Basta una comunicazione al prefetto in cui si dichiara di far parte, anche indirettamente, di una filiera essenziale. E non ci sono sanzioni per chi fa autocertificazioni infondate

Perché i sindacati stanno dando tanta battaglia sul testo del decreto emesso dal governo domenica pomeriggio dal governo Conte, quello relativo alla chiusura delle aziende, al punto da minacciare uno sciopero generale?

Il problema non sta soltanto nel pur ampio elenco delle attività consentite dal codice Ateco, ma anche in poche righe dell'articolo 1 comma d: «Restano aperte le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere di cui all'allegato 1 previa comunicazione al Prefetto della provincia dove è ubicata l'attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite. Il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga non sussistano le condizioni di cui al periodo precedente. Fino all'adozione dei provvedimenti di sospensione delle attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione resa».

Fuori dal linguaggio legale, questo comma apre una voragine che rischia di vanificare in buona parte i limiti posti dal Codice Ateco, cioè l'elenco delle attività consentite.
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In poche parole, infatti, qualsiasi azienda può autocertificare, con una semplice comunicazione al prefetto, di far parte della filiera che viene utile a una delle attività del Codice Ateco.

Questo anche se, poniamo caso, la sua produzione è al 99 per cento per altri clienti e solo all'1 per cento per una delle aziende del Codice Ateco (o anche per un'altra azienda non Ateco ma fornitrice a sua volta di un'azienda Ateco, e così via indirettamente per una catena potenzialmente lunga).

Inoltre, nei casi di imprenditori poco etici che privilegino la propria produzione alla salute comune, si lascia aperto uno spazio anche ai bugiardi: non è infatti prevista alcuna sanzione per chi fa autocertificazioni infondate, anzi si specifica che ha operato «legittimamente» finché il prefetto non prende in considerazione la sua autocertificazione e ne stabilisce la non fondatezza.

Al momento, ovviamente, non si sa quanto le 103 prefetture italiane siano strutturate per valutare le autocertificazioni che da questa mattina stanno piovendo sui loro computer. Cioè se nelle prefetture hanno abbastanza personale per leggerle tutte e poi controllare la loro fondatezza.

In ogni caso siamo sostanzialmente in regime di silenzio-assenso: finché la prefettura non risponde, sono moltissime le aziende che possono legalmente aggirare "l'obbligo" di chiusura.

Questo appunto apre una possibile voragine.

I lavoratori che apprendono questa mattina che la loro azienda è aperta sono quindi costretti comunque a uscire di casa e prendere mezzi pubblici per raggiungerla. Mezzi pubblici nei quali spesso non è possibile garantire il distanziamento di un metro indispensabile per combattere efficacemente l'epidemia. E questo, naturalmente, sempre ammesso che nei posti di lavoro invece questo distanziamento sia sempre possibile.