A Holyrood si prospetta una larga maggioranza favorevole al divorzio. Villafranca: «Possibile l’impasse con il parlamento inglese e il ricorso alla Corte Suprema». E l’Irlanda del Nord è spettatrice interessata

Non è questione del «“se” ma del “quando”». L’obiettivo della premier Nicola Sturgeon si avvicina dopo il consenso ricevuto dal suo Scottish National Party alle elezioni del 6 maggio. Lo Snp ha vinto infatti 64 seggi e, molto probabilmente, formerà insieme agli otto rappresentanti dei Verdi, la più grande maggioranza di sempre in Scozia propensa a staccarsi da Londra. Da lì, con ogni probabilità, uscirà una mozione per un nuovo referendum sull’indipendenza con destinazione Londra.

 

Un problema non da poco per Boris Johnson che ha più volte rigettato la possibilità di svolgere una consultazione popolare dopo quella del 2014. Sette anni fa vinse il “No” con il 55%, ma ora gli equilibri potrebbero essere cambiati. I sondaggi mostrano una sostanziale parità tra chi vuole rimanere nel Regno Unito e chi staccarsi, quindi in realtà anche nel caso in cui lo Snp riuscisse a mettere pressione al governo centrale e a ottenere la votazione, il risultato non sarebbe scontato. Sturgeon, dopo la vittoria, non ha messo particolare fretta al processo, perché sa di giocarsi il tutto per tutto e le questioni in gioco sono tante. Tuttavia, Downing Street non può permettersi di rischiare e come sottolinea Antonio Villafranca, direttore degli studi dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e co-Head dell’area Europa e Governance Globale, «si potrebbe arrivare allo scontro, nel caso in cui Westminster rigetti la mozione di Holyrood. Ci si troverebbe con un'impasse e due parlamenti l’un contro l’altro “armati”. A quel punto è probabile che il caso finisca addirittura nelle mani della Corte Suprema del paese, un passaggio molto grave». 

D’altronde non è solo la Scozia la nazione “ribelle” all’interno della Gran Bretagna ma c’è anche l’Irlanda del Nord, con una situazione ancora più complicata. Gli strascichi della Brexit hanno riacceso le violenze nella regione settentrionale dell’isola irlandese e un’eventuale uscita di Edimburgo alimenterebbe le istanze nazionaliste dalle parti di Belfast.

 

Quello scozzese sarà il nodo che nei prossimi mesi dovrà gestire Johnson, se vorrà tenere insieme il Regno. Ma se il tema scozzese preoccupa il primo ministro, i risultati delle urne nel resto del paese lo fanno sorridere. Il partito conservatore, infatti, è avanzato in tutta l’Inghilterra, anche in quel famoso Red Wall, la zona nel nord-est un tempo feudo laburista dove vota molta della classe operaia del paese. I Tories hanno strappato il seggio della Camera dei Comuni di Hartlepool, nelle elezioni suppletive, che da quasi 50 anni era nelle mani del Labour e diversi consigli cittadini, per un aumento complessivo di 235 seggi. Per Villafranca «Johnson è stato eletto per portare a termine la Brexit, e in un modo o nell’altro l’ha fatto e la gente glielo riconosce. Inoltre la gestione efficace nella seconda parte della pandemia lo ha premiato».

 

Di tutt’altro umore Keir Starmer, che dopo essere succeduto a Jeremy Corbyn non è stato in grado di dare nuova linfa al partito laburista, pur spostandosi su posizioni più moderate. In Inghilterra hanno perso 8 consigli e diminuito notevolmente i propri consiglieri (-326), per delle elezioni al limite della disfatta. I laburisti «continuano a essere in cerca di una loro identità, in mancanza di una leadership più carismatica e di punti programmatici che possano fare veramente la differenza», spiega Villafranca.

 

Le ancore di salvezza sono state le grandi città, come Londra, Manchester e Liverpool. Nella capitale il sindaco uscente del Labour, Sadiq Khan, pur non rispettando l’ampio margine delle previsioni alla vigilia, è riuscito a farsi rieleggere al secondo turno con il 55,2% dei voti, contro il candidato conservatore Shaun Bailey che si è fermato al 44,8. 

Un altro risultato positivo per il Labour è giunto dalle elezioni del Senedd Cymru, il parlamento gallese, dove il partito del primo ministro Mark Drakeford ha conquistato 30 seggi sui 60 totali. I conservatori si sono fermati a 16 e la formazione indipendentista del Plaid Cymru a 13. A Cardiff le sirene della secessione, pur presenti, non sfondano e la nazione del drago rosso si dimostra ancora una volta particolarmente legata a Londra.