«Come sarà la Terra fra trent’anni? Cari giovani, ci dispiace lasciarvi in questo casino»

Il futuro del pianeta dipenderà dalle azioni che verranno intraprese nel lasso di tempo che impiega un bambino nato oggi a diventare adulto. Le riflessioni della giornalista statunitense su “Terra fragile”

Come sarà la Terra fra trent’anni? Purtroppo buona parte del suo futuro è già stata scritta. L’inerzia dei sistemi climatici fa sì che a un aumento del livello di CO2 non corrisponda un effetto immediato. Ma a prescindere da ciò che avverrà nei prossimi decenni, possiamo stare certi che i ghiacciai e le calotte polari continueranno a sciogliersi a un ritmo che va di pari passo con l’aumento delle temperature e l’innalzamento dei mari.

Lasciamo decidere alla sensibilità di ognuno se tale prospettiva debba rincuorarci o avvilirci, ma sta di fatto che il futuro del pianeta dipenderà dalle azioni che verranno intraprese nel lasso di tempo che impiega un bambino nato oggi a diventare adulto. Ciò che per gli esperti rappresenta una pericolosa interferenza antropogenica con i sistemi climatici, e che noi chiamiamo banalmente catastrofe, non è altro che un aumento della temperatura del pianeta; un aumento, però, talmente significativo da determinare la scomparsa di alcune nazioni (come le Isole Marshall e le Maldive) e la distruzione di interi ecosistemi (come la barriera corallina.) Secondo un altissimo numero di studi scientifici, sarà sufficiente un incremento di 2° C (3,6 °F) perché tali scenari si verifichino. Un numero inferiore ma non meno importante di studi ritiene invece che basti un aumento di 1,5° C (2,7°F). Se il livello di emissioni si dovesse mantenere costante, raggiungeremo il valore soglia di 1,5° C entro il prossimo decennio. Drew Shindell, esperto di scienze dell’atmosfera della Duke University, ha dichiarato ai cronisti di Science: «Una volta avremmo detto che restava poco tempo per cambiare rotta. Ora non più: è già successo».

Ma di quanto caldo stiamo parlando, esattamente? Esistono diversi elementi d’incertezza, sia a livello geopolitico che a livello geofisico. Ma volendo semplificare, possiamo immaginare tre scenari. Nel primo, che chiameremo “cielo azzurro”, il mondo smetterà finalmente di “girarci attorno” e adotterà misure più o meno immediate per ridurre le emissioni. Negli Stati Uniti i sostenitori del cosiddetto Green New Deal hanno proposto un piano di mobilitazione decennale per arrivare a soddisfare il 100 per cento del fabbisogno energetico della nazione attraverso fonti di energia pulita, rinnovabile e a zero emissioni. Un progetto estremamente ambizioso, ma non per questo irrealizzabile. Un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (i.e.a.) dichiara che l’impiego massiccio di turbine off-shore consentirebbe agli Stati Uniti di coprire il doppio del proprio fabbisogno energetico usando tecnologie già disponibili, e secondo alcune stime (dichiaratamente faziose) la transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili creerebbe decine di milioni di nuovi posti di lavoro. Per ridurre le emissioni a livello globale, invece, servirebbe uno sforzo davvero enorme. I leader di molte nazioni in via di sviluppo si sono già lamentati di quanto sia ingiusto pretendere che abbandonino i combustibili fossili quando le altre nazioni hanno già oltrepassato ogni limite immaginabile. L’attuale consumo energetico dell’India, che presto supererà la Cina per numero di abitanti, è sostenuto per tre quarti da centrali a carbone, una percentuale che è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. Tuttavia, non è così impossibile immaginare che le emissioni a livello globale raggiungeranno il loro picco entro dieci anni. Se ciò dovesse accadere, potremmo riuscire a mantenere l’innalzamento delle temperature al di sotto della soglia dei 2°C. Nel 2050 il nostro pianeta sarebbe comunque più. caldo, ma almeno vivremmo in un mondo meno inquinato, libero dallo scacco dei magnati del petrolio e, verosimilmente, anche più giusto. Come afferma il docente della School of Forestry and Environmental Studies dell’Università di Yale, Narasimha Rao, in un articolo apparso sul New York Times, è difficile credere di poter abbattere le emissioni di CO2 a livello globale senza sollevare la questione dell’equità.

L’alternativa è lasciare che le emissioni continuino a crescere fino alla metà del secolo, assieme alle disparità tra nazioni. In questo secondo scenario un incremento della temperatura globale di 2°C entro il 2050 sarebbe praticamente garantito. I paesi industrializzati avranno eretto barriere per combattere le mareggiate e recintato i confini per impedire l’accesso ai profughi. Potrebbero aver persino iniziato a climatizzare gli spazi aperti. Le nazioni in via di sviluppo, invece, resterebbero in balia del proprio destino. 

Nel terzo e ultimo scenario il riscaldamento globale potrebbe causare entro il 2050 un conflitto mondiale che investirà. Sia le nazioni ricche sia quelle povere. Anche ciò, a ben guardare, sta già accadendo. Un consistente numero di studi ritiene che tra le diverse cause della guerra in Siria vi sia anche la grave siccità che ha spinto milioni di persone ad abbandonare i propri villaggi. Nei paesi del Corno d’Africa e in altre regioni del mondo, caratterizzate da elevata instabilità, si assiste a una crisi idrica resa ancora più grave dal cambiamento climatico. Michael Klare, esperto di competizione per le risorse e docente all’Hampshire College, ha scritto che i cambiamenti climatici minacciano quantomeno la stabilità dell’ordine politico mondiale e il funzionamento delle reti del commercio internazionale su cui si basa la ricchezza americana.

Qualche anno fa ho intervistato James Hansen per un progetto filmato al quale stavo lavorando. Hansen ha lasciato la Nasa nel 2013, ma non ha mai smesso di esprimersi sul tema del cambiamento climatico, finendo anche in carcere per aver partecipato a una dimostrazione contro l’oleodotto Keystone XL. Era fermamente convinto che il mondo non ce l’avrebbe fatta. Quando gli ho chiesto se aveva un messaggio per i più giovani, la sua risposta è stata: Mi dispiace dovervi lasciare in questo casino».

Dalla postfazione a “Terra fragile” @2021 Neri Pozza Editore

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