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Economia
dicembre, 2020

Si scrive Recovery Fund, si legge appalti facili

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Con l’emergenza si torna all’affidamento diretto. Addio concorrenza e trasparenza

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In Italia non c’è niente di più definitivo del provvisorio. La controprova è nelle modifiche temporanee al codice degli appalti approvate nel 2018 dal governo Lega-M5s. Introdotte con il decreto “Sblocca cantieri” all’apparente scopo di velocizzare lavori, servizi e forniture al settore pubblico, le deroghe sarebbero dovute cessare il 31 dicembre 2020. Ma in ambienti politico-sindacali c’è il timore che possano essere prorogate per uno o addirittura per tre anni.

“Aspettiamo di conoscere la riflessione del governo, per ora non abbiamo notizie”, sostiene il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, già ministro delle Infrastrutture, che della legge di riforma dei contratti pubblici, la n. 50 del 2016, è considerato il padre. Sta di fatto che l’attuale governo (M5s-Pd-Italia Viva-Leu) non solo non ha invertito la rotta ma ha continuato a deregolamentare, sia pure con mano meno pesante. Eloquente l’asse formatosi tra Cinque stelle e Italia Viva sull’istituto del commissariamento: il modello per la ricostruzione del ponte “Morandi” a Genova che si vorrebbe estendere per legge alle opere pubbliche e ai servizi di un certo rilievo.

C’è poi un altro aspetto da considerare. I 209 miliardi del fondo Next generation Eu che arriveranno a sostegno del piano nazionale di ripresa e resilienza provocano un certo appetito, e c’è un partito trasversale, composto anche da Lega e Forza Italia, che si batte per ridurre al minimo le norme sugli appalti che quella massa di denaro metterà in moto. Il messaggio che sta passando anche grazie alla pandemia è che gli strumenti capaci di dare risposte immediate al paese siano quelli per gestire le emergenze. E’ un clima che crea terreno fertile a quanti vorrebbero gestire lavori e acquisti pubblici con procedure d’urgenza, senza il fastidio di una concorrenza. “Il mio timore”, aggiunge Delrio, “è che queste deroghe attribuibili all’emergenza diventino la regola, sarebbe gravissimo. Pensiamo agli undici anni di commissariamento della Sanità in Calabria che non sono riusciti a sbloccare un bel niente”.

Un passo avanti e due indietro
Ad allargare le maglie della legge 50 è stato come dicevamo lo “Sblocca cantieri”, che ha interrotto il processo di accentramento delle stazioni appaltanti: dalle 45mila inziali si è scesi a 28mila, ma l’obiettivo di ridurle a 1.500 per non disperdere risorse in mille rivoli e abbattere i costi di produzione appare lontano. Anche Regioni e Comuni sono contrari ad incidere sul numero degli enti appaltanti, ognuno dei quali rappresenta per un amministratore locale un piccolo feudo clientelare che può fruttare voti, amicizie e denaro. I detrattori imputano al codice un calo delle commesse. In realtà, dopo l’inziale flessione per i tempi di adeguamento dell’apparato statale, i lavori pubblici hanno registrato una ripresa, osserva Delrio. E la spesa per servizi e forniture ha compiuto un balzo in avanti.

Lo stesso decreto ha fatto cadere l’obbligo di dichiarare durante la gara i nomi delle ditte subappaltatrici e consente di subappaltare un lavoro o un servizio al 40% del suo valore. Su quest’ultimo punto – riferisce il segretario confederale della Cgil, Giuseppe Massafra – si è svolto di recente un incontro perlustrativo al ministero delle Infrastrutture con le associazioni datoriali e con i sindacati. Al centro della discussione, la direttiva Ue che permette di subappaltare fino al 100% del valore di un contratto e le possibili soluzioni affinché con il limite del 40% l’Italia non vada incontro a una procedura d’infrazione. Forse andrà riadeguato l’impianto della legge per far sì che il ricorso al subappalto, dove possono insinuarsi le mafie, sia concesso ma disincentivato.

Lo “Sblocca cantieri” ha inoltre congelato fino al 31 dicembre 2020 l’albo dei commissari di gara che era stato istituito dall’Autorità nazionale anticorruzione. Da tale albo le stazioni appaltanti avrebbero dovuto pescare i commissari per pubblico sorteggio. Dal 2018, invece, è di nuovo l’ente appaltante a scegliersi i giudici di gara, spesso conniventi con la politica e inesperti delle materie su cui sono chiamati a decidere. E nessuno sa se il governo intende ripristinarlo, restituendo all’Anac i suoi poteri. L’opinione di un esperto è che i commissari per essere neutrali una volta estratti per sorteggio dovrebbero operare al buio, senza sapere dove si svolge la gara e senza conoscere il nome delle imprese partecipanti, concentrandosi esclusivamente sull’esame delle offerte.

Dalla Sicilia alla Lombardia
Poi nel luglio 2020 è stato il turno dell’attuale governo con il decreto “Semplificazioni”, che ha reintrodotto l’affidamento diretto, un appalto che può essere indetto senza gara e senza che la stazione appaltante debba dare conto di questa scelta. Per di più le soglie limite di affidamento sono state elevate a 150mila euro per i lavori e a 75mila euro per i servizi: importi consistenti per un paese composto a maggioranza da piccole e piccolissime imprese.

Il decreto, gradito anche a Confindustria, è nato all’interno della presidenza del Consiglio tagliando fuori gli apparati dei ministeri. E coloro che hanno forzato di più la mano sono stati i Cinque stelle, di cui si osserva la disinvoltura su materie così delicate. Un parlamentare ricorda come i grillini che nel 2015 saltarono sui banchi di Montecitorio allorché il governo Renzi aveva nominato un commissario straordinario per l’alta velocità ferroviaria Napoli-Bari siano gli stessi che oggi vedono nel commissariamento uno strumento efficace per realizzare lavori e servizi in modo rapido ed efficiente.

Differente la posizione del Pd. Chiara Braga, che per i democratici siede nella commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera ed è responsabile Ambiente del partito, sostiene che strumenti del genere debbano avere un utilizzo molto limitato nel tempo, perché rappresentano un limite alla concorrenza e alla trasparenza e comportano rischi di degenerazione. Basta scorrere le cronache dei giornali. La turbativa d’asta è ormai uno dei reati più diffusi, dalla Sicilia alla Lombardia: dalle Asp di Palermo e Trapani, i cui ex direttori generali, nell’ordine Antonino Candela e Fabio Damiani, sono stati sottoposti a misure cautelari, all’Azienda socio-sanitaria territoriale della Valle Olona, del cui direttore amministrativo, Marco Passaretta, la Procura di Milano ha chiesto di recente il rinvio a giudizio per presunte irregolarità nell’aggiudicazione del servizio bar dell’ospedale di Busto Arsizio.

Passaretta è anche uno dei direttori che nel 2018 espressero parere favorevole alla delibera per mettere a gara il servizio di vigilanza antincendio della stessa Azienda Valle Olona: vicenda che – da quanto risulta a L’Espresso – è entrata nel mirino della Procura di Varese a causa di un esposto. Una delle aziende concorrenti ha intercettato una lettera con cui il responsabile unico del procedimento di gara chiedeva all’Associazione nazionale delle imprese di sorveglianza antincendio (Anisa) “un bando tipo…quale riferimento per la predisposizione di una nuova gara”.

Inizialmente indetta con il criterio del miglior prezzo, la gara era stata infatti sospesa dal committente a seguito di una contestazione di Anisa che chiedeva l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (come ha sentenziato il Consiglio di Stato quando il costo della manodopera sia di almeno il 50% del valore dell’appalto). Di fronte a questo rilievo, l’azienda che coordina i presidi ospedalieri di Busto Arsizio, Gallarate, Saronno e Somma Lombardo decideva di interrompere la procedura, chiedendo all’associazione datoriale di Confindustria, accreditata dal 2009 al ministero del Lavoro, il testo di un bando da usare come traccia per riformulare l’offerta. Da qui l’origine dell’esposto che avrebbe dato il la alle indagini.

I bandi di Autostrade
Parecchie gare presentano anomalie che meriterebbero maggiore attenzione, sia da parte della magistratura ordinaria e amministrativa sia da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Prendiamo Autostrade per l’Italia, la società controllata da Atlantia (famiglia Benetton), che gestisce per concessione dello Stato la più estesa rete autostradale del paese e che in quanto tale è obbligata al rispetto del codice degli appalti nelle manutenzioni ordinarie e straordinarie e nei progetti di investimento. Un imprenditore che preferisce non essere citato pone qualche interrogativo: “Come è possibile che da anni alle gare di Autostrade per i servizi antincendio partecipi sempre una stessa azienda, il più delle volte da sola? Come mai molte gare in questo settore sono aggiudicate con ribassi minimi, inferiori all’1%?” L’ultima, ma solo in ordine di tempo, da oltre 1,3 milioni, per i servizi di vigilanza antincendio e la gestione delle emergenze in galleria lungo il tronco Belluno-Tarvisio-Udine-Venezia, è stata aggiudicata di recente con un ribasso addirittura pari a zero.

Lo stesso imprenditore invita a cercare la spiegazione nei bandi. Requisiti di partecipazione troppo selettivi, studiati per restringere al massimo la platea dei concorrenti, e criteri di attribuzione del punteggio tecnico che premino l’azienda con più elevata esperienza nel servizio dato in affidamento permettono di tracciare in anticipo l’identikit del vincitore. Ciò fa a pugni con le regole della concorrenza. Nella legge 50 è raccomandato, a tutela dell’interesse generale, che i requisiti e le capacità richieste per una gara siano indirizzati ad ottenere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e di rotazione.

Il tiro incrociato dei ricorsi
La stazione appaltante è libera di decidere i requisiti e la formula economica di una gara. Ma come può succedere che in tre differenti gare bandite e esperite da tre diverse stazioni appaltanti del Lazio nello stesso periodo, per una stessa tipologia di servizio, la stessa azienda abbia ricevuto punteggi tecnici differenti pur avendo presentato a tutti e tre i committenti offerte tecniche analoghe?

L’azienda che ritiene di essere stata penalizzata ingiustamente può sempre fare richiesta di accesso agli atti per verificare la regolarità dell’assegnazione, ma spesso deve subire l’opposizione dell’aggiudicatario. Il quale, trincerandosi dietro il rischio della divulgazione di presunti segreti tecnico-commerciali, consente alla stazione appaltante di rendere inaccessibile la documentazione di gara. Lo stesso imprenditore cita come esempio l’appalto di una Asl di Roma, cui partecipava in associazione temporanea con un’altra impresa. Ebbene, il responsabile unico del procedimento gli ha comunicato il nome dell’azienda vincitrice a distanza di otto-nove mesi dalla data di aggiudicazione e lo ha fatto in modo informale e a seguito di ben otto istanze di accesso ai documenti.

In situazioni del genere non resta che rivolgersi alla giustizia amministrativa. Un ricorso al Tar e l’eventuale appello al Consiglio di Stato comportano però cospicue spese legali, nell’ordine di 15mila euro a testa: importi difficilmente sostenibili da una piccola società. Per quelle economicamente forti, invece, il ricorso diviene quasi automatico. Se poi l’azienda uscente che ha il contratto in scadenza capisce di aver perso la gara, il ricorso le assicura la proroga del servizio fino al pronunciamento del Tar.

I ricorsi dilatano i tempi di assegnazione senza rendere giustizia, anche perché un giudice del Tar o del Consiglio di Stato non entra mai nel merito delle scelte tecniche dei commissari di gara. E anche per una Procura è complicato orientarsi in materie così specialistiche.

I problemi vanno dunque affrontati a monte. Nel caso delle opere pubbliche, per esempio, i progetti debbono essere di qualità elevata, i bandi chiari e trasparenti e i finanziamenti certi. Con la legge 50 l’aggiudicazione di un lavoro sarebbe dovuta avvenire sulla base di un progetto esecutivo, a garanzia dei requisiti di qualità e del rispetto dei tempi e dei costi dell’opera. Ma anche questa clausola è stata congelata. Oggi, per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che escludano interventi strutturali o impiantistici, basta la progettazione definitiva. L’obbligo del progetto esecutivo è temporaneamente sospeso.

La torta di servizi e forniture
La situazione è andata degenerando anche per i servizi e le forniture, soprattutto da quando le nomine dei commissari di gara sono ritornate nei poteri della stazione appaltante. Il settore è ormai predominante per giro d’affari. Stando ai più recenti dati Anac, nel primo quadrimestre 2020 sono state perfezionate in totale procedure di affidamento dai 40mila euro in su pari a circa 20 miliardi per le forniture e a poco meno di 18 per i servizi. Nello stesso periodo i contratti per lavori si sono mantenuti a 8,5 miliardi, una cifra di molto inferiore.

“Peraltro nei servizi ad alta intensità di manodopera è sempre complicato verificare la congruità delle offerte”, dichiara Elisa Camellini della segreteria confederale della Cgil di Parma. “I lavori sono più facilmente quantificabili perché fanno riferimento a tabelle standard sui costi della manodopera, sui costi dei materiali, sui costi accessori. Ma nei servizi non esistono parametri standardizzati: per un commissario è faticoso verificare la corrispondenza tra il valore economico di una proposta e i mezzi che saranno impiegati per metterla in pratica”. Un problema che espone il settore all’illegalità e al pressapochismo. Per questo è pericoloso ammorbidire le regole.

L’inchiesta
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8/12/2020
L’incremento degli appalti per forniture e servizi è particolarmente visibile nella Sanità. Le aziende ospedaliere non hanno potuto rimpiazzare il personale sanitario finito in pensione o che ha smesso di lavorare, e per compensare la carenza hanno dovuto appaltare all’esterno servizi che in precedenza erano svolti all’interno. Analogamente hanno fatto i Comuni con i servizi sociali, cedendo tutto in gestione a imprese cooperative o ad aziende speciali. In Lombardia, ma non solo, interi reparti ospedalieri come la riabilitazione motoria sono dati in affidamento a società cooperative che fanno margini pagando ai lavoratori stipendi inferiori alla media e abbassandone le tutele sindacali. Questa è la regola anche per quasi tutte la strutture di assistenza per anziani. E la stessa cosa succede in alcuni ospedali per le fasi di assistenza pre e post operatoria.

Non mancano le buone pratiche. La segretaria nazionale della Filcams, Cinzia Bernardini, considera un successo la gara da 850 milioni per le pulizie e la sanificazione della Sanità in Toscana aggiudicata a tre colossi multiservizi – Coopservizi, Rekeep (ex Manutencoop) e la tedesca Dussmann – a fronte dell’impegno a riassumere tutti i lavoratori dell’appalto precedente e per di più con il mantenimento dell’articolo 18. L’impresa aggiudicataria tende infatti a non riassumere gli impiegati della ditta uscente o a riprenderli con riduzioni dell’orario di lavoro, colpendo la busta paga del lavoratore e compromettendo la qualità del servizio erogato.

Un caso che ha dell’incredibile è quello dell’appalto del ministero della Giustizia per i trascrittori di verbali nei processi penali: circa 1.500 lavoratori a cottimo, il 50% dei quali opera da casa in telelavoro, pagati a numero di caratteri per cartella. Il massimo della sfiga per chi fa questo lavoro è quando gli imputati si avvalgono della facoltà di non rispondere. In questi casi uno ha buttato via una mattinata per niente. Il sindacato scoprì che, in assenza di un contratto nazionale, una parte di loro era inquadrata con contratti di collaborazione domestica.

Le cattive pratiche però sono sempre più all’ordine del giorno, e le molte inchieste su gare truccate, su aziende aggiudicatarie che non versano i contributi e non pagano gli stipendi al personale addetto debbono suonare come una sirena d’allarme. In questo contesto la tendenza alla delegificazione rischia di peggiorare la situazione: di rendere la corruzione negli appalti un fenomeno epidemico e di disperdere risorse mentre l’economia continua a crollare e il debito pubblico in rapporto al Pil è ormai prossimo al 160 per cento.

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