È nato nel 2015. Ma ha visto un grande aumento di consensi in questi giorni, sull’onda del femminicidio di Sarah Everard. E la nuova leader Mandu Reid si candida a sindaco della capitale

Domenica 14 marzo. Il clima a Londra è cupo, pesante. La sera prima la polizia metropolitana ha malmenato e arrestato un gruppo di donne alla veglia pacifica per Sarah Everard a Clapham Common. Le accuse: aver violato le precauzioni anti Covid -19 per gli assembramenti di massa. Un corto circuito paradossale: poliziotti maschi che picchiano e arrestano trentenni alle commemorazione di una trentenne massacrata da un poliziotto, agente scelto del corpo di protezione di politici e diplomatici, che pochi giorni prima aveva ricevuto due denunce, ignorate dai vertici, per esibizionismo in un McDonald’s.

Davanti New Scotland Yard protestano un migliaio di persone. Protestano contro la violenza a Clapham e contro il Policing Bill, disegno di legge del governo conservatore in discussione in Parlamento, in seconda lettura, che estende i poteri della polizia sul diritto di manifestazione. Se passa, e su questo non ci sono dubbi vista la comoda maggioranza conservatrice a Westminster, gli agenti potranno impedire qualsiasi forma di protesta che abbia un qualsivoglia «impatto» ritenuto dannoso: anche quelle statiche, anche individuali, e fra gli «impatti» considerati c’è «l’eccessivo rumore e l’eccessivo odore». La repressione del giorno prima, alla veglia per Sarah, sembra un allarmante anticipazione di quello che sta per arrivare. Le due istanze, quella della rivolta contro la violenza maschile e dell’opposizione a quella istituzionale, si saldano nella marcia del 14 marzo.

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Al grido di «Kill the Bill», ferma la legge, il corteo si muove verso il quadrilatero del potere britannico, da Scotland Yard a Westminster, poi Trafalgar Square e Downing Street. Ma il grosso della manifestazione è nei giardini del Parlamento, fazzoletto di terra pieno di simboli, dove sono erette le statue di 11 grandi protagonisti della storia del Paese. Sono tutti maschi: Benjamin Disraeli, Robert Peel, Winston Churchill e, più di recente, il Mahatma Ghandi e Nelson Mandela.

Solo il 24 aprile 2018, nel centenario del voto alle donne nel Regno Unito, l’ex premier Theresa May ha svelato l’omaggio tardivo alla madre del movimento delle suffragette, Dame Millicent Garrett Fawcett. È ai piedi della statua di Millicent che si assiepano le giovani che guidano la manifestazione del 14 marzo. Una delle speaker più applaudite è una ventenne che racconta la doppia oppressione subita come donna e come nera. L’azione della polizia, nel Regno Unito, è macchiata da accuse di discriminazione razziale. C’è un agente sotto inchiesta per essersi fatto selfie con i cadaveri di due sorelle nere trovate morte lo scorso anno a Wembley. E, rivela l’ultima inchiesta dell’Observer, fra il 2012 e il 2018 sono state 594 le accuse di molestie contro agenti della polizia metropolitana, di cui 119 provate.

I poliziotti stavolta si tengono a distanza. Ma proteggono la statua di Churchill, simbolo inattaccabile dello status quo, il mito redivivo della grandezza britannica, l’idolo del primo ministro Boris Johnson. Il Policing Bill prevede 10 anni di reclusione per chi danneggi una statua. Per uno stupro se ne rischiano 5.

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A distanza di qualche settimana, cosa resta di quella ondata di indignazione? Si estinguerà anche questa rivolta? Forse no, perché le istanze della parità di genere hanno, nel Regno Unito, una rappresentanza politica specifica e in crescita di consensi: il Women’s Equality Party, che ha l’eguaglianza di genere come unico obiettivo.

È nato nel 2015 dall’incontro di due donne, la giornalista Catherine Mayer e la commediografa ed autrice Sandi Toksvig, frustrate nel constatare come la parità di genere avesse fatto passi indietro perfino in una società considerata progressista. Per incidere direttamente sui processi decisionali, invece dell’ennesima campagna, creano un partito con l’obiettivo, monotematico, della parità di genere in sei ambiti: istruzione, media, condivisione delle responsabilità parentali, salute, lavoro e opportunità, rappresentanza politica. «Siamo l’unico partito che spera di estinguersi presto», è l’efficace presentazione. La prima segretaria è Sophie Walker, giornalista di Reuters, bianca, bionda, diafana, quartiere bene della Londra Nord più intellettuale.

Il giorno del lancio si iscrivono in 1.400, oggi sono oltre cinquantamila (i Tories al governo non arrivano a 180.000): le sezioni locali una sessantina, concentrate fra Inghilterra e Scozia. Il partito si finanzia con le tessere, 4 sterline al mese, e con eventi a pagamento. Si presenta alle elezioni locali con una strategia precisa: sceglie distretti elettorali dove la differenza fra vittoria e sconfitta è di poche centinaia di voti, e porta il proprio pacchetto di voti al candidato disposto ad adottare istanze di parità di genere nel suo programma. Oppure sfida apertamente e con ampio seguito mediatico candidati dichiaratamente misogini. Vince poc o, in un sistema elettorale maggioritario come quello britannico, ma aumenta i consensi.

Nel 2019 esplode la sua contraddizione di fondo: malgrado le promesse di inclusivitá, è ancora ampiamente gestito da quarantenni bianche di classe media per quarantenni bianche di classe media. Sophie Walker si dimette e lascia il posto ad una leader molto diversa: Mandu Reid, che diventa la prima donna di colore alla testa di un partito britannico. Padre inglese, madre del Malawi, l’adolescenza in Malawi, Somalia e Swaziland, la scoperta del razzismo una volta arrivata in Inghilterra, la laurea alla London School of Economics, il lavoro da funzionario pubblico, l’attivismo che la porta a fondare, nel 2015, la ong The Cup Effect, che fornisce coppette mestruali a donne, nel Regno Unito e in East Africa, che non posso no permettersi gli assorbenti.

Crocevia di culture, sensibilità ed esperienza, la Reid è perfetta per una formazione politica che ha scelto, per espandersi, di puntare sull’inclusione in un Paese dove la rappresentanza delle minoranza è una prateria di potenziale consenso elettorale, ampiamente trascurata dai partiti maggiori.

Il cambio di leadership contribuisce alla radicalizzazione del partito. Che non ha ancora perso lo zoccolo duro di iscritte bianche e middle class, ma ora parla alle più giovani, alle donne della comunità Bame (Black, Asian, Middle East), alla comunità omo e transessuale, anche con qualche ambiguità nell’eterno dibattito sull’identità transgender.

Intanto l’organizzazione interna scala le marce: supera gli ostacoli della pandemia organizzando una conferenza annuale interamente via app, potenzia la presenza social, offre alle attiviste training di alfabetizzazione digitale, politiche anti razziste e anti discriminatorie, organizzazione di campagne elettorali. Tutto in orari compatibili con la routine delle molte mamme con figli piccoli, fra l’altro la categoria più danneggiata dalla pandemia anche nel Regno Unito.E vede un’impennata di consensi all’indomani della veglia per Sarah a Clapham Common.

Secondo l’Evening Standard, uno dei quotidiani meglio informati sulla vita del Wep, «il partito ha visto un flusso di centinaia di nuovi iscritti, con migliaia di sostenitori registrati e nuovi follower sui suoi canali social. Un aumento del 500 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno».

Il quartier generale non fornisce dettagli sui numeri, e il mandato ai militanti è di non approfittare dell’omicidio di Sarah per fare propaganda. Ma conferma la sostanza: «Nella settimana dopo la veglia abbiamo registrato un grosso incremento nel supporto e nell’attivismo da parte di chi vuole che il porre fine alla violenza contro donne e ragazze diventi una priorità politica. Questo sostegno va in direzione opposta a quella di molti politici che sembrano impegnati in un gioco di accuse reciproche o nel riciclare vecchie idee che vanno poco oltre la semplice gestione della violenza contro di noi».

Il Wep, al contrario, si è immediatamente intestato un’azione radicale. Sulle principali testate britanniche come sulla Cnn, ospite di Christiane Amanpour, Mandu Reid ha rilanciato la sua ambiziosa proposta: fare del contrasto alla violenza contro le donne una priorità nazionale, a partire dalla constatazione che si tratta di una epidemia di paura più pervasiva di quella del terrorismo. «Dobbiamo cominciare a prendere coscienza del fatto che donne di tutte le età sentono di vivere in una forma di terrorismo domestico».

Sulla spinta emotiva dell’omicidio Everard, può il Women’s Equality Party diventare il veicolo politico delle rivendicazioni di quel movimento spontaneo? Un test decisivo sono le amministrative del 6 maggio. Mandu Reid si candida a sindaco di Londra, dove il Wep, secondo i sondaggi, sfiora già il 5 per cento, la soglia necessaria a conquistare posti nell’Assemblea cittadina e, da lí, aumentare la pressione sul sindaco per ottenere azioni positive nella lotta per l’eguaglianza. Mandu Reid è quinta dopo i candidati dei partiti maggiori. In ampio vantaggio anche su quello del misogino Ukip.