Le false promesse di Berlusconi. Gli errori di Maroni. Una politica estera fatta di barzellette, bugie e figuracce. Cronaca di un fallimento politico che parte da lontano. E che ora ha terribili ricadute sul piano umanitario

La barzelletta che Silvio Berlusconi non racconta è quella di cui è protagonista. Avanti e indietro tra Roma, Lampedusa e Tunisi per far credere che con un accordo fermerà gli sbarchi di immigrati. È questa la bugia più grossa tra quelle raccontate. Non i campi da golf a Lampedusa, il casinò, l'acquisto della villa annunciato mentre migliaia di tunisini erano costretti a vivere all'aperto in mezzo ai loro escrementi. Le relazioni tra Stati vanno sempre incoraggiate. Ma con la caduta della dittatura filoitaliana di Ben Ali, la Tunisia ha perso 100 mila su 150 mila poliziotti: si sono tolti la divisa per paura di ritorsioni. E anche se arriverà l'intesa, chi pattuglierà le coste visto che il premier Beji Caid Essebsi ha escluso che lo possano fare gli italiani?

Serviranno mesi. Bisognerà attendere (e sostenere) la crescita della Primavera araba, il consolidamento delle istituzioni a Tunisi, la fine della guerra civile in Libia e la ripresa economica. Di questo sono consapevoli i diplomatici che da anni puntellano con suggerimenti e contatti personali i rapporti tra Italia e Nord Africa. La politica ufficiale però, quella proclamata in tv, tira da tutt'altra parte. Dovremmo forse imparare dai tunisini. Capiremmo come un popolo in difficoltà, in piena rivoluzione sociale e politica, sia in grado di ospitare e sfamare alle porte del deserto i profughi in fuga dal disastro libico. Una massa che cresce di giorno in giorno e che ha ormai superato 160 mila persone.

Il traballante governo di Tunisi è riuscito dove l'Italia ha dimostrato grande disorganizzazione. La pessima figura davanti al Maghreb e all'Europa non è dovuta soltanto alle promesse fantasiose del presidente del Consiglio. Ma a una strategia voluta dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che ha riempito il Sud Italia di immigrati irregolari. E ha portato alla crisi i rapporti tra la Lega e Berlusconi in persona. Il primo sintomo risale a qualche giorno fa: le dimissioni del sottosegretario al ministero dell'Interno, Alfredo Mantovano, che con Umberto Bossi e Gianfranco Fini ha firmato l'omonima legge sull'immigrazione. "Quello che abbiamo visto a Lampedusa e nel Sud fino a questa settimana è stato gestito direttamente dal ministro dell'Interno", confermano a "l'Espresso" alcuni funzionari del Viminale. A cominciare dall'allestimento dei campi di assistenza. I vigili del fuoco sono stati inviati in Puglia e in Sicilia a montare le tendopoli, sguarnendo di uomini alcuni importanti comandi regionali come quello di Roma.

L'intervento della Croce rossa è limitato all'aspetto sanitario. Le procedure di identificazione e di vigilanza sono finite per giorni nella confusione più totale. Con la farsa delle fughe in massa: "Se queste persone devono essere lasciate libere, tanto valeva identificarle e dare loro un permesso provvisorio", dice un sottufficiale di un reparto mobile della polizia, mandato di rinforzo in Puglia. Per l'Italia non sarebbe la prima volta. Basta andare a rileggersi le cronache dell'inverno tra il 1998 e il '99, quando almeno cinquantamila profughi kosovari sbarcarono in Puglia per sfuggire alla pulizia etnica della Serbia di Slobodan Milosevic.

Il premier di allora, Massimo D'Alema, affidò la gestione al sottosegretario Franco Barberi che mobilitò la Protezione civile. "I profughi ottenevano subito un permesso di soggiorno temporaneo", spiega uno dei responsabili di quell'operazione: "Non furono montate tendopoli. L'emergenza iniziale venne affrontata prendendo in affitto i campeggi e affidando la loro gestione ai volontari delle associazioni e delle parrocchie. Molti kosovari proseguirono il viaggio. Andavano in Germania o in Svizzera. Finita la crisi, la maggior parte se ne tornò in Kosovo".

Una soluzione, quella dei permessi temporanei, che alla fine Bossi è stato costretto ad accettare sull'onda delle figuracce di Berlusconi e Maroni a Tunisi. Ma non si poteva fare subito? "È evidente che Maroni non si è comportato da ministro di tutti gli italiani", commenta Paola La Rosa, avvocato e volontaria a Lampedusa: "Si è comportato da ministro del Nord e ha costretto migliaia di migranti, noi lampedusani e tutta l'isola a sopportare la vergogna che abbiamo visto. Ecco perché hanno ritardato i trasferimenti. I tunisini non dovevano arrivare nelle regioni dove la Lega e Maroni prendono voti".

Sarebbe stata una grande occasione per mettere alla prova la presunta efficienza del federalismo verde. Le norme che avrebbero consentito l'identificazione e la regolarizzazione temporanea già esistono. Sono contenute nell'articolo 20 del Testo unico delle leggi sull'immigrazione. Norme imposte dalla direttiva europea attuata in Italia con il decreto legislativo numero 85 del 7 aprile 2003, quando al governo c'era sempre Berlusconi. "Di questa normativa fingono di non sapere sia gli Stati dell'Unione Europea, sia i loro organismi", dice Gianfranco Schiavone, consigliere dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione: "Questo genera una situazione di grave confusione, foriera di reazioni xenofobe abilmente sfruttate". Un po' quello che sta accadendo in Italia con la Lega. E in Francia con il Fronte nazionale di Marine Le Pen che erode consensi al presidente Nicolas Sarkozy. Proprio a Nizza, Sarkozy si gioca parte della sua reputazione con l'amico ex ministro e ora sindaco della città, Christian Estrosi. Il piano di Estrosi è un déjà vu: accuse di inefficienza alla magistratura, 624 telecamere montate ovunque, 355 poliziotti locali. Ma nemmeno Nizza è riuscita a fermare le migliaia di tunisini entrati illegalmente dall'Italia.

Il permesso temporaneo avrebbe consentito loro di raggiungere tranquillamente i familiari, cercare eventualmente lavoro, vivere senza nascondersi. Il caos provocato dai no affidati dalla Lega al ministro Maroni rischiano invece di alimentare il solito mercato nero: quello del caporalato, dei tuguri, degli impieghi stagionali senza garanzie. "Le norme", spiega Schiavone, "sono state elaborate proprio allo scopo di gestire flussi massicci di persone che fuggono da una situazione di grave instabilità. Persone il cui rimpatrio in condizioni stabili e sicure risulta momentaneamente impossibile. Inoltre il regime della protezione internazionale consentirebbe a ogni Stato dell'Ue di accogliere una quota. Il governo italiano invece si lamenta di essere stato lasciato solo da Bruxelles: perché non chiede ufficialmente di attivare ciò che Bruxelles potrebbe fare?". Lo stesso vale per la Francia.

Il piano immigrazione di Silvio Berlusconi esce così demolito dalla caduta dei due regimi che lo sostenevano: Ben Ali in Tunisia, dove il 24 luglio si terranno le elezioni e Muammar Gheddafi in Libia, dove la rivolta è diventata guerra. "I migranti finora sbarcati non vogliono fermarsi in Italia", conferma Abbes Abbes, 49 anni, presidente tunisino del Tribunale dell'immigrato a Milano: "Tutti sanno che qui di lavoro ce n'è poco". Eppure qualcosa dev'essere saltato nelle previsioni del governo italiano. Nei giorni scorsi Berlusconi e Maroni hanno chiuso le procedure per far entrare altri centomila stranieri. Proprio mentre promettevano senza successo di rimpatriare migliaia di tunisini già in Italia.

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