Secondo la Corte europea dei Diritti dell'Uomo Sofia non ha indagato. E risulta centrale il ruolo dell'associazione milanese Aibi nel creare «un'atmosfera di conflitto» che non ha favorito l'inchiesta
Le denunce di abusi trasmesse dalla magistratura italiana non andavano subito archiviate. Le agghiaccianti testimonianze di tre bambini, che avevano sofferto
violenze sessuali atroci insieme con altri coetanei in un orfanotrofio bulgaro, erano credibili e circostanziate. I piccoli avevano cominciato a confidarsi con gli psicologi incaricati dalla famiglia adottiva, dopo la loro adozione in Italia conclusa nel 2012 con l'intermediazione dell'associazione “Aibi – Amici dei bambini” di Milano. E avevano poi confermato le loro parole davanti al pubblico ministero di una Procura per i minorenni che, seguendo le procedure internazionali, aveva trasmesso gli atti a Sofia. Il fascicolo giudiziario raccontava di bimbi violentati anche da adulti, che in alcune occasioni avrebbero filmato le aggressioni.
Per questo il 2 febbraio la Grande Camera della Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha
condannato la Bulgaria, accogliendo l'impugnazione contro una prima decisione della Corte che aveva respinto il ricorso dei genitori adottivi. Secondo la maggioranza dei giudici, le autorità di Sofia «che non si sono avvalse delle indagini disponibili e dei meccanismi di cooperazione internazionale, non hanno assunto tutti i provvedimenti ragionevoli per far luce sul caso e non hanno svolto un'analisi completa e attenta delle prove consegnate loro. Le omissioni osservate», spiega una nota della Corte europea, «sono apparse sufficientemente gravi per ritenere che l'inchiesta svolta non sia stata efficace secondo le finalità dell'articolo 3 della Convenzione, interpretato alla luce delle altre disposizioni internazionali e in particolare della Convenzione di Lanzarote».
TRATTAMENTI INUMANI E DEGRADANTILa Bulgaria, secondo la Grande Camera, ha quindi violato la Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, che all'articolo 3 sancisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Tanto più se si tratta di minori che all'epoca avevano meno di dieci anni.
Lo Stato bulgaro dovrà quindi risarcire entro tre mesi con una somma complessiva di trentaseimila euro i tre bambini, assistiti dall'avvocato Francesco Mauceri.
I giudici, anche per la mancanza di indagini approfondite, non sostengono che le violenze denunciate siano effettivamente avvenute e che quindi vi sia stata una violazione della parte sostanziale dell'articolo 3. Stabiliscono invece che la Bulgaria ha violato la parte procedurale che avrebbe dovuto accertare l'eventuale violazione sostanziale dello stesso articolo. Un principio che riguarda gli Stati, ai quali però non deve sottrarsi la piena collaborazione delle associazioni di intermediazione che, nelle adozioni internazionali, operano su autorizzazione e in rappresentanza dei rispettivi governi.
LA TEORIA DETTATA DA MILANOTra le novantotto pagine delle motivazioni, il giudizio non appellabile della Grande Camera dedica interi paragrafi
alla condotta dell'associazione Aibi-Amici dei bambini, che ha sede a San Giuliano Milanese ed è sostenuta da famosi testimonial del mondo della politica, dello spettacolo e dello sport. «La conclusione della Grande Camera», annotano in un parere congiunto i giudici Turkovi?, Pinto de Albuquerque, Bošnjak e l'italiano Raffaele Sabato, «potrebbe essere integrata, secondo il nostro punto di vista, dalla considerazione che il ragionamento adottato dalle autorità giudiziarie bulgare e dall'Agenzia di Stato per la protezione dell'infanzia ha sostanzialmente ribadito la teoria anticipata dall'associazione che aveva agito come intermediaria per l'adozione».
«I rappresentanti di quell'associazione», spiegano i giudici riferendosi ad Aibi, «quando i genitori adottivi si sono rivolti a loro dopo la prima rivelazione degli abusi,
hanno cominciato a esprimere l'opinione che i genitori non fossero idonei ad adottare i bambini, sulla base del loro comportamento durante un incontro organizzato dall'associazione il 2 ottobre 2012. La Corte non ha potuto accertare se la relazione su questa riunione tra il personale dell'associazione, i genitori e i bambini fosse autentica, dato che... i ricorrenti hanno prodotto un rapporto di polizia che attesta che tre rappresentanti dell'associazione avevano dovuto fornire prova della loro firma, e riconosce che la relazione riporta tre firme diverse, tutte scritte dalla stessa mano».
LA RELAZIONE RITOCCATA«Inoltre», osservano i giudici della Grande Camera, «la relazione apparentemente mostrava discrepanze nel testo, sotto forma di aggiunte e cancellature, che la Corte non è stata in grado di verificare. Indipendentemente dal fatto che le autorità bulgare sapessero fin dall'inizio di questa presunta falsificazione, ci appare evidente che la contraffazione del documento è stata discussa dai ricorrenti innanzi la Grande Camera senza che il governo rispondesse sul punto. Questa circostanza, insieme con il fatto che l'associazione ha incontrato i rappresentanti delle varie autorità coinvolte... e ha redatto un rapporto molto critico sul resoconto dei genitori adottivi, trasmettendolo poi al Tribunale per i minorenni... testimonia il ruolo centrale svolto dall'associazione nel creare un'atmosfera di conflitto che non ha favorito l'avvio di indagini efficaci».
«La Corte» proseguono i giudici nella sentenza, facendo sempre riferimento ad Aibi, «si è inoltre rammaricata del fatto che
l'associazione che ha agito da intermediaria dell'adozione nei confronti delle autorità dello Stato convenuto, aveva inviato alla Corte una nota in cui esprimeva l'opinione che i genitori erano inadatti come genitori adottivi perché – secondo l'opinione dell'associazione – avevano innescato un processo di denuncia su abusi che non esistevano, con lo scopo di denigrare la procedura che aveva portato all'adozione. Il contenuto di questa decisione, a nostro parere, rafforza l'idea che le rivelazioni dei minori fossero credibili, e [quindi] l'approccio dell'associazione è stato ufficialmente respinto».
NON ERA SESSUALITA' PRECOCEL'orfanotrofio degli orrori era stato raccontato in un'inchiesta de L'Espresso e successivamente chiuso. L'associazione Aibi, che opera su autorizzazione del governo italiano, non ha risposto alla nostra richiesta di un commento.
«Un'ultima osservazione», concludono i giudici della Grande Camera, «deve essere fatta, a nostro avviso, in merito alla considerazione che gli eventi fossero un “semplice” fenomeno di sessualità precoce, dovuto al fatto che i bambini vivono insieme in un orfanotrofio. Secondo questo punto di vista, di conseguenza non c'era nessuna necessità di indagare, poiché soltanto i minori erano responsabili per i contatti sessuali e nessuna responsabilità penale sarebbe imputabile a loro. In primo luogo, notiamo ancora una volta che questa era la teoria sostenuta dall'associazione che ha operato come intermediaria nell'adozione», evidenziano i giudici della Grande Camera della Corte di Strasburgo, riferendosi sempre ad Aibi: «In secondo luogo, ci sono state segnalazioni, anche nelle prime rivelazioni, di contatti sessuali violenti avviati da minori. A questo proposito, dobbiamo sottolineare che
anche importanti norme internazionali considerano la violenza inflitta da coetanei come violenza contro i minori e che in questi casi la responsabilità penale non è dei bambini violenti, ma di coloro che hanno il compito di sorvegliarli e di prendersi cura di loro».
IL RAPPORTO DI POLIZIALa procura e il tribunale per i minorenni che avevano ritenuto credibile la denuncia dei tre bambini, hanno inoltre stabilito la piena idoneità dei genitori adottivi che, secondo la Corte di Strasburgo, Aibi aveva definito inadatti. Ma come è accaduto in Bulgaria,
la magistratura italiana che si occupa del comportamento degli adulti ha archiviato tutte le numerose denunce presentate negli anni contro l'associazione milanese, per presunte irregolarità nelle procedure di adozione.
È finito in archivio lo stesso rapporto di polizia che a Roma attestava le «tre firme diverse, tutte scritte dalla stessa mano»: compaiono in fondo alla relazione consegnata alla magistratura minorile dai vertici di Aibi, che in quel momento agivano davanti all'autorità giudiziaria nelle loro funzioni di ente autorizzato dal governo italiano. Questa l'insolita motivazione con cui un pubblico ministero ordinario ha chiesto e ottenuto l'archiviazione: «Resta da considerare la firma falsa apposta sulla relazione prodotta da Aibi al Tribunale per i minorenni […]. L'unico reato configurabile in tal senso, trattandosi di un atto di parte, è la falsità in scrittura privata non più prevista dalla legge come reato».