Benedetto dal governatore della Lega un nuovo test anti-covid promette una risposta in 10 minuti e affidabilità come il molecolare. Big sponsor è il superesperto Rigoli già socio del distributore italiano. Ma non mancano i dubbi degli esperti

In Italia è partita la corsa al tampone dei miracoli, un affare da milioni di euro. Un test veloce, con risposta in dieci minuti, che avrebbe la stessa sensibilità, e quindi la stessa sicurezza sul risultato, di un tampone molecolare. Il nome magico di questo esame è «test a immunofluorescenza con lettura in microfluidica». E a sostenere che sia affidabile come il molecolare è il ministero della Salute, con una circolare che accredita questa equiparazione con una semplice locuzione: «Sembrano mostrare risultati sovrapponibili». Il tutto basandosi su un parere dell’Associazione microbiologi italiani, che a sua volta poggia su studi in parte sostenuti da chi questi test li produce. Su tutte, una sola azienda, un colosso inglese nel settore sanitario che in Italia ha come braccio operativo una società veneta che in questi mesi di seconda ondata si è aggiudicata appalti dalle Regioni per più di 28 milioni di euro. Un intreccio di storie, pareri, circolari, sperimentazioni che parte dal Veneto, arriva a Roma e adesso si dispiega in tutto il Paese, con le Regioni invitate di fatto dai funzionari del ministero ad acquistare questo test rapido di nuova generazione. Il la ai mega appalti per l’esame a immunofluorescenza lo ha dato il Veneto di Luca Zaia grazie al superesperto scelto dopo la rottura con il professor Andrea Crisanti, l’ingombrante «padre» del modello Veneto ormai dimenticato dai vertici regionali. Il nuovo spin doctor di Zaia è un medico di Treviso, Roberto Rigoli, primario microbiologo dell’ospedale cittadino. Che è anche vicepresidente proprio dell’Associazione microbiologi italiani. Adesso, però, dopo la circolare del ministero, c’è chi pone più di un dubbio sulla reale equiparazione dei due test, e alcune Regioni si rifiutano di fare acquisti senza un chiaro e adeguato supporto scientifico: in ballo c’è l’efficacia del test e quindi del controllo dell’epidemia, ma anche gli appalti da decine e decine di milioni di euro banditi o già conclusi dalle Regioni.

 

ZAIA E IL MUSK DEL NORDEST
Il lancio in grande stile dei tamponi a immunofluorescenza si tiene il 2 ottobre scorso durante una conferenza stampa del governatore del Veneto Luca Zaia, ospite il dottore Rigoli, che il governatore ha soprannominato «l’Elon Musk del Nordest» paragonandolo al visionario fondatore di Tesla. Il ruolo chiave che gli ha assegnato Zaia è quello di «coordinatore delle unità operative di microbiologia del Veneto». Lui, «l’uomo dei tamponi rapidi», quel giorno siede sorridente alla destra del governatore leghista in qualità di pioniere e innovatore della diagnostica sul Covid-19. Rigoli è il medico che ha introdotto in Italia, dopo averli sperimentati in Veneto, i test rapidi antigenici. A sottoporsi al tampone di prova, davanti ai giornalisti, è Zaia in persona. In pochi minuti riceverà il risultato grazie al dispositivo della ditta Lumiradx, una delle aziende che in quel momento era in corsa per l’aggiudicazione di un appalto da 148 milioni che vedeva coinvolte il Veneto e altre sei Regioni: quel 2 ottobre la procedura di gara era ancora aperta ma tutte le telecamere finiscono per inquadrare solo lo strumento venduto in Italia dal braccio operativo dell’azienda inglese, la Biomedical Service con sede a Scorzè, in provincia di Venezia. Tre giorni dopo quella dimostrazione Rigoli, in qualità di coordinatore delle microbiologie del Veneto, partecipa alla seduta riservata del seggio di gara per «verificare l’idoneità delle offerte tecniche» presentate dalle ditte concorrenti. In una riunione successiva della commissione, il 12 ottobre, Rigoli, con un parere, propone tra l’altro di comprare i test dagli operatori «in grado di garantire consegne in tempistiche ricomprese entro 7 giorni». Alla fine ad aggiudicarsi la commessa più importante, nel lotto relativo ai test rapidi con strumentazione di lettura, è la Biomedical Service a cui vengono assegnati ordinativi per 4,5 milioni di euro, a cui si aggiungeranno poi altri 2,3 milioni in una fase successiva. Il 18 novembre scorso, mentre in Veneto e nel resto d’Italia esplodono i contagi e i morti per coronavirus, le Regioni indicono un secondo appalto da 257 milioni per acquistare test rapidi: e Biomedical Service si aggiudica anche in questo caso grosse commesse fino a superare complessivamente l’importo di 28 milioni di euro.

 

Il direttore del dipartimento di Protezione del ministero della Salute Gianni Rezza e il presidente dell'istituto Superiore di Sanità  Silvio Brusaferro. Roma, 20 Novembre 2020


VECCHIE CONOSCENZE
Di certo c’è che sono poche le aziende oggi in grado di produrre e commercializzare questi nuovi test. E la definizione letterale di «immunofluorescenza microfluidica» per i suoi prodotti è una delle prerogative della multinazionale inglese Lumiradx, società fondata da Ron Zwanziger e da un gruppo di manager esperti in diagnostica rapida che gravitavano intorno alla galassia della farmaceutica Abbott. Presidente e amministratore delegato della filiale italiana di Lumiradx, la Biomedical Service, è l’imprenditore veneziano Eddo Vanin. Un manager esperto in commercializzazione di prodotti medicali che è stato per un decennio, fino al 2018, a capo della divisione test rapidi della Abbott in Italia, la Abbott Rapid Diagnostics.
Vanin è un ex socio del microbiologo Rigoli proprio nella Biomedical Service: il medico trevigiano è stato accomandante (un socio senza poteri di gestione che partecipa però agli utili dell’azienda) di Biomedical Service Sas fino al gennaio del 1988. Poi le loro strade si sono separate: Vanin ha proseguito la carriera imprenditoriale, Rigoli invece è diventato medico dell’Ulss di Treviso e ha ceduto la sua quota ad altre persone. L’emergenza Covid-19 però oggi li vede di nuovo fianco a fianco, ciascuno nel suo ruolo: l’imprenditore e il medico pubblico. Prima sul fronte dei tamponi molecolari: è la stessa Biomedical sul suo sito a spiegare di aver «messo a punto un sistema automatizzato» per implementare i tamponi molecolari per il Covid-19 «in collaborazione con l’unità operativa complessa di microbiologia dell’Ulss 2 Marca Trevigiana», diretta da Rigoli. Poi nel campo dei test rapidi di nuova generazione.
Rigoli si dice sereno e aperto alla massima trasparenza: «Io conosco i rappresentanti di tutte le ditte», dice all’Espresso. «Vanin è stato in classe con me alle superiori. Quando eravamo studenti abbiamo lavorato insieme, poi ognuno ha preso la sua strada. Lo conosco ma ho cercato sempre di essere corretto. Abbiamo lavorato insieme nella Biomedical Service negli anni ’80, poi io ho deciso di dedicarmi completamente a fare il medico. Il 25 gennaio 1988 ho intrapreso la carriera ospedaliera e venduto le quote».

Personale sanitario effettua  tamponi rapidi a Linate 


Sulla conferenza del 2 ottobre e l’utilizzo del macchinario della Lumiradx a gara ancora in corso Rigoli precisa: «Abbiamo portato da Zaia anche i dispositivi delle altre ditte in gara. Ma il macchinario di Menarini non si poteva trasportare perché era troppo grosso e il dispositivo di Arrow aveva bisogno di essere attaccato alla corrente, dunque non lo abbiamo acceso. Il Lumiradx va invece a batterie. Io comunque non sono in commissione di gara, ho partecipato all’organizzazione mettendo i parametri riportati dall’Istituto superiore di sanità, ma non ho assegnato il punteggio».

 

Il direttore del dipartimento di Medicina molecolare e virologica dell'Università di Padova, Andrea Crisanti


DAL VENETO A ROMA
Ai test di «terza generazione» lanciati dal Veneto crede all’inizio dell’anno anche il ministero della Salute. L’8 gennaio il direttore del dipartimento Prevenzione, Giovanni Rezza, firma una circolare nella quale di fatto consiglia l’utilizzo di questo nuovo tipo di test rapido: «I test di ultima generazione a immunofluorescenza con lettura in microfluidica», si legge nella circolare, «sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai saggi di Rt-Pcr (i tamponi molecolari, ndr)». A sostegno di questa tesi, Rezza cita il passaggio letterale del documento licenziato il 4 gennaio 2021 dell’Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli): «Indicazioni operative su quesiti frequenti alla diagnosi molecolare». Un parere recepito dal ministero in tempi record, appena quattro giorni dopo. Nel dettaglio l’associazione dei microbiologi di cui Rigoli è vicepresidente fa riferimento a due studi: «Drain e altri» del 2020 e una pubblicazione sull’Ecdc del novembre scorso. Il primo è una ricerca proprio sul kit della Lumiradx, anche se in fondo al testo si legge: «This work was supported by Lumiradx Ltd». Il secondo studio parla in generale di restrizioni sui test antigenici. Rezza spiega così la circolare: «È stato un compromesso tra il nostro gold standard, il molecolare, e la direzione presa dalle Regioni che fanno molti test antigenici. E poi ci siamo basati su quel parere dell’Amcli. Ora abbiamo intenzione di aggiornare la circolare coinvolgendo per un parere diverse società scientifiche».

I DUBBI DI ESPERTI E REGIONI
Alcune Regioni non hanno voluto acquistare i nuovi test rapidi. Francesca Di Gaudio, responsabile del Centro regionale qualità laboratori della Sicilia e docente di Biochimica all’Università di Palermo dice: «Non abbiamo acquistato i kit di nuova generazione in quanto questa dicitura “microfluidica” dettata dalla circolare ministeriale è posseduta da un’unica ditta che è Lumiradx, che la vende ad un prezzo molto elevato rispetto ad altro materiale sempre in immunofluorescenza. L’ultima aggiudicazione in Sicilia di un test simile è stata fatta a 3 euro, mentre il prodotto Lumiradx costa 15 euro». Nel frattempo anche gli esperti avanzano dubbi sull’equiparazione di tamponi molecolari e dei rapidi a immunofluorescenza: «Non c’è alcuna evidenza scientifica in merito, gli studi a supporto non ci sono ancora o quanto meno non sono pubblicati, trovo singolare che il ministero in base ad un parere di una associazione abbia diramato quella circolare», dice il professore Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di microbiologia e virologia dell’ospedale-università di Padova. «Chiedete al professore Francesco Broccolo se questi test sono efficaci o meno», ribatte Rigoli. Il virologo Broccolo lo scorso 11 gennaio rilascia una intervista all’Ansa proprio sulla circolare del ministero: «I test a immunofluorescenza con lettura in microfluidica hanno una sensibilità di poco inferiore, circa 5-10 volte, al tampone, ma il limite è che questi test cercano l’antigene legato al Covid-19 e sappiamo che la nuova variante ha mutazioni e rischiamo di avere problemi con falsi negativi. In pratica un test del genere sarebbe andato bene in febbraio-aprile, ma adesso rischia di non essere affidabile, andrebbe continuamente modificato per rilevare anche le nuove mutazioni». Ma la macchina partita ad ottobre in Veneto è ormai lanciata in tutto il Paese. Appalti per milioni di euro sono stati già aggiudicati e altri, per altrettanti milioni e milioni di euro, lo saranno a breve.