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Inchieste
aprile, 2020

Il colosso Don Gnocchi travolto dal coronavirus: storia della onlus che vale centinaia di milioni

La magistratura indaga su oltre 150 morti di Covid nelle sessanta strutture del gruppo in Italia. Ecco chi c'è dietro la fondazione fondata nel dopoguerra da un prete lodigiano e diventata un gigante con 27 sedi e 32 ambulatori

Con 27 sedi e 32 ambulatori in nove regioni italiane la Fondazione Don Carlo Gnocchi è un colosso discreto e silenzioso del quale si parla solo da pochi giorni, quando alcuni reparti delle sue strutture in Lombardia, e non solo, sono stati investiti dall'epidemia di Coronavirus.

Esempio tipico della sanità lombarda privata cresciuta a dismisura con gli accrediti regionali, la Fondazione affonda le radici in uno spirito cristiano che sembra in crisi di identità. Chi ha denunciato le carenze di dispositivi che hanno portato a 140 morti da gennaio soltanto in tre strutture milanesi (Palazzolo, Girola, Santa Maria al Castello) è stato minacciato di processo e messo alla porta.

Nei decenni la Fondazione si è sempre più legata a un modello finanziario-manageriale tradizionale nonostante sia una onlus (organizzazione non lucrativa di carattere sociale). L'ultimo bilancio disponibile (2018) segnala ricavi per 277 milioni di euro. Il patrimonio si aggira intorno ai 220 milioni di euro. Sono in gran parte fabbricati e terreni elencati in una visura catastale lunga 188 pagine.

La Fondazione gestisce oltre 3.700 posti letto, ha seimila dipendenti e collaboratori e assiste duemila anziani. Proprio dall'assistenza agli anziani è scattato l'allarme sulle strutture del Don Gnocchi.

La perquisizione della Guardia di finanza di martedì 21 aprile a tre strutture, due a Milano città e una in provincia (Pessano con Bornago), è partita dalla denuncia di un gruppo di dipendenti. Già il 23 marzo una parte del personale, per anni impegnato in un contenzioso sindacale con il don Gnocchi al Palazzolo ma anche nelle strutture di Fivizzano (Massa) e Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino), aveva accusato i manager della struttura di diffusione colposa dell'epidemia “e altri reati in materia di sicurezza del lavoro”.

Fra la varia casistica la denuncia si riferiva al divieto dell'uso di mascherine da parte della dirigenza per non spaventare i pazienti ricoverati. La reazione del management è stata durissima. Gli avvocati hanno parlato di calunnie e falsità annunciando querele e sospendendo i lavoratori per avere divulgato alla stampa i presunti illeciti con lo stesso ufficio legale (Martinez & Novebaci) che oggi deve difendere la fondazione dalle accuse della Procura.

La squadra del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano ha ordinato anche la perquisizione dell'Ampast, la cooperativa sociale che forniva al Don Gnocchi infermieri e operatori sanitari. Il vertice della Fondazione è indagato per epidemia colposa e omicidio colposo.

I manager pagano il rapporto molto stretto con la giunta regionale in carica, e con le precedenti. La convenzione con la Regione Lombardia è in assoluto la prima voce di ricavi della galassia Don Gnocchi.

Così quando il governatore Attilio Fontana e l'assessore al Welfare Giulio Gallera hanno firmato la delibera XI/2906 dell'8 marzo, quella che chiedeva alle Rsa di aprire le porte ai malati di Covid-19 su base volontaria, il Don Gnocchi ha risposto presente.

Otto giorni dopo, il 16 marzo, l'istituto Palazzolo di piazzale Accursio, nella zona nord di Milano, iniziava ad accogliere i contagiati da Corona virus in una situazione, secondo dipendenti e sindacati, di scarsa tutela della salute di pazienti e lavoratori. Il 20 marzo faceva lo stesso il centro Spalenza a Rovato (Brescia).

I problemi delle strutture Don Gnocchi non si fermano a Milano. La Rsa di Santa Maria al Monte di Malnate (Varese) è stata colpita duramente: almeno nove morti e 85 positivi tra ospiti e operatori. Il focolaio della Rsa è superiore ai contagi nel resto del paese dove i positivi sono circa quaranta e i morti sette.

Villa Ronzoni a Seregno, in Brianza, ha un bilancio di oltre cinquanta contagiati. Andando verso sud, ci sono stati almeno due morti e una quindicina di positivi nella struttura Santa Maria della Pace in zona Ponte Milvio a Roma. Oltre quaranta sono stati i contagiati al centro di riabilitazione di Tricarico (Matera). I sindacati, Usb in testa, sono all'offensiva un po' dovunque e, in particolare, a Santa Maria della Pineta di Marina di Massa dopo l'attivazione dell'ala Covid il primo aprile. Le pressioni dei lavoratori e le prime inchieste giudiziarie hanno probabilmente contribuito a dissuadere la dirigenza ad attivare un reparto Corona virus nel centro del Levante Ligure (La Spezia) dove è stato a lungo dirigente l'attuale dg del Don Gnocchi, Francesco Converti.

La baracca diventata colosso
Da quando don Gnocchi la chiamava ironicamente “la baracca”, la sua fondazione Pro Juventute si è ingrandita di molto. L'atto di nascita ufficiale è nel 1957 a Roma dove la fondazione ha mantenuto la sede sociale per trentadue anni, fino al trasferimento a Milano. Ma la vicenda della fondazione è principalmente lombarda quanto il suo fondatore, il lodigiano don Carlo Gnocchi, che dalla fine della Seconda guerra mondiale si è dedicato alla riabilitazione dei mutilati e dei poliomielitici. Nel 1955 è iniziata la costruzione della prima struttura in zona San Siro a Milano, con la partecipazione del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, ma il sacerdote è morto l'anno successivo a 54 anni, poco prima dell'inaugurazione del 1957. Don Gnocchi è stato beatificato nell'ottobre 2009 in piazza Duomo a Milano alla presenza di 50 mila “amis” (amici in dialetto), come si chiamano i suoi devoti e la rivista ufficiale della fondazione.

Il consiglio di amministrazione del Don Gnocchi è sempre stato presieduto da un religioso. Nel 2016 ha assunto l'incarico don Vincenzo Barbante, 61 anni da Alzano Lombardo, la cittadina della bergamasca duramente colpita dal virus, passato per decine di incarichi in strutture socio-assistenziali.

Il vicepresidente, Luigi Macchi, è stato per cinque anni (2010-2015) il direttore generale dell'Ospedale Maggiore Ca' Granda di Milano. Il direttore generale è da due anni Francesco Converti, grossetano di 52 anni, medico laureato con una tesi sull'accreditamento dei servizi sanitari e passato da vari incarichi amministrativi in strutture riabilitative del gruppo fra Toscana e Liguria a partire dal 2001.

Il consiglio di amministrazione è composto dal consigliere delegato Marco Campari (presidente esecutivo del gruppo Farmacrimi e senior advisor di Pricewaterhousecoopers), da Rosario Bifulco, Giovanna Brebbia, Mario Romeri e Rocco Mangia.

Bifulco è forse il manager più noto. Ex ad di Mittel, la merchant bank di area cattolica a lungo presieduta da Giovanni Bazoli, ha lavorato per Lottomatica, Fiat, DeA capital, Sirti, Techint e, nella sanità, per Sorin, Pierrel e per il gruppo Humanitas della famiglia Rocca. Dal gennaio del 2019 è vicepresidente esecutivo di Clessidra sgr (gruppo Pesenti-Italmobiliare), il più grande fondo di private equity a capitali italiani dopo avere presieduto l'istituto Itb (pagamenti online), la cosiddetta banca dei tabaccai comprata nel 2016 da Intesa.

Mangia è l'avvocato di area Comunione e liberazione che ha difeso gli Spedali civili di Brescia nel caso Stamina insieme al figlio Matteo dello studio Alleva, che a sua volta ha difeso Roberto Formigoni nel processo sulla fondazione Maugeri concluso con la condanna definitiva dell'ex governatore lombardo. Un altro scandalo, finora il più clamoroso, legato alla sanità privata in Lombardia.

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