Il centrista contro la progressista. Il socialista contro il giovane. A pochi giorni dal primo voto, la rosa degli sfidanti si restringe. Ma la corsa è apertissima

Bernie Sanders
«Mi hai chiamato bugiarda su un canale tv nazionale!». Quando martedì 14 gennaio Elizabeth Warren ha apostrofato così Bernie Sanders, in un momento di pausa dell’ultimo dibattito televisivo prima del voto in Iowa, è stato chiaro che nel partito democratico si era consumata una nuova pericolosa rottura: quella all’interno della nuova sinistra americana, in quell’area molto liberal o addirittura “socialista” che negli ultimi tempi ha raccolto sempre più consensi nell’elettorato dem.

«Sei tu che mi hai chiamato bugiardo», ha replicato “zio Bernie”, stizzito anche per il fatto che la senatrice del Massachusetts si era rifiutata di stringergli la mano. Materia del contendere: una frase poco felice che sarebbe stata pronunciata da Sanders (lui nega) in un incontro privato tra i due candidati a fine dicembre 2019 e reso pubblico dalla Cnn. Con tanto di testimoni - quattro - che avrebbero sentito il senatore del Vermont dire alla sua collega (di Senato e di partito) che «una donna non vincerà mai» contro Donald Trump.

Con i “caucus” alle porte nell’Iowa - lo Stato che dà il via alle primarie, lunedì 3 febbraio - e con i rispettivi fan che hanno iniziato ad insultarsi sui social network, Warren e Sanders hanno poi cercato di ricomporre lo scontro: «Non dirò più una parola sull’argomento», ha chiuso la questione lei; «questa storia non ha senso», ha convenuto lui. Poi i due hanno marciato a braccetto in South Carolina nel giorno dedicato a Martin Luther King.

«Il mondo è cambiato. A tutti coloro che pensano che una donna non possa essere eletta dico “ti sbagli di grosso”. A chi pensa che un gay non possa essere eletto dico “ti sbagli di grosso”. E lo stesso vale per un afroamericano», ha rimarcato Sanders durante un talk-show domenicale, raccontando come già nel 2016 (quando si era battuto alla pari con Hillary Clinton per la nomination democratica) aveva chiesto a Elizabeth Warren di entrare in lizza insieme a lui: «Il popolo americano non sceglie i candidati per il loro genere, le loro preferenze sessuali o la loro origine etnica. Conta solo ciò che rappresentano».

Non è detto tuttavia che sia davvero così. Nell’elettorato democratico - soprattutto in quello moderato - non sono pochi quelli convinti che soltanto un maschio bianco possa essere in grado di sconfiggere The Donald nella sfida decisiva del prossimo 3 novembre. Diversi opinion maker anzi lo dicono e lo ripetono pubblicamente. Certo è che in un partito democratico diviso come non mai, la lotta ormai sembra ristretta a quattro principali candidati - Joe Biden, Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Pete Buttigieg - e i loro quattro modi diversi di vedere il futuro degli Stati Uniti. Con due possibili outsider (Michael Bloomberg e Amy Klobuchar) sullo sfondo del voto.

Joe Biden

Joe Biden, per otto anni vice di Barack Obama, la Casa Bianca la conosce bene. Nella media dei sondaggi nazionali è in testa e resta a oggi il candidato democratico che Trump teme di più. Non a caso è stato contro di lui e suo figlio che il presidente ha scatenato i suoi più fedeli collaboratori (primo fra tutti Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York oggi suo avvocato personale) che hanno organizzato, un po’ malamente, quello “scandalo Ucraina” che è diventato un boomerang per la Casa Bianca nonché materia di impeachment.

Biden, che vanta una lunghissima vita politica al Congresso, ha una storia fatta di scelte moderate e di compromessi ma è capace anche - quando ritiene - di scelte radicali. Negli ultimi mesi, finito sotto accusa da parte dell’ala sinistra del partito per alcune posizioni del passato (ad esempio, il suo voto a favore della guerra in Iraq voluta da George W. Bush) e per alcuni atteggiamenti considerati sessisti, è l’esponente di spicco di quel che resta dell’establishment moderato che ha guidato il partito fino alla devastante sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. È lui quello che gli analisti di Wall Street definirebbero col termine “fuga verso la sicurezza”, che viene usato quando l’economia mostra segni di debolezza e gli investitori vendono le azioni per acquistare obbligazioni e oro. Nell’agone politico delle primarie democratiche Joe Biden rappresenta insomma il “bene-rifugio” di fronte all’incertezza che circonda i candidati della sinistra (Warren e Sanders) nel futuro faccia a faccia finale contro Trump.

Stati Uniti
«Altri quattro anni di Donald Trump sarebbero fatali»
30/1/2020
Subito dietro Biden nei sondaggi nazionali (o addirittura di un pelo davanti a lui, secondo l’ultima rilevazione della Cnn) c’è appunto Sanders. “Zio Bernie” punta molto sulla partenza delle primarie nell’Iowa, dove al momento è dato in testa. Il test dell’Iowa spesso si è dimostrato decisivo nel fare la fortuna di candidati che iniziavano la corsa come “underdog” (cioè sfavoriti). Così Sanders, che sta vivendo il suo momento migliore, in questo Stato del Midwest che ha solo tre milioni di abitanti si gioca subito i suoi assi. Non sono in pochi a pensare che l’unico modo per battere la politica radicalmente conservatrice di Donald Trump sia una visione altrettanto radicale a sinistra.

Sanders, dichiaratamente socialista, con la storia del partito democratico ha poco a che fare (fino al 2016 non era neanche iscritto) ma il suo programma è ambizioso e piace molto ai giovani: assicurazione sanitaria per tutti, case ai poveri, università gratuite, guerra aperta ai miliardari, alle lobby e alla pena di morte. Secondo alcuni è il volto di sinistra del populismo, ma deve evitare il ripetersi di quanto accadde nel 2004: quando Howard Dean (il candidato più progressista, al tempo), arrivò ai caucus dell’Iowa con i pronostici a favore ma poi venne clamorosamente sconfitto da John Kerry. Di fronte a un avversario come George W. Bush, che da presidente si presentava come il comandante in capo alla guida degli Stati Uniti nelle guerre in Afghanistan e Iraq, i democratici allora scelsero la “fuga verso la sicurezza”, cioè Kerry: che come veterano del Vietnam sembrava rassicurare di più un’America ancora sotto shock dopo l’11 settembre. Biden spera che qualcosa di simile si ripeta adesso di fronte a Trump.

Elisabeth Warren

Intanto il mondo della sinistra democratica che sogna un ticket presidenziale Sanders-Warren è rimasto spiazzato dallo scontro tra i suoi due beniamini. E se uno di loro dovesse davvero farcela, poi chi farebbe il vice di chi? Fino a un mese fa la senatrice del Massachusetts veniva data come favorita (si ipotizzava perfino che Sanders a un certo punto si sarebbe ritirato in suo favore) ma ora la situazione si è capovolta. È il senatore del Vermont che chiede a Warren un passo indietro per unire le forze più progressiste contro Biden. Lei però non ha alcuna intenzione di mollare e anzi ha appena incassato l’endorsement del New York Times, che con una scelta inusuale ha deciso di dare il suo appoggio a due donne molto diverse tra loro, cioè proprio l’ultra-liberal Elizabeth Warren e la moderata senatrice del Minnesota Amy Klobuchar. Per il quotidiano newyorchese i democratici devono prendere atto che ormai esistono negli Usa tre modelli di governo: quello conservatore (che oggi ha in Trump il suo campione) e due progressisti, rappresentati dalle due anime democratiche. «Per questo noi sosteniamo le più efficaci sostenitrici di entrambi gli approcci», ha argomentato il Nyt. La cui scelta è stata anche di genere, una sorta di risposta implicita alle presunte valutazioni di Sanders sull’ineleggibilità di una donna alla Casa Bianca.

Quanto ad Amy Klobuchar, 59 anni, senatrice per il Minnesota e membro della Chiesa unita di Cristo, in realtà non sembra avere alcuna chance di vittoria alle primarie, ma l’endorsement del Nyt le permette ora una maggiore visibilità nazionale. Sia lei sia Warren puntano molto sul fatto che da quando Trump è alla Casa Bianca le donne sono diventate la spina dorsale del partito, guidando le proteste, creando nuove organizzazioni e mandando al Congresso un numero mai così alto di deputate. Il movimento #MeToo ha cambiato molte cose e le marce delle donne negli ultimi week end hanno riscosso un grande successo.

Pete Buttigieg

Gli ultimi sondaggi ci dicono che anche Pete Buttigieg, 37 anni, è ancora in corsa. L’ex sindaco di South Bend, Indiana (il suo mandato è finito il primo gennaio), lieutenant della Marina dove ha lavorato per otto anni come “naval intelligence officer”, è il candidato che meglio rappresenta l’elettorato più sensibile ai diritti civili. Dichiaratamente e orgogliosamente gay (si è sposato nel giugno 2018), cattolico di formazione e anglicano per scelta, sulla carta poteva essere il candidato migliore per battere Trump: giovane, maschio, bianco, e soprattutto vincente in uno Stato da sempre conservatore come l’Indiana. Tuttavia, secondo alcuni, il suo essere gay costituisce ancora un ostacolo, specie per sfondare nell’America più tradizionalista e profonda.

Intanto Trump, alle prese con una procedura d’impeachment che al Senato finirà presto con un’assoluzione, tiene costantemente d’occhio i candidati democratici, facendo capire che il suo avversario preferito sarebbe proprio il socialista Sanders: il presidente è infatti convinto che contro di lui, il prossimo 3 novembre, avrebbe vita più facile. Teme di più Joe Biden, forse perché lo scontro Usa-Iran lo ha rilanciato come l’unico vero esperto di politica estera, e diffida anche della competenza della Warren.

Ma soprattutto pare abbia paura della possibile sorpresa chiamata Michael Bloomberg: l’ex sindaco di New York ha scelto di non partecipare alle primarie iniziali e di puntare tutto sul Super Tuesday, martedì 3 marzo, quando andranno al voto California, Texas e altri importanti Stati. Difficile, dicono i sondaggi, che Bloomberg sorpassi nelle preferenze gli altri candidati democratici, ma in caso di “brokered convention” (cioè se a luglio nessuno avesse al primo scrutinio il numero di voti per ottenere la nomination) potrebbe essere lui - miliardario e newyorchese come Trump - a sfidare il presidente in carica.