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Quella di Blello - ma anche di Sernio, di Magasa, di Albaredo e di molti altri minuscoli comuni lombardi a zero contagi (la mappa della speranza conta una trentina di paesi sparsi nella fascia settentrionale della regione) - è la Lombardia alternativa ai grandi centri abitati: quella dei piccoli villaggi rurali diventati, ai tempi della pandemia, nuovi modelli di vita. Dove il distanziamento sociale è all’ordine del giorno e i sindaci rimproverano i cittadini chiamandoli per nome (in strada, al telefono o nelle chat virtuali).
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Abitato da allevatori e boscaioli, Blello è a quaranta minuti dalla trafficata Bergamo ma seguendo la Valle Brembana e imboccando l’antica Via Priula si entra piano piano in un mondo a parte, di orridi e silenzi. «Quando tutto sarà finito», racconta Luigi, «ho promesso ai nostri otto bambini di realizzare un piccolo parco giochi e forse acquisteremo anche un pulmino per portarli a scuola, a Berbenno. Oggi però ci servirebbero tablet, non tutti li hanno».
Il sindaco ha distribuito mascherine e pacchi alimentari, e fuori dal paese ha appena realizzato una pista per elisoccorso ancora da inaugurare: «Finora il coronavirus ci ha risparmiati, siamo stati bravi a rispettare regole e distanziamento. Ma ci sentiamo pionieri e per continuare a vivere in questa terra isolata abbiamo bisogno che vengano garantiti i servizi essenziali». Per andare da Blello a Vedeseta occorre scollinare nella Val Taleggio e guidare fra curve e tornanti per una trentina di minuti. Qui si producono ottimi formaggi - il locale Strachìtunt ha da qualche anno guadagnato l’etichetta Dop - ma il coronavirus ha bloccato tutto: «Niente turisti, ed è un peccato», dice Luca Anderloni, «perché per Pasqua vendevamo tanto. Speriamo nell’estate».
Luca faceva il panettiere a Caravaggio ma dieci anni fa ha mollato tutto e si è trasferito qui con la famiglia, a produrre aceto, succhi e marmellate. L’isolamento però una cosa buona l’ha portata: Vedeseta è l’altro comune della bergamasca – sono in tutto cinque - a zero contagi (in realtà poco prima di andare in stampa è arrivata la notizia che un residente è risultato positivo, ma il sindaco Luca Locatelli al telefono ci tiene a precisare che «non vive qui, abita a Bergamo»).
Poco meno di duecento abitanti, molti dei quali anziani (ma c’è anche un asilo con 14 bambini), Vedeseta ha affrontato il virus senza panico. «All’inizio, grazie al gruppo Alpini, sanificavamo due volte al giorno l’ufficio postale, il negozio di alimentari e l’ambulatorio medico», racconta Locatelli, «e poi abbiamo invitato tutti al rispetto delle regole, fornendo a ognuno cinque mascherine e un flacone di gel disinfettante. Gli anziani, poi, li abbiamo obbligati a restare in casa». Una di loro è Osvalda Quarenghi, 82 anni, storica maestra delle elementari quando il paese sfiorava gli ottocento abitanti: «Fin dall’inizio mi hanno chiesto di non uscire, spiegandomi che a farmi la spesa sarebbero venuti i volontari. Ho ubbidito, esco solo a fare qualche fotografia con la mia macchina digitale».
In linea d’aria da Vedeseta alla Valle del Bitto non sono neppure venti chilometri ma per raggiungerla occorre costeggiare il Lago di Como e salire all’imbocco della Valtellina, guidando per quasi due ore fino a Morbegno. Da qui due vallate parallele scendono a sud: entrambe patria del celebre formaggio Bitto, entrambe rimaste Covid free. Quella occidentale è una valle chiusa, porta agli alpeggi a duemila metri e l’ultimo paese che si incontra è Gerola Alta, un centinaio di residenti in tutto: «Il finesettimana prima del 9 marzo, quando iniziò il lockdown, le nostre piste da sci erano strapiene», spiega il giovane Daniele Quaini, impiegato di banca e consigliere comunale, «e ricordo che in quei giorni la paura era tanta. Per fortuna non ci furono contagi e da subito iniziammo con i controlli per strada, con la distribuzione delle mascherine lavabili, con la consegna a domicilio di farmaci e alimenti, e con il trasporto negli ospedali della valle, da parte della Protezione Civile, di chiunque ne avesse urgenza. A malincuore abbiamo dovuto vietare anche la coltivazione degli orti».
Daniele siede a un tavolo del Municipio insieme a Rosalba Acquistapane, sarta e sindaco del paese, che aggiunge: «Stiamo cercando di reinventarci le vacanze per i bambini al tempo del virus, mettendo a disposizione delle strutture ricettive, per garantire il distanziamento, spazi e terreni pubblici. Quest’estate, avendo esaurito le ferie, per molti genitori la gestione dei figli piccoli potrebbe diventare un problema».
Speculare a Gerola Alta, nella valle più a est sorge Albaredo per San Marco. Nel nome è il suo passato veneziano: anche qui transitava la Via Priula, costruita ai tempi in cui la Serenissima dominava Bergamo e voleva ampliare i commerci raggiungendo Coira, nei Grigioni. Albaredo per San Marco ha trecento residenti e zero contagiati, il sindaco è il vulcanico Patrizio Del Nero: qui ha creato Alps Word, un contact center che dà lavoro a 48 ragazzi del posto, e si è inventato Fly Emotion, il volo libero appesi a un filo da un versante all’altro della valle che attira 25mila turisti all’anno. Ci tiene subito a dire che «se vogliamo una montagna viva abbiamo bisogno di tre cose: agricoltura per mantenere il territorio, turismo che apprezzi i prodotti e sviluppo tecnologico per convincere le aziende a delocalizzare, venendo qui dal fondovalle».
E cosa dice del coronavirus? Del primato di Albaredo? Il sindaco spiega che in paese sono state garantite mascherine gratis e staffetta per la farmacia (l’unico servizio non presente), ma anche bonus alimentare per le famiglie meno fortunate e costi dei trasporti azzerati per il secondo trimestre. «Abbiamo imposto a tutti di non uscire dal paese, se non per motivi inderogabili», continua. «Abbiamo attuato il distanziamento fisico ma non sociale: per questo abbiamo creato un gruppo Whatsapp - Albaredo Andrà Tutto Bene - al quale ha aderito tutto il paese, e ci tieniamo quotidianamente aggiornati su decisioni e direttive».
C’è un comune in Valtellina dove il 25 aprile non significa solo Liberazione. A Sernio infatti quel giorno di primavera del 1945, per rappresaglia, i fascisti di Tirano bruciarono gran parte del paese uccidendo due persone. Questa data è rimasta nella storia locale come una macchia nella memoria difficilmente cancellabile, neppure per chi allora aveva sette anni ma ricorda benissimo le fiamme che ardevano nella sua casa. Quello stesso bimbo, Italo Bassanelli, oggi di anni ne ha 82 e l’altro giorno i carabinieri hanno fatto finta di non vederlo quando, da solo, senza mascherina, camminava verso i suoi campi coltivati sul fianco della montagna. «Italo, la mascherina devi metterla!», lo sgrida bonariamente Severino Bongiolatti, sindaco di Sernio, 488 abitanti e zero contagiati.
Non sono tutti anziani, anzi: i giovani lavorano nelle industrie locali, nella sanità, nell’agricoltura («le nostre mele Golden sono gustosissime») e la sera in molti si collegano al canale Facebook “Sei di Sernio se...”, dove il sindaco posta decreti e ordinanze. «Il nostro segreto è un mix di buonsenso, di rispetto delle regole e di urbanistica favorevole», spiega Bongiolatti. «Perché abbiamo molte villette indipendenti e orti verdi ovunque. Inoltre l’unico centro ricreativo, con bar, pizzeria, palestra e giochi per bambini, chiuse subito all’inizio di marzo: una scelta lungimirante».
Nella gestione del coronavirus, si è capito, piccolo (e isolato) è meglio. Prendiamo la provincia di Brescia: i due comuni con minore popolazione – Magasa (115 residenti) e Irma (140), stretti fra il Lago d’Iseo e il Lago di Garda - sono entrambi fermi a zero contagi. «L’isolamento mi protegge e non mi turba», afferma l’artista Tiziano Calcari mentre prepara i suoi colori. «In fondo passo gran parte del mio tempo qui nello studio a dipingere». Sono isolati Giuseppe e Laura mentre seminano il loro piccolo orto a ridosso della provinciale, ed è isolata Rebecca quando con il papà Oscar e la mamma Alina va a prendere l’acqua alla fonte San Carlo.
Irma infatti, in Alta Val Trompia, è un paese ricco d’acqua e lo noti dalle fontane sparse per il borgo («tutte igenizzate»), o dal grande lavatoio dove le donne scendono ancora a pulire i tappeti a mano. Chi invece non vorrebbe accontentarsi di distanza e pulizia è Federico Venturini, sindaco di Magasa, che mentre passeggia fra i vicoli del suo villaggio illustra la sua idea: fare velocemente il tampone e il test sierologico a tutti i residenti del comune. «Ho già trovato i soldi», dice, «e ho coinvolto l’Università di Brescia, l’ATS locale e la casa di cura Villa Gemma di Gardone, che ci fornirà supporto e personale. Manca solo l’ok definitivo della Regione. Ma sono convinto che arriverà».