Dalla Basilicata alla Sicilia, sull’onda della pandemia si moltiplicano i Comuni che incentivano chi si trasferisce e lavora da remoto. Banda ultralarga, affitti scontati, buoni acquisto. E i borghi si ripopolano

Il computer con i dati sullo schermo ha sempre lo stesso colore, a cambiare è lo sfondo. Se prima infatti c’era il calendario bianco e rosso e la lavagnetta con su scritto le cose da fare durante la settimana, adesso la cognizione del tempo si è persa. Davanti infatti c’è soltanto quell’agglomerato di case a piramide sulla montagna, che sembra una cartolina, immerso nel verde degli appennini lucani, a ridosso del castello normanno.

A Calvello negli ultimi 100 anni i residenti si sono dimezzati, in molti hanno preso le tortuose strade delle montagne lucane per non tornare più. Poi è arrivato il Covid-19: «Da quel momento abbiamo studiato diverse iniziative per far tornare i nostri giovani, i nostri studenti e anche coloro che non sono mai stati a Calvello», dice Maria Anna Falvella, giovane sindaca che vive con la sua famiglia e i suoi cinque figli nel piccolo paese arroccato sulla montagna potentina. Falvella ha l’ansia di chi non vuole perdere l’occasione di fare sempre di più, pur avendo fatto già tanto in questi due ultimi anni: «Per prima cosa abbiamo installato la banda ultralarga in tutto il paese, rendendola disponibile anche a chi non ha installato internet a casa e doveva collegarsi con il cellulare, aiutando le famiglie numerose alle prese con la didattica a distanza».

 

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Con la banda ultra larga Milano non è poi così lontana e già molti che lavoravano nella grande metropoli sono tornati, allettati, oltre che dall’aria di montagna, anche dalle iniziative del Comune: «Per chi affitta una casa per almeno tre mesi riconosciamo il 30 per cento di credito da spendere nei negozi e nelle botteghe artigiane del paese», prosegue la sindaca. Una iniziativa che si allargherà ancora per chi compra le case disabitate del centro storico: per loro, grazie al bando Itaca, una parte di quello che verrà speso ritornerà in buoni acquisto da spendere nel paese, magari per comprare il celebre caciocavallo o i peperoni. «È un’occasione per rivitalizzare il paese. Adesso però la politica non deve fare passi indietro e far tornare tutto come prima, ma credo che questo cambiamento non verrà fermato», aggiunge la sindaca.

E così, sull’onda della pandemia, si diffonde a macchia d’olio lo smart working, che declinato al sud diventa “South Working”. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Svimez, 45 mila dipendenti che lavoravano al Nord sono tornati nei paesi del Sud per continuare a lavorare dai piccoli borghi. Tra i benefici c’è il costo della vita: dal caffè alla spesa, fino alla palestra e agli spostamenti, chi lavora dal Sud riesce anche a vivere con poco, spesso lavorando in spazi comuni o in case che vengono affittate, tra Calabria e Sicilia, anche a 300 euro, a differenza della media di Roma e Milano che supera i 700 euro.

«Io lavoro da sei mesi in smart working: pochi mesi fa sono diventato padre e per un’altra casa abbastanza spaziosa a Milano devo pagare più di 900 euro, soldi che letteralmente strappo ogni mese», dice Enrico, trentenne, ingegnere informatico siciliano che per tutta l’estate vedeva il mare della Porto Empedocle di Camilleri da sopra il suo pc, un mare che poteva assaporare dopo l’orario d’ufficio. «A me piacerebbe rimanere qui e poter lavorare dalla Sicilia, risparmierei anche sulla spesa, a Milano è tutto raddoppiato, devo pagare i caselli, certo ci sono più servizi ma la vita costa tantissimo».

La voglia di Sud che ha portato nei giovani a scegliere di tornare “giù” per lavorare (l’85 per cento, secondo Svimez, vorrebbe continuare a svolgere il proprio impiego da casa) ha innescato una miccia che in alcuni comuni si è tradotta con l’introduzione di benefici per evitare lo spopolamento, considerando che ai primi posti per emigrazione all’estero o al Nord ci sono le province della Sicilia e della Calabria.

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Proprio in quest’ultima regione Giampietro Coppola, sindaco di Altomonte, nel cosentino, ha pensato a dei benefici per coloro che tornano a casa e ha creato un bando per riportare i giovani nei borghi. Tra gli 800 e i mille euro per tre anni agli under 40 che decidono di intraprendere un’attività commerciale in una decina di paesi sotto i 2mila abitanti.

Dall’Aspromonte alle Madonie, in Sicilia, un piccolo paese come Isnello, tra il verde e l’aria pura delle montagne palermitane, il south working si svolge a stretto contatto con le stelle. «Il centro astronomico è diventato il punto di riferimento, abbiamo passato la fibra anche nella parte alta del nostro territorio, nelle montagne che arrivano fino all’osservatorio al fine di ripopolare la zona di Piano battaglia, dove adesso si può lavorare senza problemi», dice il giovane avvocato sindaco di Isnello, un paese che sulla carta oggi conta quasi 1.500 persone, ma che rischia di rimanere vuoto: «Alcuni dopo i primi interventi sono già tornati, sia per lavorare che per studiare, abbiamo messo a disposizione biblioteche e organizziamo incontri per far conoscere il nostro paese e far comprendere i benefici per lavorare qui. Poi abbiamo firmato protocolli di intesa con città come Palermo per fare in modo che anche coloro che lavorano nel capoluogo riescano a rimanere nella nostra cittadina».

L’intenzione del sindaco è quella di far rivivere anche il centro storico attraverso agevolazioni a chi decide di comprare le vecchie case che rischiano di crollare perché abbandonate: «Le abitazioni del centro, ormai rimaste vuote, possono essere acquistate a prezzi modici. Adesso stiamo ancora lavorando per pensare nuovi incentivi al fine di creare un ritorno in massa. La politica però ci deve aiutare e non si deve tornare indietro dopo che un processo culturale è stato avviato».

Poco più distante, vicino al mare palermitano c’è un altro paese, Castelbuono, che fa parte della rete creata da alcuni giovani, per unire i vari paesi e portare avanti l’idea del “lavoro da Sud” anche dopo la pandemia, incentivando i lavoratori a tornare a casa. Nel piccolo paese palermitano è stato firmato il protocollo con l’associazione “South Working - lavorare dal sud” al fine di agevolare e dare vantaggi a chi decide di tornare a casa per lavorare tra mare e montagna, riuscendo a far riscoprire il paese agli stessi cittadini, creando postazioni di lavoro tra i vari musei della cittadina, il museo civico e quello naturalistico, oltre al centro commerciale naturale.

Chi decide di sposare il “patto del ritorno al Sud” avrà agevolazioni per le pause pranzo, sconti del 20 per cento per gli alloggi nelle strutture convenzionate e altri benefici. Se il concetto di “South Working” sembra però astratto, c’è chi i dogmi di questo nuovo processo culturale li ha scritti su un foglio nel suo viaggio di ritorno a casa, fondando e registrando l’associazione (e coniando l’espressione) “South Working - lavorare dal Sud” che ogni giorno raccoglie sempre più sostenitori e che in un anno ha creato decine di presìdi in tutta Italia: «Sì perché il south working non è un concetto che deve essere applicato soltanto al Sud, ma a tutti i “Sud” di Italia, anche le periferie e nei piccoli borghi a rischio spopolamento».

 

L’idea di Elena Militello, fondatrice e presidente dell’associazione, è quella di poter creare una comunità di persone che condividono lo stesso obiettivo: cambiare la narrazione del Sud. «Quando è scoppiata la pandemia ero in Lussemburgo. Nel viaggio di ritorno, durato tre giorni, ho messo su carta il progetto, poi diventato realtà», racconta l’avvocatessa e ricercatrice 27enne che ha girato il mondo ma con la nostalgia della sua Palermo. «Avevo sperimentato negli Usa e in Germania il lavoro da remoto ed era l’occasione per avviarlo in Italia, così sono tornata decisa a lavorare dalla mia terra, dopo essere andata via a 17 anni». Elena però non voleva tornare per fare un altro lavoro, voleva continuare a fare quello che aveva sempre fatto rispettando le sue aspettative e le sue ambizioni. Però bisognava trovare anche una chiave per coinvolgere anche i Comuni: «Con l’aiuto di Fondazione con il Sud abbiamo chiuso protocolli d’intesa con diversi Comuni che mettono a disposizione gli spazi per far lavorare le persone dalle città e dai borghi del Sud», aggiunge.

Da questa idea nascono riduzioni e agevolazioni per i “south-worker” che scelgono di lavorare con vista sul mare o nei piccoli paesi ai primi posti per emigrazione, portando anche la popolazione a riscoprire le bellezze del proprio territorio.

Come a Castelbuono, dove i lavoratori hanno a disposizione gli spazi del maestoso castello Ventimiglia, oppure a Santo Stefano di Camastra, nel Palermitano, dove è il museo civico a diventare sede per accendere i computer in contatto con la aziende del nord, con l’odore della storia siciliana ad addolcire le giornate di lavoro. Così dove prima c’erano i reali, tra dipinti e drappi, adesso siedono giovani che vogliono cambiare la storia della Sicilia: «Un tempo pensavamo di andare via e attendere che arrivassero i servizi per farci tornare», conclude Elena: «Adesso abbiamo compreso che dobbiamo essere noi a cambiare le cose, ritornando».