Dal lockdown alla protesta col pugno alzato: la città brucia e chiede giustizia
Riapre New York. Ma dopo tre mesi è un’altra città questa, un altro mondo. La pandemia, il lockdown, 22 mila morti solo qui. I camion frigoriferi, le fosse di Hart Island, l’ospedale da campo al Central Park. Le banche del cibo, i negozi falliti, le file per i sussidi di disoccupazione, scene da Grande Depressione. E poi le proteste, ginocchia piegate e pugni alzati: “I can’t breathe!” I saccheggi e il coprifuoco. Auto della polizia contro la folla. Manganelli. Arresti. Lanci di sassi. Lacrimogeni. Vetrine infrante.
Brucia Brooklyn, la Quinta Strada trema. Chiudono i ponti, blindano Manhattan, elicotteri sulla città. E poi d’improvviso i poliziotti abbracciano i manifestanti. Ora si inginocchiano, pregano, chiedono perdono. Qualcuno piange. Scene mai viste nella città com’era prima. “Facciamo insieme la Storia,” urla la folla “non c’è pace senza giustizia!”.
Vengono sotto casa mia ogni sera. Li sento arrivare da lontano. “Black lives matter!” Eccoli: voci, piedi e sudore. Mi affaccio alla finestra. Riprendo la scena dall’alto. Poi scendo in strada. Ora siedono in protesta davanti alla casa del sindaco. Siedo anch’io, prendo appunti con gli occhi. Giovani, giovanissimi. Bianchi e neri e tutte le gradazioni di colore che stanno in mezzo. Un arcobaleno di pelli. Accendono candele, portano fiori. “Floyd, Breonna, Ahmaud,” i morti ammazzati “ripeti i loro nomi!” gridano. Grido anch’io. I poliziotti ci guardano da dietro la barricata. Chiedo ai ragazzi da quanto tempo sono in marcia. “Da cinque ore. Siamo studenti, veniamo dal Queens. Il gruppo lì avanti è di Staten Island. I ragazzi che organizzano sono del Bronx.”
Il leader della protesta urla nel megafono “togliamo i soldi alla polizia!” Noto un poliziotto nero dall’altra parte delle transenne. Occhiali scuri e manganello su un fianco, ben allacciato all’uniforme. Voleva cambiare le cose da dentro, per questo è entrato in polizia? NYPD, New York Police Department, la polizia più famosa d’America. Nei quartieri difficili di New York o sei guardia o sei ladro, lo dicono tutti, e allora lui ha scelto. Ma ora da quale parte della protesta vorrebbe stare? Il blu dell’uniforme, le notti per strada, gli inseguimenti. Vita da
cops, ma le vite dei poliziotti contano pure. In America la polizia è militarizzata: granate, mitragliatrici, fucili d’assalto, mezzi blindati come in una zona di guerra. Dopo l’11 settembre l’America si è sentita sotto assedio. La polizia deve essere pronta a tutto. Ma per i manifestanti i poliziotti sono una forza di occupazione. “Arrivano nel quartiere e siamo già tutti colpevoli,” mi dice un ragazzo. “Mani in alto, gambe aperte e faccia al muro.” Intanto c’è un altro morto ad Atlanta, ancora morti e ancora video. Ancora proteste. Non c’è pace senza giustizia.
Riapre New York. Questa città non si era mai fermata, neppure dopo l’11 settembre. L’ultimo coprifuoco? 1945, sindaco Fiorello La Guardia. I sottomarini nazisti si erano spinti fino alla baia di Long Island. Hitler voleva far saltare in aria il ponte ferroviario di Hell Gate. Se mi alzo lo posso vedere bene quel ponte. È lì in fondo, tra Manhattan e il Queens, il Bronx alle spalle. In mezzo scorre il fiume, acqua mischiata a rabbia. Riapre New York. Tornerà il rumore della strada. Tornerà il “minuto newyorkese” a scorrere veloce. Torneranno i cantieri dei grattacieli in costruzione. E i newyorkesi torneranno? I ricchi sono andati via a marzo. Wall Street ha messo tutti al telelavoro.
Riapre New York. In questa città la Storia accelera sempre: cadono le Torri Gemelle e cambia il mondo. Inizia la crisi finanziaria e cambia il mondo. Viene eletto presidente un palazzinaro della Quinta Strada e cambia il mondo. E ora dove va la Storia? È questa davvero la svolta? E se una volta arrivata all’angolo la Storia si rifiutasse di svoltare? E se nulla cambiasse davvero? Questa è una nazione incompiuta, una democrazia imperfetta, come in fondo lo sono tutte. “
E pluribus unum,” c’è scritto sulle monete da un centesimo di dollaro. Ma non è così. Diversi ma ancora divisi, dopo quasi 250 anni. “
A nation, under God, indivisible, with liberty and justice for all” recitano i bambini nelle scuole durante il saluto alla bandiera. Libertà e giustizia, li avremo mai?
Forse è il caso di inginocchiarci tutti, come fece Martin Luther King a Selma nel 1965. Come ha fatto Colin Kaepernick prima delle partite di football, quando tutti si alzano per l’inno nazionale. Come il ragazzo che mi sta accanto che ora ha le lacrime agli occhi e il pugno alzato. Mi inginocchio anch’io. “Basta acqua,” scriveva James Baldwin “la prossima volta il fuoco.”
Riapre New York, la mia città. Non ti ho mai amata così tanto.
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