Al calcio italiano piacciono le bandiere, soprattutto se restano sul pennone. Il caso di Marco Tardelli conferma le abitudini. Lunedì si terrà l'assemblea dei delegati per votare il presidente della Federcalcio. Gabriele Gravina per il secondo mandato, Cosimo Sibilia per la prima rivincita: la competizione è la solita baraonda. In confronto la politica, narcotizzata dal governo del tutti aggrappati a uno, è un ritrovo di impettiti scacchisti.
Gravina e Sibilia erano amici, anzi di più: alleati per strappare il pallone dal controllo del Coni di Giovanni Malagò. Si erano accordati per una staffetta: cominci tu, Gabriele, e finisco io. Figlio di don Antonio, il patron dell’Avellino ai tempi della serie A, il deputato forzista Sibilia è irpino – come Ciriaco De Mita che fu fregato da Bettino Craxi – e dovrebbe sapere che le staffette si promettono e non si praticano. Tardelli c’entra perché stava per scendere dal pennone e irrompere nelle istituzioni del calcio. Non l’ha fatto. E quello che poteva accadere non è accaduto.
Il campione del mondo di Spagna ’82 voleva candidarsi per la presidenza dell’Associazione nazionale dei calciatori (Aic), una sorta di sindacato che fu fondato mezzo secolo fa da un gruppo di fuoriclasse come Gianni Rivera e Sandro Mazzola, altri due che si intendono di staffette complesse.
Gabriele Gravina
Il 29 giugno, nel giorno del congedo di Damiano Tommasi, già sostenitore di Gravina, Tardelli si definisce un “aspirante successore”. Non per completare l’opera di Tommasi, per quello si propone Umberto Calcagno, un giocatore che fu protagonista di una promozione in C1 del Martina Franca, ma per ricostruire daccapo. In Figc si agitano subito perché l’Aic, per il sistema elettorale federale, vale il 20 per cento e con il 20 per cento Gravina non ha più la maggioranza assicurata. Sibilia è il capo della Lega Dilettanti, detiene più o meno il 30 per cento dei consensi e può tentare un patto con l’Aic per sé o almeno contro Gravina. Due cose che gli danno una simile soddisfazione. Tardelli si rimette a centrocampo e può scegliere tra l’uno o l’altro oppure spingere la Federcalcio verso soluzioni diverse: è una variabile, non prevedibile, perciò pericolosa.
La pandemia posticipa i programmi. I calciatori devono nominare il presidente in autunno inoltrato. Viene fissata la data del 30 novembre. Sta per arrivare settembre, Tardelli riflette, è tentato, però è un tipo cauto, deve tutelare quell’immagine, l’urlo del Bernabeu con gli occhi increduli di un ragazzo, quel calcio già colorato ma con emozioni sincere, si esamina con la famiglia, con gli ex compagni di squadra, con l’amico Francesco Boccia, allora ministro dem agli Affari regionali. Ha una carriera televisiva. Collabora con il servizio pubblico Rai da trent’anni. Chissà, in Ferdercalcio sono pronti ad argomentare: caro Marco, non puoi stare di qua e di là.
Poi Tardelli riceve una telefonata di Auro Bulbarelli, direttore di Rai Sport: non puoi lavorare per la Domenica Sportiva se ti presenti per l’Associazione nazionale calciatori. Bulbarelli smentisce “pressioni” dalla Federcalcio, la proverbiale “questione di opportunità” è roba sua, e concede a Tardelli una settimana per pensarci. O di qua o di là. Jacopo Volpi, il conduttore della Domenica Sportiva, è rassegnato: Tardelli non torna più, la direzione ne è convinta. Il 2 settembre, imprecisati “ambienti calcistici”, fanno trapelare dalle agenzie di stampa che “Tardelli sarà il responsabile del nuovo centro tecnico della Figc che sorgerà sui terreni del Salaria Sport Village e quindi rinuncia alla candidatura alla presidenza dell’Aic”. Gli stessi “ambienti calcistici” ricordano che Gravina freme per il progetto che chiama la “casa delle Nazionali” con l’iniziale rigorosamente in maiuscolo. Tardelli stava ancora meditando, tant’è che la collaborazione pluriennale con la Figc verrà perfezionata due mesi dopo.
Carlo Sibilia
Confiscato all’imprenditore Diego Anemone, il Salaria Sport Village è gestito da una coppia di commissari nominati dall’Agenzia per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati. Come s’intuisce, il Salaria è amministrato da altri e non ancora destinato. Se lo contendono Roma Capitale e la Regione Lazio. Il sindaco Virginia Raggi è favorita rispetto al governatore Nicola Zingaretti, ma la burocrazia è in ritardo e richiede altri mesi – che coincidono con il voto a Roma – per assegnare il Salaria alla Figc in un modo ancora non chiaro. A oggi la “casa delle Nazionali” non esiste.
Il 30 novembre Calcagno vince senza avversarsi la gara per l’Aic, mentre Tardelli è ritornato, da metà settembre, puntuale, a svolgere l’incarico di opinionista a fianco di Volpi su Rai2. Il 23 dicembre l’Aic di Calcagno, che si schiera con Gravina, e la Figc del medesimo Gravina firmano una scrittura privata per rimpinguare il fondo calciatori di 1,25 milioni di euro nel 2020 e per rammentare che in aprile erano stati versati 750.000 euro alla nazionale di Roberto Mancini per la qualificazione ai campionati europei. Il 22 gennaio, a un mese dal duello Gravina-Sibilia, il comitato di presidenza della Figc fa un resoconto degli “ulteriori interventi in favore del sistema calcio” durante la pandemia: oltre ai 21,7 milioni già previsti, ne stanzia 6,5 per i “giovani”, 2 milioni ciascuno per la serie B, la lega Pro e i Dilettanti e 500.000 euro per il settore femminile. Gravina non delude nessuno. A proposito di bandiere, qualcuno ne alzi una bianca.