Ciao Italia,
Pare quasi di avere la sfera di cristallo che permette di aprire squarci sul futuro. Quello che succede oggi in Inghilterra, è esattamente quello che è successo due settimane fa in Italia. A febbraio ero rientrato in Italia, solo per pochi giorni: ancora l’umorismo prevaleva sulla paura e si puntava il dito sugli altri, i cinesi. In aeroporto ho comprato del gel disinfettante, quasi per scaramanzia (dovevo comprarne due: adesso lo sto centellinando). La situazione in Italia è poi precipitata, e anche le sardine sono sparite dalle piazze.
Tornato in Inghilterra, ho incominciato a seguire passo dopo passo, con grande apprensione, la crisi che imperversava in Italia. Il dibattito acceso, il Governo impreparato. Spritz o isolamento? Il numero dei contagi e le vittime che aumentavano. Dal 9 marzo #iostoacasa; concerti dai balconi; infermieri al fronte.
Lì è iniziato il mio spaesamento: avevo gli occhi puntati sull'Italia, ma i piedi Oltremanica, dove il numero dei casi era esiguo per accendere l’interesse della gente e un dibattito politico. Eppure, anche qui in Uk, in pochi giorni, i numeri si stavano moltiplicando e nella popolazione cresceva l'attesa per un’imminente presa di posizione da parte delle autorità, che sembrava non arrivare mai. È arrivata il 12 marzo, finalmente, ed è stata un enorme scivolone di BoJo, con la sua rassegnazione che tanto «il virus tornerà ogni anno» e non ci si può far niente, e «preparatevi a perdere i vostri cari prima del dovuto». Forse noi italiani non siamo abituati a notizie così fredde e dirette, ma così sembrava di voler gettare la spugna ancora prima di provare a reagire.
Dunque, a metà marzo il piano Uk era lasciare che il 60% della popolazione venisse contaminata in modo da raggiungere la tanto dibattuta “herd immunity” (immunità di gregge). Il giorno dopo venivano comunicati i dati stimati sul contagio: tra le 5 e 10 mila persone. La sera prima eravamo andati a dormire contandone 450 circa. Mi sono sentito come sotto una pioggia di proiettili, privo di elmetto. Molti dei Paesi europei, allibiti, avevano puntato gli occhi alla Gran Bretagna. Non mi ero mai sentito così tanto al centro dell’attenzione. Chissà la Regina! Anche se forse col tempo ci si è abituata. A proposito, fino ad oggi, 25 marzo, non si era più sentito parlare della famiglia reale, ma adesso il virus è entrato di prepotenza anche lì colpendo il Principe del Galles, Charles.
Ma torniamo a metà marzo, quando per me cominciavano le telefonate dall’Italia: «Cosa fai all’Università? Vai a casa! Anzi, torna a Casa!». E io in effetti stavo tra i corridoi del dipartimento e mi guardavo intorno tra frotte di studenti che entravano ed uscivano da classi, palestre, caffè, autobus. Con calma, ho incominciato a sistemare le mie cose e a prendere le distanze. Qualche commento tra colleghi: «Ben presto incominceremo a caricare libri e computer negli zaini». Alcuni uffici iniziavano a svuotarsi e la gente cominciava a lavorare da casa. Ma solo una ridotta minoranza. Son settimane che mi guardo attorno allibito: vorrei scuotere le persone e far loro capire che se veramente siamo vicini ai numeri italiani allora la tempesta è già cominciata, ma nessuno se ne è accorto. Ad ogni modo, con gli albionici è consigliabile stare a distanza ed evitare il contatto fisico, ora più che mai! Ci ho provato a sfruttare la mia testimonianza di italiano e sensibilizzare chi mi stava vicino: ma nulla, ho l’aria di Cassandra, che nessuno vuole stare a sentire. Qui si segue la linea deterministica adottata dai Tory. In più «we’re young mate, don’t worry!». Già visto e già sentito, purtroppo.
Però la storia del gregge non aveva funzionato del tutto. È il riscatto dell’individualismo che la paura risveglia. Infatti c’era stata una parte di anglosassoni che già da qualche giorno si era autoisolata e aveva ritirato i figli dalle scuole ancora gremite. I genitori che tenevano a casa i propri figli da scuola nel periodo della pandemia avevano raccolto petizioni per 22mila firme per chiedere un nulla osta, altre 400 mila firme erano state raccolte per chiedere l’implementazione del lockdown per prevenirne la diffusione.
Di fronte all’immobilità del Governo si era mobilitato il Consolato Italiano con una Task Force COVID-19 per assistere i propri connazionali con informazioni utili, perché qua c’era gran confusione. Il quelle ore si continuava a leggere sui giornali testimonianze di persone che contattavano l’NHS (Sistema Sanitario Nazionale) con sintomi riconducibili al Coronavirus e venivano invitati a recarsi presso la struttura ospedaliera con mezzi propri o pubblici e poi lasciati ad aspettare nelle sale di attesa in mezzo agli altri pazienti, alla gente che corre da una parte all’altra, ai senza tetto che usano i bagni dell’ospedale.
Nel frattempo i club della movida notturna comunicavano che la festa poteva continuare, i pub restavano aperti: l’importante è lavarsi le mani. In fondo non li si può nemmeno biasimare, perché è il Primo Ministro stesso ad aver annunciato di non chiudere i locali. Però alcuni incominciavano a essere vuoti, le casse languivano e tanti perdevano il posto di lavoro. Per molti immigrati il sogno di trovare lavoro negli UK si interrompeva, senza possibilità di posticiparlo perché dal 2021 c’è la Brexit.
In tutto ciò, nei supermercati la carta igienica e la pasta sono scomparsi da giorni! D’accordo gli alimentari, ma la carta igienica? Il professor Kappes spiega che per molti inglesi questa è simbolo di sicurezza, forse perché legata a un concetto di igiene, e quindi aiuta a superare momenti di forte stress. Speriamo che gli basti allora.
Il 20 marzo la notizia che nessun anglofono avrebbe mai voluto sentire: i pub devono chiudere per combattere il virus. Capite che sono come le chiese in Italia, ma più affollati! Finalmente attorno al 21 marzo arrivano notizie chiare dal NHS: se si presentano i sintomi si rimane a casa, se la vita è in pericolo si chiama il numero di emergenza 999, si finisce in ospedale dove si fa il test. Ma una larga parte della popolazione continuava la propria vita nell’indifferenza. Ho chiesto alla mia anziana vicina di casa se le servisse una mano per la prossima spesa, così da evitarle di uscire. Ha sorriso e risposto: «No no, thank you».
Nel frattempo si cominciava a vociferare di un imminente lockdown, (del resto, con i pub chiusi, uscire non ha più senso).
Se in Italia abbiamo vissuto la storica controtendenza, che ha spostato i giovani da nord a sud, qui gli immigrati si sono riversati verso gli aeroporti. Frotte di italiani che scappavano verso l’Italia, i facoltosi rientravano con voli privati da 20mila pound a testa - 15 posti - , dalle residenze studentesche si vedevano giovani asiatici carichi di valigie che cercavano un taxi.
Nella sera del 23 marzo viene annunciato l’ormai tanto atteso, e quasi desiderato, lockdown britannico. Per chi si fosse perso il comunicato, viene mandato a ripetizione sui canali della BBC e chiaramente su ogni testata dei giornali, poi sul cellulare arriva l’avviso dal NHS. È una procedura conosciuta e testata, pare che in Cina abbia funzionato. Nessuno dunque sembra opporsi, sembra tutto procedere all’unisono, ma non nei fatti perché da Londra continuano ad arrivare immagini di metro e strade sempre troppo affollate.
È il momento dell’hashtag #stayathome, delle fotografie di città vuote, degli infermieri dal fronte. Qualcuno ha provato ad intonare Bohemian Rhapsody dal balcone, ma è stato malamente rimproverato.
I post condivisi per smuovere la sensibilità delle persone non sono più sugli italiani, ma sugli stessi britannici. Gli addii ai propri cari si fanno in video e a Londra a 36 anni non si è più una priorità e si muore nel proprio appartamento.
La BBC commenta i dati italiani e li compara con i propri su diagrammi cartesiani, sulla linea del tempo è quel paio di settimane che ci separa. È uno sguardo all’immediato futuro, purtroppo ormai quasi certo. C’è forse rammarico: ciò che accadrà fra una o due settimane è il risultato di ciò che è stato fatto fino a questo esatto momento. Un po’ come per i cambiamenti climatici, anche se lì la questione riguarda gli anni, ma il sentimento è lo stesso: «Se fossimo intervenuti prima di vedere gli effetti».
Durante il primo giorno di lockdown osservo dalla finestra una coppia giocare a tennis nel circolo privato. Già, oggi anche io lavoro da casa.