
Tecnicamente, in base alle dichiarazioni del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, rilasciate lo scorso 22 aprile in audizione alla Camera, l’attività di controllo sarebbe dovuta riprendere a pieno regime dal primo giugno: quindi, via libera alle notifiche di accertamento e ai controlli ispettivi sia nelle aziende, sia nei confronti di titolari di partita Iva, così come agli accertamenti sulle dichiarazioni dei redditi. In pratica una direttiva interna all’Agenzia invita i propri 28 mila addetti a mantenere un atteggiamento morbido, limitando notifiche e controlli a casi eccezionali, gravi e di rilevanza penale. E, se davvero è necessaria un’ispezione, che almeno la si concordi con i titolari o con il contribuente, evitando l’effetto sorpresa. Insomma, per quest’anno l’Agenzia delle Entrate chiuderà un occhio, se non altro per evitare di infierire sui conti delle imprese, già in affanno per via del lockdown e per i probabili strascichi che si verificheranno nei prossimi mesi sia sui consumi interni, sia sull’export.
Per questo stesso motivo sta slittando di mese in mese anche l’invio delle cartelle esattoriali previste in scadenza proprio per il mese di giugno: tutto rinviato a settembre. Rimandato anche l’invio di 300 mila lettere di conformità per i riscontri delle comunicazioni Iva, più altre 250 mila comunicazioni di irregolarità, i cosiddetti avvisi bonari, che derivano dai controlli automatizzati delle dichiarazioni dei redditi effettuati nei primi due mesi dell’anno, quindi prima che il Covid colpisse duramente l’economia italiana.
Congelati anche 220 mila accertamenti annui, tre milioni di cartelle di pagamento e 2,5 milioni di atti di riscossione. Parte di quest’attività è stata posticipata al 2021, ma il grosso delle operazioni potrebbe riprende a settembre, Covid permettendo, quando probabilmente si verificherà un vero e proprio ingorgo procedurale, se si considera che lo stesso Ruffini, nell’audizione alla Camera, ha spiegato che in pochi mesi l’Agenzia delle Entrate si troverà a emettere circa 8,5 milioni di atti e comunicazioni, una mole di lavoro che di norma viene svolta in un intero anno. A questo si aggiunge l’extra lavoro piovuto sulle spalle dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate nelle ultime settimane: dovranno occuparsi della gestione del bonus vacanze - cioè il contributo fino a 500 euro per consentire alle famiglie di non rinunciare alle ferie estive -, e dell’amministrazione delle domande al fondo perduto previsto dal decreto Rilancio, che offrirà un contributo tra i mille e i duemila euro ai lavoratori autonomi e ai professionisti.
A fronte di un plafond di 6,2 miliardi, l’Agenzia prevede di dover vagliare milioni di domande, dal momento che i titolari di partita Iva in Italia sono 4,6 milioni. Queste attività porteranno via tempo e risorse alla lotta all’evasione fiscale, già depotenziata dal fatto che, per il momento, solo un quinto degli addetti dell’Agenzia è tornato in ufficio, mentre gli altri continuano a lavorare in modalità smartworking.
Non va meglio alla Guardia di Finanza, anche qui si lavora a scartamento ridotto e le caserme, dove specialmente nel Nord Italia si sono verificati focolai di Coronavirus, sono rimaste in parte deserte. L’ordine è limitare i controlli ai casi gravi, ad esempio alle operazioni coordinate con le direzioni distrettuali antimafia messe a segno nel monzese, a Venezia, Verona, in Sicilia. Ma di verifiche fiscali di routine, che servono a intercettare le piccole frodi, quest’anno ce ne saranno davvero poche.
«Siccome i contribuenti sono stati travolti dalla crisi, e ci sono rilevanti problemi di liquidità, è ragionevole limitare gli accertamenti. Però, a maggior ragione, diventa ancora più importante distinguere le situazioni individuali e dare agli agenti dell’Agenzia una banca dati che consenta di effettuare ispezioni mirate», spiega Alessandro Santoro, professore di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano e consigliere del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Effettivamente, nell’ultima legge di bilancio, si era aperta una breccia in tal senso grazie alla possibilità di utilizzo dell’anagrafe dei conti correnti. Tale legge sarebbe dovuta entrare in vigore entro giugno, dopo un decreto ministeriale e il parere del garante della privacy. Tuttavia, a causa dell’emergenza, la legge è rimasta in un cassetto del ministero dell’Economia e il decreto non è mai stato inviato al garante. «Il timore è che quella norma resti lettera morta, continuando quindi a fare accertamenti al buio», odiosi se colpiscono contribuenti sul lastrico, e indulgenti verso chi nasconde grosse somme al fisco. Al contrario, se per gli ispettori fosse possibile comparare la posizione reddituale con la liquidità a disposizione e la capacità di spesa sarebbe possibile evidenziare le posizioni anomale.
Si prevede dunque un’annata magra per le casse pubbliche e l’ammanco maggiore deriverà proprio dall’extra gettito proveniente dai controlli: «La maggior parte delle risorse provenienti dall’Agenzia delle Entrate deriva dagli accertamenti ispettivi», spiega un funzionario territoriale dell’Agenzia, che prosegue: «Durante questi accertamenti gli ispettori non vanno a contestare l’evasione dell’anno in corso, ma verificano l’attività risalente tra i tre e i cinque anni precedenti, che siano persone fisiche, enti commerciali o società. Questo significa che, chi ha fatto il furbo e ha evaso le tasse o ha dichiarato il falso nell’anno fiscale 2014, non verrà mai scoperto, perché a fine 2020 decade la possibilità amministrativa di ricorrere contro le omesse dichiarazioni fiscali del 2015. Le ispezioni si sono fermate a marzo e, a parte casi particolarmente gravi, c’è l’indicazione di non avviare attività ex novo. Per essere chiari, è vero che gli avvisi di notifica possono essere prorogati all’anno successivo, ma solo per i fatti già noti e contestati, non certo per nuove attività ispettive, che vengono disincentivate dalla stessa direzione», si tratta quindi di una sorta di condono implicito per tutte le irregolarità compiute nel 2014 soprattutto da titolari di partite Iva, artigiani e professionisti.
Un altro problema che l’ente si trova ad affrontare è l’ulteriore allungamento dei tempi di recupero crediti per le sanzioni mai pagate dai contribuenti. A fine 2019 i crediti vantati dal fisco nei confronti di persone e aziende equivalevano a 954,7 miliardi di euro e, per via del Covid-19, si è deciso di prolungare ulteriormente il termine ultimo di pagamento, oltre il quale scatta la comunicazione di inesigibilità e quindi una più aggressiva azione di riscossione da parte degli agenti. Ad esempio, le procedure risalenti al 2016 slitteranno al 2026. «Il nuovo differimento dei termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità ha lasciato irrisolto il problema della costante crescita del “magazzino” di crediti ancora da riscuotere», ha spiegato Ruffini. Più il tempo passa, più si abbassa la possibilità di recuperare quelle cifre, soprattutto perché già oggi il 40 per cento di quei soldi risulta difficilmente esigibile, essendo dovuto da soggetti falliti, da persone decedute, imprese cessate o nullatenenti.