Ammagamma è una innovativa società che progetta algoritmi. Dove lavorano molti matematici, e fisici e ingegneri, ma anche filosofi e artisti. Che per raccontare il futuro si affidano alla filosofia, alla religione. E ai modelli antichi

Il solco tra le discipline scientifiche e quelle umanistiche, divenuto profondissimo tra gli anni Venti e Trenta del Novecento a seguito di un’epica disputa tra Federico Enriquez, matematico, e Giovanni Gentile, filosofo, è difficile da colmare, e da saltare. La cultura tecnica ha un’aura pratica, la cultura umanistica mantiene un alone creativo e se non creativo, poetico, dove poetico o creativo si declina qui come capace di raccontare, rappresentare e prevedere, riportandoli a storie e modi del passato, i sentimenti umani, e gli umani conflitti.

 

Vale insomma nelle discipline umanistiche - lontane dalla matematica, dalla fisica, dalla biologia, dall’ingegneria e dalla meccanica - l’idea che il tempo possa tornare, che la memoria del passato si sposi con l’immaginazione del futuro; la tecnica, le scienze invece, non possono che avanzare. Una dimensione biologica tuttavia, dunque umana, perché non abbiamo la marcia indietro: il nostro tempo - dalla termodinamica in poi, non solo emotivamente - ha una e una sola direzione. Esiste però un tempo percepito, che ritorna, sia per le lettere, che per le matematiche, e che tornando riporta concetti e istanze di mondi (che paiono) lontanissimi.

 

La scorsa settimana ho incontrato un ingegnere con un dottorato in matematica e uno storico delle religioni. L’ingegnere, Fabio Ferrari, nel 2014 ha lasciato la carriera accademica per seguire un’ossessione: «Leggevo “Moby Dick”, e ho capito che la balena non ti viene a cercare, devi andarci tu, e io volevo la balena». Fabio Ferrari ha fondato Ammagamma, azienda dove oggi, passati sette anni, lavorano 65 persone, molti matematici, e fisici e ingegneri, ma anche filosofi e artisti; hanno una sede in Israele, ad Haifa, dove sono impiegate per adesso tre persone.

 

«Ci sono tre aree del mondo dove si sviluppa moltissima matematica: l’Asia, il Canada, e Israele, e da Modena, Israele è anche comodo»: l’amministratore delegato di Ammagamma dallo scorso anno è David Bevilacqua il cui curriculum evoca innovazione (ha trascorso 20 anni in Cisco ricoprendo incarichi importanti tra cui quello di responsabile della regione Sud Europa e Vice President Europe). Lo storico delle religioni è Luca Baraldi, responsabile della corporate identity. Io, che apro di tanto in tanto il solito Frazer, come fosse l’IChing o l’oroscopo, gli chiedo perché uno storico delle religioni si occupi della comunicazione di una azienda di algoritmi. Baraldi fa spallucce: «Ho sempre studiato i codici del linguaggio, verbali, gestuali, riti, semiotica applicata, la scienza dei dati come la cabala ebraica, la possibilità di influenzare la realtà a partire dal codice che descrive la realtà», come nel “Golem” di Meyrinck, chioso: «Ancora oltre», sorride Baraldi, «è da chiedersi se la responsabilità sia dell’automa o di chi lo ha progettato. La realtà è stata creata da Dio nel codice della Torah, la Torah è un codice, il cabalista sa che nella rappresentazione della realtà c’è la possibilità di modificarla».

 

Mi domando, forse un po’ troppo ad alta voce, se la Torah sia solo linguaggio di programmazione o anche compilatore, e per un attimo io e Fabio Ferrari non abbiamo più quarant’anni ma quindici e lo sguardo da nerd, teniamo sotto le dita una tastiera rumorosa e fissiamo uno schermo nero sul quale scorrono caratteri bianchi e forse scriviamo un programma di ordinamento di una stringa di numeri, o per la ricerca del massimo o del minimo, cose insomma che si facevano nelle scuole pubbliche italiane prima che con Letizia Moratti l’informatica diventasse una delle tre I (Impresa, Inglese e Informatica) e fosse ridotta all’utilizzo del pacchetto Office e al conseguimento dell’ECDL, la patente informatica europea. «Le religioni hanno sviluppato meglio di tutti la comunicazione di ciò che non si vede, hanno comunicato l’invisibile», riprende Baraldi.

 

Fabio Ferrari - la cui capacità di programmazione è andata oltre l’ordinamento di una sequenza finita di numeri - sostiene che la matematica sia lo strumento di traduzione universale, che lo sforzo è renderla tangibile, e che rendendola tangibile si riuscirà a colmare quella che definisce «asimmetria informativa» tra chi ha contezza degli strumenti matematici e chi li subisce. Ammagamma, azienda che progetta algoritmi e fornisce consulenze per imprese piccole ma anche enormi, ha sviluppato una sorta di etica non prescrittiva: vogliono vendere qualcosa che sia comprensibile, vogliono uscire dalla retorica dell’accelerazione tecnologica e rendere percepibile l’astrazione utilizzando una comunicazione rodata da secoli. Sul loro sito si può trovare, leggere e guardare - le pagine web si ispirano alle prime mappe medievali di Opicino, ai simboli di Luca Pacioli - il “Manifesto della Razionalità sensibile” il cui perno è la certezza che la scienza dei dati possa cogliere le correlazioni deboli e non lineari.

 

Definisca correlazione debole, chiedo a Ferrari che sorride: «Ammagamma non è il centro di ricerca sull’etica del dato dell’Università di Oxford, raccogliamo dati e informazioni che gravitano intorno a un fenomeno fisico o transazionale e ricerchiamo le correlazioni deboli. Le correlazioni deboli sono gli “outlier”, per noi gli scarti di analisi diventano peculiarità, la correlazione forte è una informazione, ma la correlazione debole porta conoscenza e consente di identificare le unicità in un fenomeno». E Baraldi aggiunge: «La conoscenza è uno strumento che attribuisce responsabilità, sottolinea che siamo co-creatori e vogliamo che i nostri committenti lo siano, d’altronde Adamo nel giardino dell’Eden dà i nomi alle cose, le co-crea con etichette linguistiche». Ma perché oggi ci ossessionano tanto gli algoritmi? Domando a Fabio Ferrari, visto che Ammagamma, pur sembrando il centro di ricerca dell’etica del dato è una azienda il cui fatturato è in crescita e la cui dimensione è in espansione. «Perché non ci ricordiamo di essere sempre stati immersi negli algoritmi, ne parliamo in modo da allontanare le persone. L’algoritmo è un’interazione di passaggi, e invece sembra qualcosa che fanno solo Google o Amazon, per questo noi parliamo di matematica applicata e non di intelligenza cognitiva degli algoritmi: lei direbbe mai che un tensore di matrice è intelligente?».

 

Li guardo e penso che ci vuole molta forza, molto studio e molto anche essere cresciuti nella provincia dell’impero degli anni Ottanta del Novecento in Italia non solo per coltivare la mitomania di voler spiegare i processi e non i concetti, ma nel riuscire a sostituire l’astrazione della matematica applicata con la visualizzazione. In Ammagamma stanno infatti costruendo un bestiario, sul modello degli analoghi medievali, pensato come strumento di dialogo con committenti e studenti dove ciascuna forma dell’intelligenza artificiale sia una bestia. E allora li saluto e aspetto di vedere che forme, quanti occhi e code, avranno le RPA o il Forecasting. Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quelle che la tua filosofia può immaginare, dice Amleto. E infatti, prima che la fondassero, chi poteva immaginare Ammagamma dove la matematica non è misteriosa, si vede, si usa, e dove nessuno vuole, pur utilizzando gli strumenti della religione, essere come quei sacerdoti della fondazione di Asimov che tutto governano e tutto decidono perché sono gli unici in possesso degli strumenti scientifici.