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Ironia della sorte, la nomina è stata ratificata a soli tre giorni di distanza dal discorso all’assemblea di Confindustria in cui il capo della lobby degli imprenditori è tornato ad attaccare il governo e la politica in generale, incapaci di creare le condizioni perché il sistema Italia ritrovi la rotta verso la crescita. «Non possiamo, né vogliamo diventare il Sussidistan», ha scandito il capo degli industriali, evocando il pericolo che il Paese non riesca a ripartire una volta esauriti i bonus e gli aiuti di Stato che hanno fin qui sostenuto l’economia nazionale prostrata dal Covid.
Al momento però è difficile non notare che anche Bonomi ha afferrato al volo l’occasione di uno stipendio pubblico proprio nel pieno della pandemia. La poltrona in Fiera è infatti di gran lunga l’incarico aziendale più importante nel suo personale curriculum. A questo proposito, va ricordato che il presidente di Confindustria non ha scalato il vertice dell’associazione partendo dall’azienda di famiglia, come è invece successo per i suoi predecessori, da Vincenzo Boccia al defunto Giorgio Squinzi. Il capo degli imprenditori possiede una partecipazione di netta minoranza nel capitale di un gruppo che produce apparecchiature biomedicali con un fatturato annuo che si aggira intorno ai 20 milioni.
A cavallo di Ferragosto, al termine di una complicata operazione con scorpori e conferimenti di attività, la quota di controllo della galassia aziendale presieduta da Bonomi è passata di mano. È uscito di scena Berrier capital, un fondo di private equity. Nel ruolo di azionista di maggioranza è sceso in campo un altro investitore istituzionale con basi a Hong Kong e a Lussemburgo, il Mandarin Fund diretto da Alberto Forchielli, un consulente molto attivo in Cina noto al grande pubblico per i suoi interventi nel talk show televisivi. A giochi fatti però il ruolo di Bonomi non è cambiato: possiede il 33 per cento di una società che ha indirettamente in portafoglio l’8 per cento circa di Medtech, la holding ora controllata dal Mandarin fund di Forchielli, a cui fanno capo le aziende operative. In questo gioco di scatole, l’investimento personale del presidente di Confindustria si misura quindi in poche decine di migliaia di euro.
Ben diverse sono le dimensioni di Fiera Milano, che ha chiuso l’anno scorso con un giro d’affari di 280 milioni di euro. Sul futuro della società incombe però la crisi innescata dalla pandemia, che negli ultimi sei mesi ha praticamente azzerato il business aziendale. Tutti i grandi eventi della scorsa primavera sono stati annullati e con l’aumento dei contagi è a rischio anche la timida ripresa dell’attività programmata per l’autunno. In altre parole, la presidenza di Bonomi coincide con la fase di gran lunga più complicata nella storia di un gruppo che era da poco tornato a macinare profitti dopo il ribaltone giudiziario di quattro anni fa, quando un’inchiesta della magistratura aveva alzato il velo sui rapporti d’affari di alcuni dirigenti con una cosca mafiosa.
Nei primi sei mesi di quest’anno, a causa del Covid, i ricavi sono crollati a 55 milioni, oltre il 60 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 e a giugno i conti erano in rosso di 12 milioni. Nonostante le prospettive incerte e a differenza di molte altre società quotate, ad aprile la società milanese non ha comunque rinunciato a distribuire il dividendo. Con ovvia soddisfazione degli azionisti, a cominciare dal socio di maggioranza, la Fondazione, che ha incassato quasi 6 milioni.
Non è solo questione di numeri di bilancio, però. Di recente la Fiera ha dovuto fare a meno anche dell’amministratore delegato Fabrizio Curci, che a giugno si è fatto da parte per passare al vertice di Marcolin, il marchio dell’occhialeria. Il nuovo capoazienda si chiama Luca Palermo ed è arrivato ai primi di ottobre, a quattro mesi di distanza dalle dimissioni di Curci. Nel frattempo le deleghe operative sono temporaneamente passate a Bonomi, cooptato ad aprile nel consiglio di amministrazione.
La nomina al vertice di Fiera del presidente di Confindustria corre sul filo del conflitto d’interessi. La questione ruota attorno all’interpretazione di una norma del codice di governance della società, quella che vieta al presidente di svolgere incarichi esecutivi in società estranee al gruppo fieristico. Nel caso di Bonomi, il problema non si pone tanto per il piccolo gruppo biomedicale di cui è socio di minoranza. Il suo ruolo nella holding Medtech è infatti di pura rappresentanza istituzionale, senza deleghe operative. Diverso è il caso di Confindustria. Lo statuto dell’associazione nazionale degli industriali affida la gestione operativa a un direttore generale, ma ampi poteri sono riservati anche al presidente. Il quale, come si legge all’articolo 12, «provvede all’esecuzione delle deliberazioni degli organi, nonché alla vigilanza sull’andamento delle attività confederali». Come si concilia questo ruolo con la regola di governance di Fiera Milano spa che vieta al presidente di rivestire incarichi esecutivi in altre società? «Nessuna incompatibilità», questa in sostanza la risposta di Fondazione Fiera, che ad aprile ha presentato la candidatura del leader degli industriali al vertice della controllata quotata in Borsa.
A ben guardare, però, esiste almeno un precedente in cui una questione simile è stata risolta in modo differente. Non è la prima volta, infatti, che la rotta di Bonomi incrocia il sistema fieristico. Nel 2010 il futuro presidente di Confindustria è stato eletto per la prima volta nel consiglio generale di Fondazione Fiera, l’organo collegiale che sovrintende alla gestione dell’ente. Risale invece a settembre del 2016 l’ingresso tra i nove membri del comitato esecutivo. Meno di un anno dopo, nel giugno del 2017, l’imprenditore milanese, da tempo molto attivo nei ranghi dell’associazione, conquista la poltrona di presidente di Assolombarda, la più importante tra le rappresentanze territoriali degli industriali.
Ebbene, nel giro di quattro mesi, a ottobre del 2017, Bonomi rinunciò all’incarico in Fondazione Fiera e nella successiva relazione di bilancio dell’ente il passo indietro del consigliere venne giustificato con la nomina al vertice di Assolombarda. Tre anni fa, dunque, lo stesso Bonomi si fece da parte per dedicarsi al nuovo impegno nel sindacato degli imprenditori. Questa volta invece le cose sono andate diversamente. Il presidente di Confindustria ha accettato la nomina al vertice di Fiera spa, un compito ben più gravoso rispetto a quello di semplice consigliere della Fondazione. A quanto pare, il numero uno degli industriali ora ritiene di poter conciliare i mille impegni nell’associazione di categoria con la presidenza di una società quotata in Borsa.
Strada facendo, Bonomi rischia anche di trovarsi in una posizione scomoda, costretto a conciliare interessi diversi e a volte in conflitto tra loro.
Da una parte c’è il suo ruolo in un’azienda con centinaia di azionisti che ovviamente si aspettano profitti e dividendi in crescita. Lo stesso Bonomi però, come presidente di Confindustria, è anche chiamato a rappresentare gli imprenditori. E proprio questi ultimi sono i principali clienti della Fiera, che ogni anno mette a disposizione delle imprese gli spazi dove organizzare eventi, promuovere la propria immagine e intrecciare nuovi rapporti d’affari. Che fare, dunque? Come garantire gli uni e gli altri, operatori finanziari e acquirenti dei servizi fieristici? Costretto a indossare due cappelli contemporaneamente, Bonomi dovrà sfoderare doti notevoli di equilibrista. Con il rischio, alla fine, di scontentare tutti.