I giovani americani sono il principale pericolo per Donald Trump
Attivisti per il clima e contro le armi. Ma anche militanti di sinistra. Così i ventenni tornano a occuparsi di politica. E tifano per i dinosauri dem
Ci voleva Donald Trump per portare i giovani americani ai seggi. Oppure è stata l’onda lunga della crisi del 2008. Già, perché se sei nato dopo la metà degli anni 90, entravi nell’età della ragione quando le borse crollavano e la recessione colpiva ogni angolo d’America. Chi oggi ha 18-20 anni è cresciuto sentendo le notizie del mattino sui canali all news raccontare un mondo in crisi e ha osservato divisioni politiche, preoccupazioni crescenti e cambiamenti epocali. Con i terremoti sociali, politici ed economici sono venute anche le mobilitazioni.
Il giorno dopo che Donald Trump ha vinto le elezioni nel 2016, a New York, assieme a Michael Moore e ad altre figure iconiche della sinistra radicale statunitense c’erano giovani a migliaia, radunatisi spontaneamente per marciare sotto la pioggia in direzione della Trump Tower. Dopo di allora la partecipazione non è che cresciuta. Quella dei giovani attivisti, così come quella dei giovani elettori.
Un attivismo che passa spesso per la vita vissuta. Emma Gonzalez aveva 19 anni quando un ex studente del liceo Stoneman Douglas di Parkland è entrato nella sua scuola con un fucile semi automatico e ha ucciso 17 suoi compagni. La sua reazione e quella dei suoi compagni è stata quella di organizzare la più grande marcia della storia per una riforma delle leggi che regolano il possesso di armi. La sua tirata contro la Nra (la lobby delle armi) è divenuta iconica: «I politici finanziati dalla Nra ci dicono che non si può fare nulla per impedire queste tragedie, noi le chiamiamo stronzate... Dicono che leggi più severe sulle armi non impediscono la violenza: noi le chiamiamo stronzate… Dicono che noi ragazzi siamo troppo giovani per capire come funziona il governo: noi chiamiamo le chiamiamo stronzate». Da lì è nata March for Our Lives, organizzazione con gruppi locali che promuove leggi a livello degli Stati come quella approvata dalla Virginia contro la quale hanno marciato milizie e militanti di destra a Richmond il 20 gennaio scorso.
A Mikala Butson, invece, è bruciata la casa nell’incendio a Paradise, California, che nell’agosto 2018 ha ucciso 85 persone. Una comunità devastata e una presa di coscienza. Dopo di allora Mikala partecipa alle riunioni del Sunrise Movement, l’organizzazione di giovani che si batte per il Green New Deal che occupò gli uffici di Nancy Pelosi per protestare contro il fatto che i democratici non facevano del cambiamento climatico una priorità. «Questa è una causa che non mi sono scelta, mi ci hanno portato gli incendi. E sono stufa di ascoltare i nostri eletti farsi imporre l’agenda dalle compagnie petrolifere su questioni che riguardano le nostre vite e il nostro futuro», ripete girando l’America per promuovere l’ambizioso progetto di legge sostenuto dall’ala più a sinistra dei Democratici.
La capacità di fare, mettere in moto movimenti, organizzare marce o reazioni immediate è anche frutto di due fattori: l’uso degli strumenti digitali e il lavoro di una schiera di persone con esperienza digitale e politica, magari ex staff di campagne elettorali, che lavorano per creare piattaforme, formare, connettere una generazione che è nata digitale e che usa i social network e gli smartphone per organizzare in maniera veloce proteste o incontri. Se fino a 10 anni fa servivano settimane per reagire a un evento, oggi è possibile farlo in poche ore.
Grandi cause ed esperienza personale. Tragica, come quelle di Emma o Mikala o meno drammatiche, come quella dei milioni di studenti che hanno contratto un debito stratosferico per fare l’università - e non a caso tutti i candidati Dem alle primarie hanno una qualche forma di piano per ridurlo e per abbassare o azzerare i costi degli studi superiori. E voglia di futuro.
Questa generazione vive in un’America diversa da quella dei loro genitori: tutto è rapidamente cambiato, le certezze e le promesse di un tempo anche recente sono svanite. Se una parte di coloro che le hanno viste svanire si sono rivolte a Trump, per paura o per protesta, loro sembrano aver preso un’altra strada, quella di battersi per cambiare ciò che non gli piace. Il debito studentesco, la diffusione delle armi, la condizione dei neri e, forse più forte che altre, la crisi ambientale sono i temi che impongono all’agenda politica nazionale. Lo fanno mobilitandosi e votando. Alle elezioni di midterm del novembre 2018 ha votato un numero di giovani senza precedenti. Se la media della partecipazione dei Millennials alle elezioni di mezzo termine tra il 2006 e il 2014 è del 23%, lo scorso novembre questi sono andati a votare nel 42% dei casi. I giovanissimi della Generazione Z, al loro primo voto, sono partiti forte anche loro: 30%. E questa è una delle chiavi che ha portato i democratici a vincere la maggioranza alla Camera e ad eleggere una serie di facce nuove tra cui alcune figure immediatamente divenute star della politica a Stelle&Strisce.
Ma le Alexandria Ocasio, le Ilham Omar sono solo le facce note. A portarle a Washington è stata un’armata di volontari e organizers, gli stessi che in queste settimane stanno battendo le pianure dell’Iowa per convincere coloro che parteciperanno ai caucus, le assemblee democratiche dello Stato a votare per Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Pete Buttigieg e, sì, anche per Joe Biden. Nelle scorse settimane 1500 studenti hanno partecipato a un campus che li ha formati a diventare megafoni della campagna del senatore del Vermont. L’organizzazione e la formazione sono passaggi cruciali di tutto questo attivismo. Cosa dire, come dirlo, come ascoltare le persone, come usare gli strumenti tecnologici e anche come diventare leader. Seminari, workshop, training sono il pane di diverse organizzazioni che hanno in mente l’idea di portare nuova gente a Washington e nelle assemblee elettive di comuni e Stati.
Come Ignite, che promuove la partecipazione politica delle ragazze partendo dai college e nel biennio 2018-2019 ha coinvolto 5mila persone nelle sue classi e training. O come New American Leaders, che spinge, seleziona, forma persone appartenenti a tutte le minoranze e agli immigrati divenuti cittadini affinché si candidino alle elezioni e fare in modo che l’attivismo delle minoranze sia ben visibile.
E così la militante per i diritti dei migranti Elizabeth Alcantar viene eletta come vicesindaco di Cudahy città nella contea di Los Angeles o Raquel Castaneda-Lopez viene rieletta consigliera comunale a Detroit perché «noi nuovi americani abbiamo storie da raccontare che devono essere prese in considerazione nel momento in cui si prendono decisioni. Mia madre e mia nonna a quel tavolo non c’erano».
La partecipazione di giovani e minoranze che nel novembre 2020 potrebbero fare la differenza. Riusciranno Sanders o Warren a non spaventare gli elettori più anziani con le loro risposte radicali alle domande di questi giovani? Oppure, riusciranno Biden e Buttigieg a convincere questa generazione ad andare a votare nonostante la loro proposta moderata? Il futuro degli Stati Uniti passa anche da come si risponderà a queste domande.