La Valtellina contro Fontana e Gallera: «Non chiudete il nostro ospedale»

La regione Lombardia vuole smantellare reparti e ambulatori a Sondalo per trasferirli nella struttura di Sondrio, più piccola e antiquata. A farne le spese gli abitanti del Nord, che perderebbero così un centro sanitario d'eccellenza

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Nella Lombardia in zona rossa c’è un fronte aperto in più per il governatore Attilio Fontana e per Giulio Gallera, assessore al welfare. Già sotto accusa per ritardi e omissioni nella gestione dell’emergenza Covid, la coppia al comando della sanità regionale deve fare i conti anche con le proteste dell’Alta Valtellina, ricco territorio montano di provata fede leghista. Si muovono Bormio e Livigno, centri turistici da milioni di presenze l’anno, e con loro gli altri paesi ai piedi dello Stelvio, dove è nato un movimento che nei mesi scorsi ha portato in piazza migliaia di cittadini, fatto più unico che raro da quelle parti. Obiettivo comune: scongiurare la chiusura dell’ospedale Morelli di Sondalo, vittima designata dei tagli di bilancio decisi dalla giunta Fontana.

Il destino della struttura, che con i suoi nove padiglioni è stata per decenni il più grande sanatorio d’Europa, pare segnato da quando un anno fa la Regione ha presentato un “Piano di riqualificazione” che di fatto prevede il trasferimento a Sondrio di quasi tutti reparti. In gioco, tra l’altro, c’è l’unità spinale, eccellenza riconosciuta a livello nazionale, che non può funzionare se privata del supporto di specialità come le chirurgie toracica e vascolare.

Le prove generali dell’operazione sono andate in scena già in primavera, quando l’ospedale di Sondalo è stato destinato quasi per intero ai pazienti Covid. In vista di una più che probabile seconda ondata, nei mesi estivi ci sarebbe stato il tempo di riconvertire un padiglione, in parte già attrezzato, per far fronte alla nuova offensiva del virus. Una soluzione che avrebbe tra l’altro permesso di isolare i malati infetti in una zona a loro dedicata. A giugno, durante un incontro con una delegazione di amministratori locali dell’Alta Valtellina, Fontana e Gallera si erano spesi in rassicurazioni sul futuro del Morelli. Niente da fare. Nonostante i numerosi solleciti, quelle promesse sono rimaste lettera morta. Non sono mai stati avviati neppure i lavori nella struttura, da tempo vuota e inutilizzata, che poteva essere facilmente adattata per ospitare un centro Covid.

Le proteste dei valtellinesi sono andate a sbattere contro il muro della politica, che a fine luglio, con un inedito asse tra la Lega e parte del Pd, ha bocciato una mozione presentata dai Cinque stelle in consiglio regionale a difesa della sanità di montagna. Non è bastato a smuovere le acque neppure un esposto penale presentato in luglio alla procura della Repubblica di Sondrio. Nel documento, siglato da sei sindaci con i rappresentanti del Comitato per la difesa della sanità di montagna, si ipotizza il reato di interruzione di pubblico servizio per la sospensione dell’assistenza ospedaliera a Sondalo. Nel frattempo, con la nuova esplosione dell’epidemia, l’ex sanatorio è tornato in prima linea. I reparti sono stati chiusi per far posto a decine di pazienti (circa 150 di cui una quindicina in terapia intensiva) colpiti dal Coronavirus. Dal 29 ottobre tutte le urgenze sono dirottate su Sondrio ed è stata sospesa anche l’attività chirurgica.

La situazione di questi giorni anticipa di fatto lo scenario previsto in caso di smantellamento del Morelli, con i pazienti dell’Alta Valtellina costretti a lunghi tragitti in auto per raggiungere il capoluogo di provincia, distante un’ora di macchina da Bormio e il doppio, con due passi alpini da superare, da Livigno. Facendo capo a Sondalo, invece, i tempi di percorrenza si riducono di quasi la metà. In caso di urgenze, il fattore tempo fa la differenza, ma non è solo una questione di chilometri.

«A Sondrio il contesto è inadeguato», attacca il medico Giuliano Pradella, dirigente sanitario di lungo corso in Valtellina e autore del piano alternativo che il Comitato per la sanità di montagna ha presentato in Regione. «Al Morelli», dice Pradella, «gli spazi sono stati strutturati nel tempo per garantire un servizio d’eccellenza. Lo stesso non si può dire per l’ospedale del capoluogo, più piccolo e antiquato». In altre parole, per effetto del trasloco, la qualità delle cure rischia di peggiorare: di due ospedali ne resterebbe uno, ma meno efficiente e più affollato. A farne le spese sarebbero gli abitanti di tutto il nord della Lombardia, dall’alto Lario allo Stelvio. E così, mentre la sanità pubblica perde i pezzi, i privati sono pronti a conquistare altre fette di mercato. Un film già visto in Lombardia fin dai tempi di Roberto Formigoni. Ora si replica in Valtellina, con la regia di Fontana e Gallera.

 

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