Il boss è sotto processo con l'accusa di essere uno dei mandanti degli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino e degli uomini delle loro scorte

Il capomafia trapanese Matteo Messina Denaro, 58 anni, ricercato dal 1993, è attualmente sotto processo a Caltanissetta perché accusato di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

Le fasi del processo sono ormai giunte alla conclusione, davanti ai giudici della Corte d’assise sono sfilati investigatori, testimoni di giustizia ed ex mafiosi. Hanno raccontato e mostrato il lato violento e criminale di Messina Denaro, il suo modo di essere capo e il ruolo di “assistente” di Salvatore Riina.

E le decisioni sanguinarie prese per sostenere la leadership corleonese, tra cui l’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. «Il processo ci restituisce una figura di stragista, carnefice, sanguinario che ha ucciso persone innocenti e bambini. All’epoca delle stragi Messina Denaro aveva 30 anni, e nel 1992 Cosa nostra sferra il suo micidiale attacco allo Stato, in risposta alle condanne del maxi processo», afferma il pm Gabriele Paci durante la requisitoria.

«Si è detto che Messina Denaro era troppo giovane a 30 anni per poter dire che fosse il mandante della strage perché nella mafia si fa carriera con gli anni. Ma è un luogo comune. Dal 1993 in poi Messina Denaro è, insieme a Brusca, i Graviano e Bagarella uno dei capi di Cosa nostra. Il 1993 è l’anno delle stragi, inizia con l’arresto di Riina e da quel momento in poi la mafia è governata da questo gruppo di persone che porta avanti la politica stragista», spiega il pm.

Mafia
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14/7/2020
«Da quelli che sono gli elementi di prova forniti, vedremo come questo status di Matteo Messina Denaro non verrà mai revocato. Rimarrà lui al vertice di Cosa nostra trapanese, e il suo peso politico aumenterà sempre all’interno di Cosa nostra», ha aggiunto.

«Se Messina Denaro non avesse avallato la strategia stragista di Riina, decidendo di non mettersi contro lo Stato, Riina cosa avrebbe fatto?», si è chiesto il magistrato durante la requisitoria. «Intanto non avrebbe potuto contare sui trapanesi e non avrebbe potuto trascorrere parte della latitanza a Mazara del Vallo e Castelvetrano. Quindi il consenso dei trapanesi, nella persona di Matteo Messina Denaro, è un consenso fondamentale. Riina non avrebbe mai potuto ordinare quello che ha fatto senza di loro. Se tutti non gli fossero andati dietro lui non avrebbe potuto fare la guerra allo Stato, e quello che la sua mente diabolica aveva già elaborato».

Senza dimenticare che anche Matteo Messina Denaro «partecipa alle barbarie cui fu sottoposto il piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e tenuto prigioniero per tre anni per poi essere ucciso e sciolto nell’acido, autorizzando che il bambino, nel corso della lunga prigionia, resti per tre occasioni ristretto nel trapanese, in un immobile vicino Castellamare e in uno vicino Custonaci». La sentenza è prevista entro la fine dell’estate.