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Politica
dicembre, 2021

Sei mosse da fare ora per arrivare a un Pd digitale

Un esalogo operativo per scongelare l’organizzazione dei movimenti di centrosinistra in Italia

Caro Direttore,

colgo l’occasione della cortese replica di Stefano Vaccari per provare a tradurre in un esalogo - quasi - operativo la nostra conversazione di qualche settimana fa sul tuo giornale, sul rapporto tra Pd e digitale. Nella speranza che aiuti a scongelare il mammut ottocentesco che ha imbalsamato l’organizzazione della sinistra in Italia, e in Europa.

 

1. Cambiarsi dentro Sappiamo bene come funzionano oggi i partiti. E la forza di autoconservazione che sprigionano. Se mai ci sarà una svolta che li porti nel ventunesimo secolo, non potrà nascere salvaguardando gli organigrammi attuali.

2. Chiamare a raccolta i barbari Nella galassia democratica il digitale è già nel Dna di decine di migliaia di iscritti, militanti, simpatizzanti. Ma occorre un segnale credibile e una corsia preferenziale di accesso. Non l’ennesima piattaforma di facciata.

3. Cyberelite Senza una cabina di regia motivata e ultraqualificata non si va da nessuna parte. Elly Schlein ha vissuto di persona - a vent’anni! - le due campagne presidenziali di Obama, il salto di qualità informatica tra il 2008 e il 2012, il mix esplosivo tra volontari e digitale che ha portato Barack alla Casa Bianca. E ha imparato così bene la lezione da fare il pieno di preferenze in Emilia. Chi sono i Magnifici Sette con il suo stesso eccezionale pedigree?

 

4. Fundraising Il digitale può costare poco. Ma solo nella fase di ingresso in un mercato ancora vergine. Rousseau e la Bestia hanno richiesto investimenti ridicoli rispetto ai consensi - e al potere - che hanno prodotto. Per iniziare serve ancora poco, ma imparando a raccogliere molto. Presto il gioco si farà duro. Il primo passo è una campagna nazionale di crowdfunding con uno slogan che scaldi i cuori, e le Paypal.

5. Illuminismo digitale Il macigno, il convitato di pietra, il tabù che impedisce alla sinistra di affrontare questa trasformazione è il suo veteroumanesimo. L’idea che il digitale sia altro dall’umano che è in noi. Al più uno strumento al servizio della nostra vera natura, il faccia a faccia nei circoli (pazienza se quando uno parla, gli altri guardano il cellulare), i ravioli alle feste di partito, il popolo che continuiamo a evocare malgrado esista solo il populismo. Invece, da almeno quindici anni, il digitale si è umanizzato. È diventato parte integrante del nostro vissuto quotidiano. Basta leggere un libro di Floridi, invece di limitarsi ad invitarlo a qualche convegno.

6. Leggere, leggere, leggere C’è un ricchissimo catalogo di libri, articoli, ricerche che scandagliano come la politica - leader, organizzazioni, militanti - sta cambiando nel nostro mondo sempre più digitalizzato. La Rivista di Digital Politics ne offre, ad accesso libero, uno spaccato aggiornato, certo non esaustivo. Basta un po’ di curiosità - e di passione - per esplorare questo nuovo universo culturale in espansione. Magari approfittando delle opportunità di formazione online delle migliori piattaforme Mooc (invece di perseverare con le finte scuole di partito, che servono solo come passerella ai notabili). Una call to action del partito per una «rivoluzione culturale digitale» è a costo zero, e può avere un impatto straordinario. Ma a condizione di fare sul serio. A cominciare dal buon esempio. Al vertice.

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9/11/2021

Bottom line All’inizio degli anni Ottanta, la Cina era uno dei paesi più poveri e arretrati del pianeta. Come ha fatto ad imboccare la strada che, in un trentennio, l’ha portata a dominare l’economia e la geopolitica globale? In un recente bellissimo libro, una studiosa americana, Isabella Weber, racconta il drammatico fermento di discussioni e sperimentazioni che impegnò l’élite del partito che dovette scegliere «che fare» per uscire dal sottosviluppo. In gioco c’erano le vite di centinaia di migliaia di persone, e le sofferenze di milioni se la strada imboccata si fosse rivelata sbagliata. Fra i passaggi decisivi, ci furono alcuni viaggi all’estero, per toccare con mano le ricette, e assumersi la responsabilità di valutarle. Marx a Detroit titolava un celebre poscritto di Mario Tronti in “Operai e capitale”. E se - più modestamente - qualcuno dal Nazareno facesse un soggiorno di studio al quartier generale dei Democratici a Washington?

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