Audiomessaggi, videolezioni, registri elettronici e Whatsapp. Con fantasia e dedizione i prof restano a fianco dei ragazzi. «Perché la scuola è innanzitutto comunità»

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«Buongiorno, bambini. Iniziamo con il nostro appello: Francesca, Dalia, Ilaria, Victoria, Laura, Cloe, Chiara, Pierre... Ci siete tutti? Volevo mandarvi un grandissimo abbraccio e dirvi che ci sono sempre, anche se per il momento non possiamo vederci. Mi mancate moltissimo. Dobbiamo essere forti in questo periodo, e per farlo non dobbiamo dimenticarci di noi, della nostra I B. Bambini, stiamo scrivendo la storia e voi ne siete i protagonisti».

Rassicurante, coinvolgente, la maestra Antonella Vulpiani invia ai suoi alunni di prima elementare, Istituto Caterina di Santa Rosa di Roma, un videomessaggio, per invitarli a svolgere tutti i giorni i compiti. «Bando alla paura, ma porte spalancate alla Responsabilità. Ne abbiamo superate tante e supereremo anche questa se rimarremo vicini, solidali, fraterni», le fanno eco i docenti dell’Istituto Viale Venezia Giulia della Capitale, in una lettera agli studenti. «Agitatissima per la videoconferenza con i miei bambini di terza elementare. Ho messo in ordine il salotto. E chi rassetta il mio cuore?», scrive su Twitter una maestra dietro l’account SeSocrateSapesse. A cose fatte, aggiunge: «Con i piccoli alunni siamo andati in scena in una caotica videochat. Un po’ come ne “La vita è bella”. Lo avrete il vostro carroarmato. Lo avrete tutti: #lascuolanonsiferma».

Commoventi, creativi, fieri, in prima linea ci sono anche loro: gli insegnanti d’Italia. Che all’annuncio delle lezioni sospese, rapidamente e senza prove generali, si sono rivelati i più strenui difensori della quotidianità dei nostri ragazzi, stravolta dal coronavirus. Registri elettronici, chat su WhatsApp, piattaforme on line sono diventati gli strumenti di una didattica inattesa per l’84 per cento dei docenti (indagine Alkemy-Il Sole 24 Ore). In un patchwork di iniziative quanto mai eterogenee, a Nord ma anche al Sud.

C’è il maestro di Piacenza Roberto Lovattini, del Movimento di Cooperazione Educativa, che pronuove “Giorni senza scuola”, diario collettivo per testi, disegni e fumetti, realizzato dai bambini. E il professore trentino, Giacomo Cestari, che regala le sue videolezioni di matematica su YouTube a chi non può andare a scuola. E ci sono centinaia di insegnanti che ogni mattina inviano foto, videomessaggi, lettere, per rivolgersi ai loro alunni, uno per uno.

«La scuola, criticata, spesso accusata di essere troppo statica e incapace di cogliere i cambiamenti, in realtà, quando è necessario, ha una straordinaria capacità di reagire e di affrontare i bisogni e le urgenze della società», nota Rosanna Di Stefano, insegnante di terza elementare all’Istituto Silvio Pellico di Pachino, Siracusa: «Nel giro di poche ore tutti gli insegnanti, senza distinzioni di età, si sono rimboccati le maniche per capire come arrivare ai ragazzi. La prima cosa è stata operare attraverso il Registro elettronico, caricando non solo materiali didattici, ma anche registrazioni vocali e messaggi sull’importanza di stare insieme e di non perderci di vista».
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E mentre voci sempre più familiari hanno cominciato a circolare per le nostre case, persino i suoni delle scuole non si sono arresi: «Vogliamo lasciare accesa la speranza di tornare presto tutti regolarmente a scuola», ha spiegato la preside Angela Di Donato, che ha attivato le lezioni a distanza, ma fa suonare la campanella dell’Istituto comprensivo di Capraia e Limite, Firenze, al cambio dell’ora, anche se le classi sono vuote. Come il dirigente dell’Istituto Montessori di Cardano al Campo, Varese, Giuseppe Reho: «Cari ragazzi, la lascio suonare per voi che siete a casa, per noi che siamo in ufficio, per gli insegnanti “disoccupati”, affinché possiamo ricordarci che prima o poi questo tempo passerà, che ce la possiamo fare, che saremo pronti a tornare a vivere da vincitori. La campanella suona e continuerà a farlo, anche se non ci siete, ma vi aspetta, e solo allora tornerà la vita. Ci mancate».

«Mi mancano i ragazzi, mi manca la scuola, i corridoi, le aule. Mi mancano i miei alunni come se mi avessero staccato un braccio, come se mi avessero tolto l’aria all’improvviso. E che faranno, dove saranno, stanno bene? E quando li sento dire: “Ci manca la scuola”, piango», dice Gaja Cenciarelli, scrittrice e docente di Lingua e letteratura inglese in un Liceo di Scienze umane alla periferia di Roma: «Non l’avrei mai detto, ma sono sommersa di messaggi di ragazzi che mi scrivono di non vedere l’ora di tornare alla normalità. All’inizio l’hanno presa come una vacanza, poi si sono resi conto di quanto stava accadendo e si sono ritrovati in difficoltà: terrorizzati, in certi casi, e bisognosi di parlare. In questi giorni ho capito il mio profondo amore per la scuola e per i miei ragazzi. Il contatto umano è fondamentale e va mantenuto con ogni mezzo: messaggi vocali, scritti, la cosa importante è proteggerli. Perché la scuola appartiene a loro».

«Anch’io sto riscoprendo la scuola come comunità», ammette Marina Fassina, che insegna Diritto all’Istituto tecnico Deganutti di Udine: «Tra docenti ci scriviamo di continuo, abbiamo imparato a fare videoconferenze, lavoriamo dieci ore al giorno: tutti gli insegnanti, indistintamente, dai più giovani ai colleghi prossimi alla pensione, si sono rimboccati le maniche. La necessità ci ha spinto a una full immersion. E proprio attraverso quei mezzi digitali che ho sempre considerato più un ostacolo che un effettivo vantaggio all’apprendimento. Ma siamo in emergenza, e la cosa che conta di più è non perdere di vista i ragazzi».

E loro, gli studenti? Mai così attivi, giurano i professori. I dati confermano: secondo il portale Skuola.net, che ha lanciato un Osservatorio Scuola a distanza, 9 studenti su 10 sono coinvolti nello smart learning. «Partecipano con un entusiasmo superiore a ogni aspettativa: mi arrivano i compiti rapidamente, ne fanno decisamente di più di prima, ma soprattutto mi scrivono, in privato, che gli manca la classe», prosegue la professoressa: «E allora non ha senso predisporre lezioni frontali e basta: questa è una grande occasione per parlare con i giovani, per organizzare insieme il tempo vuoto, per lavorare sulle competenze civiche e relazionali. Questa crisi lascerà anche delle cose buone. Per prima, la consapevolezza che non c’è tecnologia che possa sostituire il rapporto umano».

Opportunità: trasformare un momento di fragilità in un’occasione di crescita. La pensa così anche il professor Diego Cigliutti, che insegna Elettronica all’Istituto secondario Ferraris Pancaldo di Savona: «Abbiamo 1400 studenti. Da noi le videolezioni sono partite subito. Abbiamo invitato a segnalarci ogni difficoltà pratica: a chi non aveva il computer, l’ha prestato la scuola. È fondamentale non far sentire soli i ragazzi. E per consolidare l’appartenenza alla nostra comunità abbiamo lanciato una web radio, Radio Ferraris Pancaldo: con audiomessaggi, musica, letture da parte di molti amici scrittori, giornalisti, magistrati. I ragazzi devono sentirci vicini. Più in là ci porremo il tema della valutazione».

«La valutazione è una questione burocratica, ora non mi interessa affatto: la cosa essenziale, in questo momento, è dare ordinarietà alla straordinarietà che stiamo vivendo», ribadisce Mara Fonti, docente di italiano e storia all’Istituto di Istruzione superiore Tecnico e Liceo Fermo Corni di Modena: «La valutazione sarà certamente un problema, non ci sono strumenti davvero efficaci per risolverlo. Ma ora ciò che conta è tranquillizzare gli studenti, fugare visioni complottistiche, aiutarli a parlare delle difficoltà che hanno in casa, per esempio nella divisione degli spazi o nella condivisione del computer. Abbiamo il dovere di non disperderci come comunità: l’insegnamento non è solo quello che passa dai voti. Anzi, inondare i ragazzi di compiti, agire con aggressività, questo sì che nuocerebbe loro. Pensavamo di dover fare corsi specifici per l’insegnamento a distanza: la necessità, che ci ha fatto mettere in gioco da un giorno all’altro, ci sta ora guidando. Rendendo evidente che siamo tutti parte della stessa comunità».

Si muovono, però in totale autonomia, gli insegnanti, secondo il principio della libertà d’insegnamento. Il Ministero ha imposto alle scuole l’obbligo di attivare modalità di didattica a distanza, ma non ai docenti di realizzarle: diversissimo, del resto, è il livello di informatizzazione e di dotazione tecnica di ogni scuola, per pretendere le stesse modalità d’azione. I Piani nazionali per la Scuola Digitale sono ancora lontani dall’essere implementati omogeneamente dalle quasi 18 mila scuole primarie e dalle 8.400 scuole secondarie d’Italia. E già a partire dalla piattaforma di comunicazione scelta per le lezioni a distanza, la varietà è il tratto più evidente: c’è chi usa Google Classroom, chi Meet, chi l’italiana WeSchool, chi Moodle, chi piattaforme predisposte dalle stesse scuole. E chi si limita all’uso del registro elettronico.

«Avremmo preferito indicazioni più chiare», dicono i docenti, «anziché lasciar ricadere ogni responsabilità su di noi. Nel frattempo, va detto, le proposte destinate agli insegnanti aumentano: Indire, che si occupa di innovazione della scuola, promuove a ritmo continuo webinar, seminari sul web per la didattica degli insegnanti “in trincea”, e mette a disposizione l’esperienza dei più esperti, le scuole Avanguardie educative. E sono 85 i milioni stanziati dal decreto “Cura Italia” per l’apprendimento a distanza, ma anche per pc da destinare a studenti meno abbienti. Perché il digital divide esiste, e sta già scavando un solco. Come ha notato la sociologa Chiara Saraceno, su La Repubblica: «La sospensione delle lezioni rischia di creare un’emergenza parallela a quella sanitaria, anche se invisibile e non documentata. Riguarda i bambini e i ragazzi in condizione di povertà o marginalità sociale. Sono bambini che di sovente a scuola fruiscono dell’unico pasto quotidiano nutrizionalmente adeguato. Bambini e ragazzi che spesso a scuola faticano ad andare già in condizioni ordinarie. Le loro famiglie non sempre sono in grado di seguirli in condizioni normali, tanto più in queste così straordinarie».

«È un tema che ci siamo posti, specie in una scuola come la nostra dove molti sono figli di stranieri», interviene Laura Dondi, insegnante di seconda elementare all’Istituto Dino Romagnoli, quartiere Pilastro a Bologna: «Come parlare ai più piccoli? Le tanto vituperate chat dei genitori si sono rivelate utilissime: mi basta fotografare un messaggio per farlo arrivare ai bambini. Prima di ogni cosa, devono percepire il legame affettivo. E il cellulare ce l’hanno tutti. Lo sforzo che stiamo facendo è di coinvolgere i genitori, anche con tutorial, per spiegare come scaricare un esercizio o far realizzare un compito. Per loro non è affatto facile. Le criticità ci sono; per chi era già in difficoltà prima sarà più dura recuperare dopo. Ma la scuola deve restare un porto aperto e sicuro per tutti. Provarci è importante. Penso di poter dire che ci stiamo riuscendo».

«Stiamo lavorando il doppio rispetto al passato: tra chat coi colleghi, lezioni da preparare, compiti che arrivano a qualunque ora, videolezioni. Il problema di come raggiungere i bambini che non hanno un computer a casa c’è», aggiunge Gianna Sullo, docente di italiano, latino e storia al Liceo scientifico Tullio Levi Civita a Roma: «Anche per noi il cellulare è la soluzione più efficace».

«Combatti il telefonino in classe, e poi ti accorgi che la scuola passa da lì», nota Gemma Stornelli, che insegna italiano all’Istituto Viale Venezia Giulia di Roma: «Ma siamo in emergenza. E per raggiungere i ragazzi più in difficoltà, funziona. Anche perché tutte le piattaforme hanno un App per il telefonino. Noi ci siamo dati criteri uniformi: abbiamo deciso di non caricare i ragazzi di compiti, ma di far sentire loro prima di tutto la nostra vicinanza. Tutti insieme stiamo giocando una grande partita, e tutti insieme dobbiamo immaginare di essere grandi sportivi: serve spirito di squadra, disciplina e allenamento».

Verrà il tempo dei bilanci, e di preservare questa eredità, stabilendo modi, tempi, metodi. Intanto, oggi, la scuola ce la sta mettendo tutta. Come scrive in una lettera pubblicata dal Giornale di Vicenza l’insegnante Francesca Rigon: «Quando tutto sarà passato ricorderò questi giorni eccezionali perché li ritroverò scritti nei libri di scuola. Anche se penso che né io né voi verremo citati nei manuali di scuola, entreremo comunque nella storia: ma per entrarci da vincitori e non da vinti, in questi giorni abbiamo il dovere morale di tenere un comportamento eccezionale».