Diritti
Vivere e morire con dignità: le battaglie di Filomena Gallo
L’avvocata dell’Associazione Luca Coscioni spiega perché il cuore della politica passa dal corpo delle persone. E dalle conquiste sulle leggi civili
«Dal corpo delle persone al cuore della politica». Sono conquistato da questa frase di Filomena Gallo - 53 anni, nata in Svizzera ma poi cresciuta nel paese paterno, Teggiano, a cavallo tra il Salernitano e la Lucania, avvocata, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, promotrice del referendum sull’eutanasia (si può firmare fino a settembre. Per informazioni c’è il sito referendum.eutanasialegale.it). La incontro nella sede dell’associazione in via di San Basilio a Roma e non è solo la sua bellezza mediterranea a conquistarmi: lineamenti forti, incorniciati dai capelli corvini, Filomena ricorda Maria Callas o Anna Magnani. Né la circostanza che quel nome sia stato molto importante nella mia famiglia. Né il fatto che conosco il suo impegno da quando, lavorando a La 7, la incontrai per un reportage sulle nuove famiglie italiane, perché lei si occupava di coppie infertili che volevano ricorrere alla fecondazione assistita.
È che queste parole, a ben pensarci, raccontano molto bene questa estate del 2021. La seconda dopo la pandemia, sospesa tra timori e speranze. Segnata dall’irrompere dei diritti sulla scena politica: diritti violati, come quelli dei migranti o dei detenuti torturati a Santa Maria Capua Vetere (a proposito, ricordo che quando pubblicammo su L’Espresso un reportage sulle carceri italiane, erano i giorni delle rivolte, chiesi di intervistare il direttore del Dap, Francesco Basentini, che si rifiutò di parlare con noi. Ed ora abbiamo capito perché).
Diritti che forse finalmente si affermano, come nella Legge Zan; diritti ancora negati, come quello alla libertà di ricerca; il diritto di scegliere come vivere e come morire; il diritto di farsi in santa pace una canna. In quest’ultimo caso, in particolare, si raggiunge il massimo dell’ipocrisia: nella vita reale l’uso della cannabis è un’abitudine come lo spritz, tanto che nelle fiction e nei film lo spinello è totalmente liberalizzato, fino al punto che abbiamo una fiction prodotta dalla Rai, nella quale un vicequestore inizia tutte le sue giornate con un bel cannone, mentre migliaia di giovani sono sottoposti a sanzioni assurde perché trovati in possesso di un decimo di quel che si presume consumi quotidianamente Rocco Schiavone.
Perciò penso che quella di Filomena non sia solo una frase. In realtà è un vero e proprio programma politico. La politica dei divieti è la risposta della destra reazionaria su scala europea alla crisi della democrazia: l’unico potere residuo della politica divenuta ancella dell’economia, schiava del tempo breve dei social, lontana dai problemi quotidiani delle persone reali, consiste nella lunghissima serie di divieti e assurde pretese di intervenire persino nella vita intima. Uno stato impotente che si riscopre invece potente solo nel divieto, una puzza insopportabile di stato etico, mascherato di buone intenzioni.
Un lungo elenco contenuto nel prezioso volumetto curato da Filomena Gallo e Marco Cappato : “Proibisco Ergo Sum. Dall’embrione al digitale, divieti e proibizioni made in Italy”. Quella di cui mi parla Filomena è proprio un’altra idea della politica: «Un conto è limitare la libertà personale per far sì che questa non confligga con quella altrui, diverso è ritenere di sapere quale sia il modo corretto d’intendere la vita e cosa sia necessario per il benessere della persona e le relazioni umane. Il Parlamento è lontano dalla scienza e dal diritto. Pensi che l’articolo 1 della Legge 40 sulla fecondazione assistita dice “è consentito ricorrere…”, ma cosa vuol dire? Che lo stato concede quel diritto? Da questa concezione dei diritti “octroyé” nasce una legislazione fatta di divieti assurdi che limitano la libertà di ricerca. Basta pensare al divieto sugli embrioni crioconservati che non possono essere né utilizzati per altre coppie infertili ne per le cellule staminali, che si stanno rivelando preziose per curare il Parkinson, il diabete e altre malattie gravi. Così l’Italia, a causa di quel divieto, è fuori dalla ricerca internazionale».
Non è contraddittorio battersi per il diritto ad avere un figlio e il referendum sull’eutanasia? In un caso è una scelta di vita, nell’altro di morte, domando. «Non c’è alcuna contraddizione», replica Filomena Gallo, «tra il battersi per la libertà di ricerca e il diritto alla cura e il diritto di scegliere come morire. Chi sceglie di morire lo fa perché si sente prigioniero del suo corpo. Tutte le persone che ho accompagnato fino alla fine non erano abbandonate. Prima di arrivare a quel momento c’è da assistere e prendersi cura della persona che per esempio non può avere dal servizio sanitario la sedia a rotelle che le serve perché ha già un materasso ambulatoriale. È il risultato dei tagli alla spesa sanitaria, delle gare al ribasso. E proprio noi che ci battiamo per il diritto all’eutanasia, purchè frutto di una consapevole decisione, vogliamo cura e assistenza per chi è alla fine della vita. Poi vogliamo che ci sia la libertà di scelta».
Filomena sa accogliere il dolore degli altri, come sanno fare solo le donne meridionali, ma rispetto all’iconografia tradizionale di manifestazione del dolore lei ha una levitas tutta sua. Formatasi in una vita fatta di incontri importanti: «Ho conosciuto Luca Coscioni nel 2004, quando mobilitò cento premi Nobel contro il divieto all’utilizzo degli embrioni nella ricerca, vidi quest’uomo che parlava con un modulatore vocale, e udii le sue parole: “Non abbiamo tempo e non possiamo aspettare le scuse dei prossimi papi”. Luca era dirompente, con il suo stesso corpo ci diceva che ognuno di noi ha una responsabilità nel mondo. Devo quello che sono oggi a Luca Coscioni, a Marco Pannella, Poi Emma Bonino, Welby attraverso la moglie Mina, Marco Cappato: da tutti loro ho imparato che dal corpo del malato si arriva al cuore della politica. Con le azioni giuridiche e la disobbedienza civile il corpo della persona diventa il centro dell’azione. Ho sentito persone dire: “Non voglio essere stordito dalla morfina, voglio salutare le persone che amo, dire che sto partendo per il mio viaggio”. La sentenza Cappato emessa dalla Corte costituzionale non garantisce il diritto al suicidio ma alla libertà di scelta. E difatti il quesito referendario che proponiamo abroga le norme del codice Rocco ma qualora l’eutanasia sia commessa contro una persona incapace o il cui consenso sia stato estorto con violenza o minaccia o contro un minore di diciotto anni, resta un reato».
E con la fede come la mettiamo? «Sono andata a scuola dalle suore, sono cattolica, ero amica di un prete straordinario come Don Gallo, non vedo alcuna contraddizione tra la mia fede e l’impegno per i diritti. In fondo non fu Papa Wojtyla a dire: “Lasciatemi andare nella casa del padre”? » Il Covid-19 ha forse aperto un’era in cui si dà più valore alla salute e alla scienza?, azzardo. «In un certo senso sì», replica la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, «perché è evidente ormai a tutti che lasciare deperire il welfare sanitario con i tagli dissennati ha fatto sì che durante l’emergenza siano state lasciate indietro tutte le altre patologie. Sono stati rallentati gli screening dei centri oncologici; si è fermata l’assistenza per le persone autistiche, per le persone con gravi disabilità; l’obiezione di coscienza rischia di bloccare il diritto all’aborto; i centri per la fecondazione assistita sono stati fermi per mesi; buone leggi come quella del 1987 sulle barriere architettoniche sono restate lettera morta e il ministero per le disabilità è senza portafoglio. È l’altra faccia della pandemia della quale nessuno si occupa, sembra una battaglia dei soliti pazzi dei Radicali. Eppure riguarda tutti perché ciascuno di noi ha un parente, un amico, una persona cara che soffre per questo. Ora i soldi ci sono: non ci sono più alibi».
Filomena Gallo di quale partito è? «Sono stata iscritta al Partito Radicale finché c’era Marco Pannella, con il quale avevo un bellissimo rapporto: era l’unico al quale concedevo di usare un vezzeggiativo, perché odio quando mi storpiano il nome in Mena, e infatti lui mi chiamava Minuccia. E poi c’è l’amicizia con Emma Bonino. Sì, mi sento una persona di sinistra, ma è la sinistra che ha smesso di fare la sinistra perché non mette al centro di tutto i diritti, che sono per tutti o per nessuno. La Costituzione mette la persona e dunque il suo corpo al centro. Per questo diventa essenziale garantire in ogni campo il diritto alla scelta: di avere o non avere un figlio, di curarsi, di porre fine alla propria vita in certe condizioni. Tuttavia, per ottenere questi diritti sono state e saranno necessarie le battaglie: per avere la legge sulle unioni civili abbiamo dovuto attendere una sentenza della Corte costituzionale e abbiamo una legge sul fine vita solo grazie alla disobbedienza civile di Marco Cappato, e sulla legge Zan subiamo l’ingerenza della segreteria di Stato del Vaticano. Se ho paura? Mi arrivano tanti insulti: mi dicono che sono un’assassina, mi augurano un tumore alla gola in modo che smetta di parlare, ma sono di più quelli che mi incoraggiano e che sostengono l’Associazione».
Potete dirmi che si tratta come sempre di quei pazzi dei radicali, dei soliti salotti intellettuali, di eterne minoranze che non capiscono che i problemi del popolo sono ben altri. E tuttavia sono le tante Filomena Gallo che danno corpo all’indicazione dei nostri padri costituenti, non a “concedere”, bensì a “riconoscere e garantire” quei diritti della persona che vengono prima dello Stato. Quest’idea è oggi magistralmente incarnata dal presidente Mattarella, ma non sembra vivere nei grandi partiti. Il partito dei diritti è invece in tante minoranze politiche, in tante forme di autorganizzazione sociale e civile. Se vuole davvero ricostruire l’identità di quella cosa senz’anima né cuore che ci ostiniamo a chiamare sinistra, rimasta senza popolo e senza politica, forse Enrico Letta troverà più compagni di strada nei militanti dei banchetti dove si firma per il diritto a una morte degna, negli attivisti che tutelano le persone più fragili, in quelli che non rimangono indifferenti dinnanzi alle stragi dei migranti nel Mediterraneo, che nel Palazzo. Se non loro, chi?