Energia pulita e ortaggi di serra: la strada per salvare la Terra parte dalla gelida Islanda

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Riscaldamento dal vapore dei geyser. Coltivazioni in serre verticali. E anidride carbonica trasformata in roccia. Nel 2008 la crisi della finanza aveva portato l’isola al fallimento. Ma oggi è diventata leader dell’economia verde (Foto di Simone Tramonti)

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Non è esattamente il posto dove ti immagineresti coltivazioni di insalate e pomodori. Eppure, la gelida Islanda è diventata da qualche anno produttrice di ortaggi, raggiungendo in alcuni settori l’autosufficienza alimentare. Merito delle serre, di un gruppo di imprenditori visionari e di una politica di stato che sta puntando sulla sostenibilità, l’energia pulita e la lotta al cambiamento climatico. La terra di ghiaccio e fuoco è un avamposto sul fronte del riscaldamento globale. L’aumento delle temperature sta rapidamente cambiando i paesaggi di questa isola-stato a ridosso del Circolo polare artico: i ghiacci eterni si ritirano, nuove terre emergono, le specie marine cambiano in modo repentino.

Jasper Van Beek, during a daily check at Vaxa’s facilities, the only vertical farm in Iceland. The company was founded 2 years ago by a team of young entrepreneurs to grow fresh sustainable vegetables close to Reykjavik center. This cuts down distance traveled in the supply chain and reduces farming’s impact on the environment.

Nell’agosto 2019, la scomparsa definitiva del ghiacciaio Okjökull in cima al vulcano Ok, nel nord-ovest del paese, è stata celebrata come un funerale, con tanto di lapide affissa sul luogo una volta coperto dal manto bianco: «Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni tutti i nostri ghiacciai potrebbero seguire la stessa sorte. Questo monumento testimonia che sappiamo quello che sta accadendo e che cosa bisogna fare», si legge sulla placca. Che chiude con un messaggio a un ipotetico visitatore del futuro: «Solo tu sai se l’abbiamo fatto».

Il commiato al ghiacciaio non è stato un evento riservato a un manipolo di ambientalisti radicali, ma una vera e propria cerimonia di Stato, alla presenza del ministro dell’ambiente Gudmundur Ingi Gudbrandsson e della premier Katrín Jakobsdóttir. L’arrivo a capo del governo della leader del partito verde, nel 2017, è il simbolo più vistoso del nuovo corso della politica islandese.
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Poco dopo la sua elezione, la premier ha convocato una conferenza stampa in cui, affiancata da altri sei ministri, ha annunciato un piano-clima dalle grandi ambizioni, che punta a raggiungere la totale decarbonizzazione del paese entro il 2040. «Il cambiamento climatico è la maggiore sfida per l’umanità e richiede cooperazione e azione da parte di tutti: governo, industria e cittadini. Oggi presentiamo azioni concrete, a cui dedicheremo risorse e la volontà politica per realizzarle», ha detto in quell’occasione Jakobsdóttir. Fra le misure indicate, una transizione rapida verso l’energia pulita che coinvolge i trasporti, l’industria, e l’insieme del settore primario.

La svolta green dell’isola era in realtà già cominciata qualche anno prima, all’indomani della grande crisi finanziaria del 2008. Da un giorno all’altro l’Islanda, che dal 1990 aveva costruito la propria fortuna sull’economia immateriale della finanza, si è trovata letteralmente a gambe all’aria: le tre maggiori banche sono fallite e sono state nazionalizzate, mentre il governo ha dovuto chiedere un prestito al Fondo Monetario Internazionale. Svalutata la moneta locale - la króna - del 60 per cento, il paese ha puntato di nuovo sull’economia reale: il turismo, la pesca e lo sfruttamento delle risorse interne. In particolare, una ricchezza che dal cuore della Terra sprizza naturalmente in superficie: la geotermia.
The Photobioreactor of Algaennovation for the cultivation of Omega-3 rich micro-algae. The final products range from feed for aquaculture and hatcheries, colourants, proteins up to Omega-3 human supplements. Micro-algae cultivation is sustainable as it reduces the environmental pressures of the livestock sector on natural resources.

È fin dagli inizi del secolo scorso che gli islandesi sfruttano il vapore dei geyser per riscaldare le proprie abitazioni. La leggenda narra che il precursore fu un contadino che, vedendo il fumo uscire dalla terra in diversi luoghi vicini alla sua proprietà, allungò un tubo tra uno di questi punti e la sua casa. Il rudimentale sistema ha fatto scuola, spingendo le varie città del paese a convertirsi al riscaldamento da geotermia. Negli anni ’70, sotto la spinta della crisi petrolifera, è cominciato poi lo sfruttamento del vapore per produrre energia. Dopo la crisi finanziaria, il potenziale del calore sotterraneo si è affermato definitivamente come volano per un nuovo modello di sviluppo, ancorato alla sostenibilità ambientale e alla neutralità climatica.

«Allo stato attuale la geotermia è responsabile del 30 per cento del fabbisogno energetico e del 90 per cento del riscaldamento in Islanda», sottolinea Marta Rós Karlsdóttir, direttrice esecutiva di On power, una sussidiaria dell’ente elettrico islandese che controlla due delle sette centrali geotermiche del paese. Con il resto del fabbisogno energetico garantito dalle centrali idroelettriche, l’Islanda è l’unico paese al mondo che può vantare di produrre la propria elettricità al 100 per cento da fonti rinnovabili (la media europea è il 29 per cento, in Italia siamo sul 34 per cento).

Con una potenza di 300 Megawatt, l’impianto di Hellisheidi gestito da On Power è il terzo più grande del mondo. E, oltre a garantire energia e tele-riscaldamento a un terzo delle abitazioni di Reykjavik, sperimenta una tecnologia all’avanguardia per ridurre le emissioni clima-alteranti. Chiamata Carbfix, prevede la reimmissione nel sottosuolo dell’anidride carbonica associata all’estrazione di vapore in un composto misto ad acqua che ne favorisce la mineralizzazione. «In pratica trasformiamo la CO2 in rocce», spiega al telefono Karlsdóttir. «Dal 2014, quando abbiamo avviato questo processo, abbiamo già fissato 50mila tonnellate di anidride carbonica.

Contiamo nei prossimi anni di aumentare questa quantità per partecipare sempre più attivamente al raggiungimento della neutralità climatica». Il processo di creazione di energia pulita va a vantaggio di tutti i settori della società e dell’economia, dai trasporti all’industria, fino a quello meno scontato della produzione agricola. Negli ultimi anni, il potenziale geotermico ha favorito lo sviluppo di un nuovo tipo di agricoltura, volta a garantire un minimo di sovranità alimentare in un territorio non proprio baciato da un clima temperato.

Andri Björn Gunnarsson ricorda spesso quella serata del 2016 quando cenando con amici in un ristorante di Reykjavik ha avuto l’idea che gli avrebbe cambiato la vita: produrre insalata in Islanda. All’inizio i suoi commensali lo hanno preso per folle. «Coltivare ortaggi in questo paese dal clima estremo, con inverni senza luce e il suolo gelido, sembrava un azzardo. Ma io mi sono chiesto: perché non usare la tecnologia per far crescere prodotti agricoli di alta qualità tutto l’anno in un modo sostenibile e rispettoso dell’ambiente?»

Detto fatto, Gunnarsson ha fondato Vaxa, il primo impianto di serre ad agricoltura verticale. I video che presenta sul sito sono fantascientifici: le colture sono organizzate su diversi piani, minimizzando l’uso di terra, acqua ed energia. «Abbiamo sviluppato un’agricoltura totalmente indipendente dai fattori esterni: possiamo produrre dodici mesi l’anno», sostiene l’imprenditore, la cui azienda ha conosciuto un vero e proprio boom in soli due anni d’attività.

Se Vaxa è (per il momento) l’unico esempio di agricoltura verticale in Islanda, le serre sono invece ormai un elemento quasi caratteristico del paesaggio. Ci sono diversi produttori di pomodori, cetrioli, insalate e vari ortaggi che sempre più stanno sfruttando il potenziale geotermico e la sensibilità ecologica dei consumatori per proporre prodotti locali. I pomodori coltivati nelle grandi serre di Fridheimar, a un centinaio di chilometri dalla capitale, sono diventati un’attrattiva turistica, con un ristorante che produce solo piatti derivati dal rosso frutto locale - così alla moda che è impossibile accedervi senza prenotazione.

A Hveragerdi c’è persino una coltivazione di banane: messa in piedi dall’Università per scopi di ricerca, è comunque una delle piantagioni più grandi d’Europa. Con il suo nuovo corso, l’Islanda vuole ergersi a esempio planetario per un nuovo modello di sviluppo, basato al 100 per cento sulle energie rinnovabili, sull’accorciamento delle filiere produttive e quanto più possibile sulle produzioni locali.

Certo, l’isola ha poco più di 350mila abitanti (la stessa popolazione di Bologna) e una disponibilità di energia virtualmente illimitata grazie alla geotermia. Ma è anche uno dei luoghi dove gli effetti del cambiamento climatico si mostrano in modo più evidente, spronando maggiormente all’azione i suoi abitanti. Come ricorda la placca in onore del ghiacciaio defunto, «sappiamo cosa sta accadendo e cosa bisogna fare». Con la speranza che un visitatore futuro possa salire in cima al vulcano Ok e congratularsi mentalmente con i suoi antenati che in quel lontano 2019 hanno eretto la lapide indicando al mondo la via per fronteggiare gli sconquassi dei cambiamenti climatici.

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