Corrisponde a verità che come agenzia delle Nazioni Unite siete tornati in Libia dopo gli accordi del 2017?
«No, siamo operativi senza interruzioni in Libia dalla firma dell’accordo di sede del 2005. Ci sono stati degli anni in cui il personale internazionale non era presente ma i nostri programmi continuano ininterrotti dal 2005».
In questi anni avete ribadito che la Libia non è un porto sicuro, è ancora la vostra posizione?
«Sì, è la nostra posizione perché manca una continuità di protezione dal momento del soccorso e sul territorio libico. Non esistono i meccanismi per garantire la protezione delle persone a rischio. Lo ribadiamo di continuo».
Quando dice protezione delle persone a rischio cosa intende?
«Siamo in un paese dove da dieci anni manca un’autorità centrale, le persone vulnerabili sono state esposte a conflitti e restano esposte alla presenza di gruppi armati e milizie dunque al rischio di tratta, abusi e sfruttamento lavorativo».
Come Oim, riuscite a monitorare lo stato dei centri di detenzione?
«Abbiamo accesso ai centri di detenzione gestiti dal ministero dell’Interno per fornire assistenza umanitaria e ridurre la sofferenza, sono centri in condizioni pessime, soffrono la mancanza di acqua potabile, impianti igienici, cibo e assistenza medica. Qualche anno fa si parlava di 15 mila persone in detenzione, c’erano 30 centri nel paese. Attualmente ci sono 17 centri ufficiali con una popolazione di 4 mila migranti».
Avete un’idea di dove siano finiti gli altri? Le persone che erano nei centri di detenzione che sono stati chiusi nel 2017? Dove sono andati?
«Ogni anno perdiamo traccia di migliaia di persone. I dati delle persone che vengono soccorse e intercettate dalla guardia costiera libica non combaciano con il numero di quelle in detenzione».
Cioè le persone vengono recuperate in mare e poi che succede?
«Possono essere trasferite nei centri o lasciate andare al punto di sbarco, per questioni operative o perché non c’è capacità nei centri. La logica vorrebbe che se vengono recuperate 6 mila persone questi numeri dovrebbero corrispondere alla capienza dei centri, però i conti non tornano. L’anno scorso sono state soccorse 12 mila persone dalla guardia costiera libica, e il numero di persone nei centri era sempre 4 mila. Quindi dove sono andate queste persone entrate nei centri e di cui abbiamo perso traccia?».
Possiamo ipotizzare che siano finite in mano a gruppi armati?
Qualcuno è uscito per assistenza Oim per rimpatri volontari, qualcuno è riuscito a scappare. Su altri c’è il punto interrogativo e siamo molto preoccupati di non riuscire a tracciare questi spostamenti».
Se il vostro staff si rende conto che da un centro di detenzione sono scomparse delle persone, cosa potete fare nella pratica?
«Non molto, è una questione che solleviamo con le autorità e che discutiamo con le Nazioni Unite. Da un punto di vista concreto non c’è niente che possiamo fare».