva legale per il ponte, le presunte offerte straniere per Atlantia, le nuove tariffe autostradali. Palermo è ligio ai desideri del governo, ma ha altre preferenze: o abbandona il negoziato e fugge da un potenziale azzardo per il bilancio di Cdp o aspetta il tracollo di Atlantia per acquistarla a prezzi più vantaggiosi.
La vera aspirazione di Palermo è però la rete unica telefonica. Un gruppo da plasmare e poi amministrare, se non riesce a respingere l’assalto a Cdp - il mandato scade l’anno prossimo - di Domenico Arcuri, il commissario di Conte per la pandemia e anche il suo dirigente di Stato di riferimento. La Cdp di Palermo ha sfiorato il 10 per cento di Tim. Ormai è il secondo azionista alle spalle dei francesi di Vivendi. Mentre in Open Fiber, la rete in fibra pubblica, uno degli ultimi più brillanti fallimenti d’Italia, Cdp possiede il 50 per cento, l’altro è di Enel. Dopo tesissime riunioni con i ministri Roberto Gualtieri (Tesoro), Stefano Patuanelli (Sviluppo Economico), gli emissari di Palazzo Chigi e lo stesso premier Conte, in agosto Cdp e Tim hanno raggiunto un accordo per la nascita di una società per la rete unica per internet in banda larga con dentro anche altri operatori come Fastweb, Vodafone e Tiscali. Lo schema d’agosto, una mera ipotesi che ha scontentato Palermo, prevede la maggioranza col 51 per cento a Tim e la conduzione all’azionista pubblico Cdp. Sarà complicato superare il vaglio delle Autorità antitrust europee e italiane per la posizione di monopolio di Tim.
Nessuna sorpresa. Perché Palermo, assieme ai suoi alleati politici dei Cinque Stelle, in ordine Buffagni e Patuanelli con la benedizione di Beppe Grillo, ha in mente qualcosa di più imponente. Rendere Cdp il principale azionista di un gruppo - nome in codice “Connect It” - capace di possedere tutte le infrastrutture e tutte le tecnologie della telefonia: AccessCo per le connessioni domestiche in banda larga; Network Mobile per le licenze del 5G; una quota in Inwit per le torri di trasmissione. E poi i tre gioielli di Tim: Data Center per i dati delle società private e della pubblica amministrazione; Sparkle che sorveglia 530mila chilometri di cavi internazionali su cui transitano comunicazioni sensibili dall’oceano Atlantico al Mediterraneo sino a Israele; Telsy che si occupa di sicurezza cibernetica. Va da sé che il migliore candidato per “Connect It” è Fabrizio Palermo.
COPRIRE TUTTO IL CAMPO
I 412 miliardi di euro di attivo e i 2,7 di utile consentono di sentirsi immortale a Cdp. Palermo ne è già convinto. Allora si cimenta in vasti disegni di sistema e pure in sortite nelle province d’Italia che fanno luccicare il logo di Cdp e la sua fama presso i politici e le imprese: in un anno e mezzo, Cassa ha elargito prestiti per una media di 60mila euro in un triennio a 40mila aziende di piccole dimensioni. Cassa non scende in provincia per un mutuo e addio, Palermo è per i rapporti duraturi. Ha inaugurato già quattro sedi, a Verona, Genova, Napoli, Torino, e presto si replica a Firenze. In più ha aperto quattro presidi assieme alle Fondazioni a Cagliari, Sassari, Rovereto e Trento. Vuol dire bandiere di Cdp che sventolano, ma anche personale di zona, contatti diretti e costanti col territorio, cioè la politica. Come accadeva con le fabbriche negli anni Ottanta in Campania per compiacere la Dc. Palermo ha pregustato per qualche settimana il cosiddetto “Patrimonio per il rilancio”, circa 44 miliardi di euro di soldi del Tesoro per aiutare le aziende falcidiate dalla pandemia con oltre 50 milioni di euro di fatturato. Cassa sperava di ripartire a sua discrezione il fondo, soltanto l’auspicio di Palermo, amplificato dai media, ha innervosito il ministro Gualtieri e Alessandro Rivera, il direttore generale del Tesoro. Sarà il ministero a disporre del fondo, Cdp avrà il ruolo di semplice erogatore del denaro.
UNA POLTRONA PER TUTTI
Nelle precoci agiografie di Palermo si legge che fu corteggiato e poi assunto da Cassa perché l’ad Giovanni Gorno Tempini - oggi presidente di Cdp - rimase folgorato dalla sua bravura. In realtà Palermo avvertiva una umana nostalgia di Roma e dall’algida Trieste rincasò grazie a una segnalazione a Gorno Tempini di Giuseppe Bono, il suo capo, l’eterno capo di Fincantieri. Perciò Bono patì anch’egli una umana reazione emotiva quando a inizio 2019, durante i bagordi del governo gialloverde, Palermo e i Cinque Stelle gli chiesero di andare in pensione e lasciare la tolda della cantieristica navale al valente Pier Francesco Ragni o almeno di prepararsi a una successione. Bono è affondato poche volte in mezzo secolo e con astuzia si è sbarazzato delle pretese di Palermo. Procede tranquillo verso i vent’anni da amministratore delegato di Fincantieri. Al buon Ragni ha affidato la missione di risollevare la controllata norvegese Vard. Gli è capitato di viaggiare parecchio, poi Palermo l’ha ingaggiato in Cdp. Qualcosa di Bono gli è rimasto. Qualche lezione. Palermo ha un’attenzione maniacale per la soddisfazione della politica.
Non può accettare che non sia elogiato e adorato da tutti. Lo adora la Lega con Matteo Salvini, lo adora il Movimento da Luigi Di Maio in giù, lo adora il Pd col segretario Nicola Zingaretti e il ministro Lorenzo Guerini. E pure Massimo D’Alema, e finanche Matteo Renzi. Bisignani lo esalta, fiero di poter conversare con Fabrizio. E lui, educato, ricambia. Perché un posto lo si trova sempre. Il dalemiano Rodolfo Errore l’ha sistemato alla presidenza di Sace. Il renziano Federico Lovadina, già consigliere di Ferrovie, socio dello studio legale Bl con Emanuele Boschi (fratello di Maria Elena) e Francesco Bonifazi (ex tesoriere del Pd), era a spasso: perfetto, Palermo gli ha consegnato la presidenza di Sia (pagamenti digitali, verso la fusione con Nexi). In attesa di approdi migliori, per blandire i leghisti, l’anno scorso Massimo Sarmi fu collocato in Sia come vice di Lovadina.
Per un periodo Giacomo D’Amico, già capo di gabinetto di Zingaretti alla Regione Lazio e molto stimato da Bisignani, ha raggiunto Lovadina a Milano con l’incarico di direttore delle relazioni istituzionali di Sia. Milano non è Trieste, però D’Amico ha preferito rientrare a Roma e subito, via Cdp, Stefano Donnarumma l’ha accolto in Terna, la società della rete elettrica, dove si è insediato in maggio. Ex di Acea, la multiservizi del comune di Roma, Donnarumma è un dirigente con targa dei Cinque Stelle e grande amico di Palermo. Per la presidenza di Snam, invece, Cassa ha scelto Nicola Bedin, talmente vicino ai Cinque Stelle che fu tra gli oratori di Sum, l’evento dell’associazione di Davide Casaleggio dedicata al padre Gianroberto. C’è spazio per tutti nella miriade di società di Cdp. Fabrizio non delude. Accoglie maggioranza e opposizioni, ex premier, ministri, segretari e faccendieri. È vero, ha ragione Johnny Stecchino. Il problema di Palermo è il traffico.